Sanità pubblica – Norme della Regione Veneto – Personale sanitario – Interpretazione autentica dell’art. 2 della legge regionale n. 22 del 2007 – Procedure per la stabilizzazione del personale precario del Servizio sanitario – Dizione "personale precario del Servizio sanitario" da intendersi riferita a tutti i profili professionali dirigenziali del ruolo sanitario, oltre che ai medici e veterinari – Ritenuto carattere innovativo ed estensivo della norma, in contrasto con i criteri e i limiti dettati dalla normativa nazionale;
Personale regionale – Interpretazione autentica dell’art. 96 della legge regionale n. 1 del 2008 – Personale degli Uffici del Consiglio, della Giunta regionale e dei gruppi consiliari assunto ai sensi degli artt. 178 e 179 della legge regionale n. 12 del 1991 e degli artt. 8 e 19 della legge regionale n. 1 del 1997 – Applicazione, attraverso una procedura selettiva riservata, della normativa per la stabilizzazione dei lavoratori precari, con adozione, per di più, di un criterio temporale difforme e più vantaggioso – Contrasto con la normativa statale che esclude l’applicabilità delle procedure di stabilizzazione al personale di diretta collaborazione degli organi politici.
Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole
SENTENZA N. 293
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
(Omissis)
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto questione di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 4, commi 1, 2 e 4, della legge della Regione Veneto 26 giugno 2008, n. 3 (Interpretazione autentica dell’articolo 2 della legge regionale 16 agosto 2007, n. 22 «Disposizioni di riordino e semplificazione normativa – collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di personale, affari istituzionali, rapporti con gli enti locali», dell’articolo 96 della legge regionale 27 febbraio 2008, n. 1 «Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2008» e modifiche alla legge regionale 10 gennaio 1997, n. 1 «Ordinamento delle funzioni e delle strutture della Regione» e successive modificazioni), per contrasto con gli articoli 3, 51, primo comma, 97 e 117, secondo comma, della Costituzione.
1.1. – Con riferimento all’art. 1 della legge della Regione Veneto n. 3 del 2008, il ricorrente deduce che il legislatore veneto, nel dettare una disposizione asseritamente interpretativa di precedente norma regionale (art. 2 della legge della Regione Veneto n. 22 del 2007), abbia esteso la stabilizzazione da quest’ultima norma prevista anche a talune categorie di personale di qualifica dirigenziale e, precisamente, «a tutti i profili professionali dirigenziali del ruolo sanitario, oltre che i medici e veterinari». Con ciò la disposizione censurata, ad avviso del ricorrente, violerebbe innanzitutto l’art. 117, secondo comma, Cost., ponendosi in contrasto con le disposizioni legislative statali sulla stabilizzazione, cui essa intende dare attuazione. Tali disposizioni legislative statali (art. 1, commi da 513 a 543, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007», cui rinvia l’art. 1, comma 565, della medesima legge), infatti, nell’escludere dalla stabilizzazione il personale di livello dirigenziale, porrebbero un principio di coordinamento della finanza pubblica, il cui rispetto si impone al legislatore regionale. La norma impugnata, inoltre, ad avviso del ricorrente, confliggerebbe anche con i «principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione riposanti sugli artt. 3 e 97 della Costituzione».
1.2. – Con riferimento all’art. 4, commi 1, 2 e 4 della legge della Regione Veneto n. 3 del 2008, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce che la disciplina censurata, nel dettare norme di interpretazione autentica di una disposizione regionale volta a stabilizzare personale precario (art. 96 della legge della Regione Veneto 27 febbraio 2008, n. 1 «Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2008»), estende l’applicazione del beneficio ad alcune categorie di personale di uffici di diretta collaborazione di organi politici regionali. Anche in questo caso, ad avviso del ricorrente, ciò violerebbe un duplice parametro costituzionale. In primo luogo, sarebbe leso l’art. 117, secondo comma, Cost., risultando la disciplina regionale censurata in contrasto con i principi di coordinamento della finanza pubblica dettati dalla disciplina legislativa statale, la quale esclude il personale di diretta collaborazione degli organi politici dalle procedure di stabilizzazione da essa previste. Inoltre, le norme impugnate introdurrebbero una deroga ingiustificata alla regola del concorso pubblico, in contrasto con gli artt. 3, 51, primo comma, e 97 della Costituzione.
2. – Deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità, per assoluta genericità delle doglianze, sollevata dalla difesa regionale e riferita in particolare alla censura relativa alla violazione, ad opera dell’art. 1 della legge della Regione Veneto n. 3 del 2008, degli artt. 3 e 97 Cost. L’esame del ricorso nel suo complesso consente di individuare agevolmente la specifica motivazione che sorregge la censura asseritamente inammissibile. Il ricorrente lamenta infatti l’introduzione di una ingiustificata deroga al principio del concorso pubblico, che è previsto dall’art. 97 Cost. e costituisce diretta attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione.
3. – Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Veneto n. 3 del 2008, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., e la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1, 2 e 4 della medesima legge regionale, sollevata in riferimento agli artt. 3, 51, primo comma, e 97 Cost., sono fondate.
3.1. – L’art. 97, terzo comma, della Costituzione prevede che, salvo i casi stabiliti dalla legge, «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso». Ciò significa che la «forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni» (sentenza n. 363 del 2006) è rappresentata da una selezione trasparente, comparativa, basata esclusivamente sul merito e aperta a tutti i cittadini in possesso di requisiti previamente e obiettivamente definiti. Il rispetto di tale criterio è condizione necessaria per assicurare che l’amministrazione pubblica risponda ai principi della democrazia, dell’efficienza e dell’imparzialità. Il concorso pubblico è, innanzitutto, condizione per la piena realizzazione del diritto di partecipazione all’esercizio delle funzioni pubbliche da parte di tutti i cittadini, fra i quali oggi sono da includersi, per la maggior parte degli impieghi, anche quelli di altri Stati membri dell’Unione europea (sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, del 2 luglio 1996, in cause 473/93, 173/94 e 290/94). In diretta attuazione degli artt. 3 e 51 Cost., il concorso consente infatti ai cittadini di accedere ai pubblici uffici in condizioni di eguaglianza e «senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti», come fu solennemente proclamato dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Il concorso, inoltre, è «meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione» (sentenza n. 205 del 2004), cioè al principio di buon andamento, sancito dall’art. 97, primo comma, Cost. Il reclutamento dei dipendenti in base al merito si riflette, migliorandolo, sul rendimento delle pubbliche amministrazioni e sulle prestazioni da queste rese ai cittadini. Infine, il concorso pubblico garantisce il rispetto del principio di imparzialità, enunciato dall’art. 97 e sviluppato dall’art. 98 Cost. Infatti, il concorso impedisce che il reclutamento dei pubblici impiegati avvenga in base a criteri di appartenenza politica e garantisce, in tal modo, un certo grado di distinzione fra l’azione del governo, «normalmente legata agli interessi di una parte politica», e quella dell’amministrazione, «vincolata invece ad agire senza distinzioni di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate nell’ordinamento». Sotto tale profilo il concorso rappresenta, pertanto, «il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni di imparzialità e al servizio esclusivo della Nazione» (sentenza n. 453 del 1990).
La Costituzione ha accordato al legislatore la facoltà di derogare al principio del concorso. Le deroghe legislative, tuttavia, sono sottoposte al sindacato di costituzionalità, nell’esercizio del quale questa Corte ha progressivamente precisato il significato del precetto costituzionale. Innanzitutto, la Corte ha affermato che anche le «modalità organizzative e procedurali» del concorso devono «ispirarsi al rispetto rigoroso del principio di imparzialità» (sentenza n. 453 del 1990). Di conseguenza, non qualsiasi procedura selettiva, diretta all’accertamento della professionalità dei candidati, può dirsi di per sé compatibile con il principio del concorso pubblico. Quest’ultimo non è rispettato, in particolare, quando «le selezioni siano caratterizzate da arbitrarie forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi» (sentenza n. 194 del 2002). La natura comparativa e aperta della procedura è, pertanto, elemento essenziale del concorso pubblico; procedure selettive riservate, che escludano o riducano irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno, violano il «carattere pubblico» del concorso (sentenza n. 34 del 2004). Questa Corte ha poi chiarito che al concorso pubblico deve riconoscersi un ambito di applicazione ampio, tale da non includere soltanto le ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente estranei alle pubbliche amministrazioni. Il concorso è necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio (ciò che comunque costituisce una «forma di reclutamento» – sentenza n. 1 del 1999), e in quelli, che più direttamente interessano le fattispecie in esame, di trasformazione di rapporti non di ruolo, e non instaurati ab origine mediante concorso, in rapporti di ruolo (sentenza n. 205 del 2004). Sotto quest’ultimo profilo, infine, questa Corte ha precisato i limiti entro i quali può consentirsi al legislatore di disporre procedure di stabilizzazione di personale precario che derogano al principio del concorso. Secondo l’orientamento progressivamente consolidatosi nella giurisprudenza costituzionale, infatti, «l’area delle eccezioni» al concorso deve essere «delimitata in modo rigoroso» (sentenza n. 363 del 2006). Le deroghe sono pertanto legittime solo in presenza di «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» idonee a giustificarle (sentenza n. 81 del 2006). Non è in particolare sufficiente, a tal fine, la semplice circostanza che determinate categorie di dipendenti abbiano prestato attività a tempo determinato presso l’amministrazione (sentenza n. 205 del 2006), né basta la «personale aspettativa degli aspiranti» ad una misura di stabilizzazione (sentenza n. 81 del 2006). Occorrono invece particolari ragioni giustificatrici, ricollegabili alla peculiarità delle funzioni che il personale da reclutare è chiamato a svolgere, in particolare relativamente all’esigenza di consolidare specifiche esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione e non acquisibili all’esterno, le quali facciano ritenere che la deroga al principio del concorso pubblico sia essa stessa funzionale alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione.
Alla luce dei principi costituzionali, secondo gli orientamenti giurisprudenziali richiamati, devono essere valutate le questioni di legittimità costituzionale delle due fattispecie di stabilizzazione previste dalle disposizioni legislative regionali censurate.
3.2. – Con riguardo alla prima fattispecie, l’art. 1 della legge della Regione Veneto n. 3 del 2008 reca una disposizione di pretesa interpretazione autentica dell’art. 2 della legge della Regione Veneto n. 22 del 2007. Quest’ultimo stabilisce quanto segue: «in attuazione dell’articolo 1, comma 565, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), la Giunta regionale è autorizzata ad adottare disposizioni per la stabilizzazione a domanda, con la necessaria gradualità, del personale precario del Servizio sanitario regionale, ivi compreso quello medico e veterinario». Le parole «personale precario del Servizio sanitario regionale», contenute in quest’ultima disposizione, devono intendersi riferite, in base alla norma impugnata, «anche a tutti i profili professionali dirigenziali del ruolo sanitario, oltre che i medici e veterinari». L’effetto della disposizione censurata, al di là della sua autoqualificazione, è quello di ampliare l’ambito dei beneficiari della stabilizzazione, includendovi alcune categorie di personale dirigenziale in precedenza escluse. La stabilizzazione viene estesa, in particolare, agli altri profili professionali dirigenziali del ruolo sanitario, diversi dai già compresi medici e veterinari, cioè ai farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi (restando invece ancora esclusi – diversamente da quanto sostenuto dalla difesa regionale – i dirigenti dei ruoli professionale, tecnico e amministrativo).
Questa Corte si è già pronunciata sulla legittimità costituzionale di una analoga disciplina regionale, la quale estendeva la stabilizzazione a determinate categorie di personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale (sentenza n. 215 del 2009), pervenendo a conclusioni che vanno ribadite con riferimento al presente giudizio. Anche l’ipotesi di stabilizzazione attualmente censurata, infatti, «non offre sufficienti garanzie per assicurare che la disposta trasformazione del rapporto di lavoro riguardi soltanto soggetti che siano stati selezionati ab origine mediante procedure concorsuali». Una simile condizione non è espressamente prevista dalla disciplina legislativa regionale impugnata, né da quella statale cui il legislatore veneto ha inteso dare attuazione, la quale, anzi, espressamente ammette alla stabilizzazione anche personale assunto a tempo determinato mediante procedure che non hanno natura concorsuale. Inoltre, la stabilizzazione in ruolo prevista dalla norma regionale impugnata non è «subordinata all’accertamento di specifiche necessità funzionali dell’amministrazione», per il soddisfacimento delle quali risponda ad esigenze di buon andamento ricorrere esclusivamente a soggetti in possesso di esperienze professionali maturabili soltanto all’interno della stessa amministrazione. La stabilizzazione in esame si riferisce, all’opposto, a figure professionali, come i dirigenti sanitari, per le quali assume una particolare importanza il pieno rispetto della selezione concorsuale, sia per la loro qualifica dirigenziale, sia per l’«indubbio rilievo» che le loro prestazioni rivestono «per la migliore organizzazione del servizio sanitario». Per tali ragioni, dunque, l’art. 1 della legge della Regione Veneto n. 3 del 2008 introduce una deroga al principio costituzionale del concorso, in mancanza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico in grado di giustificarla.
3.3. – La seconda fattispecie di stabilizzazione censurata dal ricorrente è prevista dall’art. 4, commi 1, 2 e 4 della legge della Regione Veneto n. 3 del 2008. Il primo comma di tale articolo dispone l’applicabilità della stabilizzazione, prevista da una precedente norma regionale (art. 96 della legge della Regione Veneto n. 1 del 2008), a sua volta attuativa della disciplina legislativa statale, ad alcune categorie di dipendenti degli uffici di diretta collaborazione di organi politici regionali, vale a dire «al personale assunto ai sensi degli articoli 178 e 179 della legge regionale 10 giugno 1991, n. 12 e […] degli articoli 8 e 19 della legge regionale 10 gennaio 1997, n. 1». La norma si riferisce, in particolare, al personale dei gruppi consiliari e dei gabinetti e delle segreterie del Presidente e dei componenti dell’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale, nonché del Presidente, Vice Presidente e membri della Giunta regionale. Si tratta di personale assunto in base ad un rapporto a tempo determinato collegato alla durata in carica dell’organo politico che ne ha proposto l’assunzione. La disposizione impugnata prevede che tali dipendenti siano stabilizzati mediante una «apposita procedura selettiva riservata», dalla quale essi sono tuttavia esentati, ai sensi del secondo comma, qualora «abbiano già superato una selezione pubblica per l’assunzione presso la Regione Veneto o altro ente pubblico». Il quarto comma, infine, prevede, per il solo personale precario degli uffici di diretta collaborazione degli organi politici, un regime privilegiato per il conseguimento del triennio utile ai fini della stabilizzazione, disponendo che possano essere computati anche gli anni previsti da contratti stipulati successivamente al limite temporale indicato dalla legge per tutti gli altri tipi di rapporti precari.
Le disposizioni legislative censurate prevedono ipotesi di accesso ai pubblici impieghi che derogano palesemente al criterio del concorso pubblico. Ciò vale sia per coloro che, non essendo stati assunti ab origine mediante concorso, vengono stabilizzati mediante apposita procedura selettiva riservata (art. 4, comma 1), sia per coloro che, invece, vengono stabilizzati senza doversi sottoporre a tale procedura, avendo già in precedenza superato una selezione pubblica (art. 4, comma 2). Nel primo caso, è del tutto evidente che il carattere interamente riservato della procedura contraddice la natura pubblica del concorso, la quale esige invece che la selezione sia aperta alla partecipazione degli esterni e abbia natura comparativa. Nel secondo caso, il previo superamento di una qualsiasi «selezione pubblica», presso qualsiasi «ente pubblico», è requisito troppo generico per autorizzare una successiva stabilizzazione senza concorso, perché la norma non garantisce che la previa selezione avesse natura concorsuale e fosse riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che il personale successivamente stabilizzato è chiamato a svolgere.
Tali deroghe al principio del concorso pubblico, inoltre, non sono giustificate da peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico. Dalle funzioni del personale di diretta collaborazione degli organi politici, infatti, non è «desumibile […] alcuna peculiarità che possa giustificare una prevalenza dell’interesse ad una sua stabilizzazione […] rispetto a quello di assicurare l’accesso all’impiego pubblico dei più capaci e meritevoli» (sentenza n. 81 del 2006). Al contrario, la stabilizzazione del personale degli uffici di diretta collaborazione non solo non è funzionale al buon andamento dell’amministrazione, ma contrasta con la specifica funzione cui questo personale deve assolvere, cioè quella di consentire al titolare dell’organo politico di avvalersi di personale nominato intuitu personae. La stabilizzazione di questa specifica categoria di personale, infatti, come questa Corte ha chiarito, impedirebbe ai titolari degli organi politici nella successiva legislatura «di potersi valere, per la durata del mandato, di collaboratori di loro fiducia», diversi cioè da quelli stabilizzati, «se non accettando che il nuovo personale così assunto si aggiunga ad essi, con inevitabile aggravio del bilancio regionale» (sentenza n. 277 del 2005). Né può sostenersi che il principio costituzionale del concorso pubblico possa tollerare deroghe proprio per consentire l’assunzione di personale di fiducia degli organi di direzione politica. Simili deroghe, infatti, potrebbero ritenersi ammissibili, sempre che vi siano criteri di valutazione idonei a garantire la competenza e professionalità dei soggetti discrezionalmente prescelti (sentenza n. 252 del 2009), precisamente alla condizione che si riferissero all’assunzione di personale a tempo determinato, destinato a cessare dal servizio al rinnovo dell’organo politico che lo ha nominato. Ma in questo caso non vengono censurate norme che consentono di assumere senza concorso personale di fiducia del titolare dell’organo politico per il solo tempo in cui questi resta in carica. Vengono, invece, impugnate norme che stabilizzano successivamente in ruolo, senza concorso, quel personale.
4. – Restano assorbite le altre censure di costituzionalità.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 1 e 4, commi 1, 2 e 4, della legge della Regione Veneto 26 giugno 2008, n. 3 (Interpretazione autentica dell’articolo 2 della legge regionale 16 agosto 2007, n. 22 «Disposizioni di riordino e semplificazione normativa – collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di personale, affari istituzionali, rapporti con gli enti locali», dell’articolo 96 della legge regionale 27 febbraio 2008, n. 1 «Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2008» e modifiche alla legge regionale 10 gennaio 1997, n. 1 «Ordinamento delle funzioni e delle strutture della Regione» e successive modificazioni).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 novembre 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 novembre 2009.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.
Fonte: http://www.cortecostituzionale.it/giurisprudenza/pronunce/scheda_ultimo_deposito.asp?sez=ultimodep&Comando=LET&NoDec=293&AnnoDec=2009&TrmD=&TrmM=