Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
S.T., tramite difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza, in data 30.10.2009, con cui la Corte di Appello di Perugia confermava la sentenza 22.3.2004 del Tribunale di Perugia che aveva condannato il S. alla pena di un anno, due mesi di reclusione ed Euro 600,00 di multa per il delitto di cui all’art. 81 c.p., comma 2 e art. 648 c.p. (per aver acquistato o comunque ricevuto beni archeologici di provenienza illecita).
Il ricorrente chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata deducendo:
1) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 648 c.p. e art. 2 c.p. nonchè mancanza, manifesta illogicità, contraddittorietà della motivazione; i giudici di merito avevano ravvisato il reato di ricettazione sul presupposto che gli oggetti in questione fossero sottoposti alle disposizioni di cui alla L. n. 1089 del 1939 ed al D.Lgs. n. 490 del 1999, facendo discendere dal loro impossessamento il delitto "presupposto"; le modifiche legislative intervenute nel tempo (la L. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 67 come modificato dall’art. 13 L. 8.10.1997 n. 352, sostituito poi dal D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 125 a sua volta abrogato dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 184, comma 1) avevano fatto venir meno il reato presupposto, posto che il delitto di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 176 richiedeva un formale provvedimento dell’autorità amministrativa che avesse qualificato i beni oggetto del reato come beni culturali di eccezionale e particolarmente importante interesse oggettivo, provvedimento che, nella specie,mancava; al riguardo la Corte d’Appello si era limitata a recepire quanto già "acquisito" dal Tribunale sul punto, incorrendo nel vizio di difetto ed illogicità della motivazione;
2) inosservanza dell’art. 712 c.p. e manifesta illogicità della motivazione, avendo la Corte territoriale escluso la configurabilità dell’incauto acquisto senza alcuna valutazione della condotta integrante tale contravvenzione e ravvisando, apoditticamente, l’elemento psicologico della ricettazione in considerazione dell’istanza di "regolarizzazione" presentata dal S. alla Soprintendenza Archeologica competente nonchè del difetto di un regolare atto di acquisto riconducibile a beni non liberamente commerciabili;
3) erronea applicazione dell’art. 648 c.p., comma 2 nonchè manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, laddove il fatto di particolare tenuità era stato escluso senza tener conto che la consulenza tecnica effettuata su incarico della Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di (OMISSIS), era riferita a tutti i reperti sequestrati nel corso di un’operazione svolta dalla Guardia di Finanza nei confronti di vari soggetti, e non in relazione ai beni sequestrati al S. che, in parte, erano risultati falsi;
4) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 648, 157 e 158 c.p. e art. 531 c.p.p., avendo la Corte di Appello omesso di dichiarare estinto per prescrizione il reato di ricettazione, in applicazione dell’art. 531 c.p.p., comma 2 e del principio del favor rei, dovendosi computare il termine di decorrenza della prescrizione secondo il maggior vantaggio per l’imputato; nella specie la data di commissione del reato come indicata in sentenza (in epoca anteriore e prossima al 2 marzo 1996), non corrispondeva a quella effettiva risultante dagli atti di causa, avendo il giudice di prime cure dato atto alle pagg. 1 e 2 della motivazione della sentenza, che il S. aveva emesso, in favore di E.G. (indagato per un ipotizzato traffico di reperti archeologici da cui era stato originato il presente procedimento), una serie di assegni tra il mese di (OMISSIS) sicchè, in relazione alla data più remota di uno di detti assegni, il termine di prescrizione della ricettazione doveva ritenersi decorso alla data della sentenza di secondo grado.
Motivi della decisione
Le censure sub 1) 2) e 3) sono prive di fondamento. Va, innanzitutto, rilevato che, ai fini dell’integrazione del reato presupposto relativo alla ricettazione (impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo stato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004), non è necessaria la preesistenza di un provvedimento dell’autorità amministrativa che dichiari l’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico delle cose delle quali il privato sia trovato in possesso,essendo sufficiente l’accertamento di un loro interesse culturale oggettivo, desumibile anche dalla testimonianza di organi della P.A. o da una perizia disposta dall’autorità giudiziaria (come avvenuto nella specie), atteso che i beni di cui all’art. 10 del cit. D.Lgs. appartengono allo Stato sulla base di detto accertamento, salvo che il possessore non fornisca la prova della legittima proprietà degli stessi (Cfr. Cass. n. 35226/2007; n. 39109/2006), prova che, nella specie, non è stata fornita.
La Corte territoriale ed il giudice di prime cure hanno accertato, infatti, l’inconsistenza della tesi difensiva, evidenziando,in particolare, che la generica richiesta dell’imputato alla Soprintendenza Archeologica dell’Umbria, di poter regolarizzare la sua collezione, risaliva ad epoca antecedente all’inizio delle indagini preliminari e, quindi, precedentemente alla perquisizione che aveva consentito il recupero dei reperti in sequestro, trovati presso l’abitazione dell’imputato "e non già presso l’anziano congiunto", circostanze che contraddiceva l’assunto del S. e la sua asserita buona fede.
La Corte territoriale ha pure dato conto, con adeguata motivazione, dell’insussistenza dell’ipotesi lieve di cui all’art. 648 cpv. c.p. con riferimento alla consistenza numerica ed al notevole valore dei reperti archeologici ed alla irrilevanza della non autenticità di alcuni di essi, come accertata dalla C.T.U..
Il reato contestato deve, peraltro, dichiararsi estinto per prescrizione, non ricorrendo le condizioni di cui all’art. 129 c.p.p., comma 2.
Secondo il principio del "favor rei", applicabile quando vi sia incertezza sul tempus commissi delicti (Cass. n. 3292/2005; n. 2331/1995), il termine di prescrizione deve farsi decorrere, nel caso di specie, dalla data più remota degli assegni che, come affermato a pag. 2 della sentenza di primo grado, risultavano emessi da S. T., in favore di E.G. (pregiudicato per reati contro il patrimonio archeologico) "nel periodo intercorrente dall'(OMISSIS)". Alla data della sentenza di appello il termine massimo di prescrizione, pari ad anni 15, era, quindi, decorso.
Consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione, ferma la statuizione sulla disposta restituzione all’Amministrazione dello Stato dei reperti.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione, ferma la disposta restituzione all’Amministrazione dello Stato dei reperti.
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