Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-01-2011) 15-02-2011, n. 5603 Reati elettorali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. L.G. nato a (OMISSIS), era imputato: a) del reato p. e p. dall’art. 81 c.p. e D.P.R. n. 570 del 1960, art. 90, comma 3, (testo unico per le elezioni delle amministrazioni comunali), così come modificato dalla L. n. 61 del 2004, per aver formato falsamente liste di elettori o di candidati;

segnatamente, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, quale candidato n. 1 di "RADICALI PER LE LIBERTA’", avendo ricevuto elenchi di elettori sottoscrittori a sostegno dei candidati di "RADICALI PER LE LIBERTA’" alle elezioni per il Senato previste per il 9-10 aprile 2006, non essendosi il partito poi presentato a tali elezioni politiche (occorrendo 2000 firme) bensì alle elezioni provinciali (sufficienti 500 firme) fissate nelle stesse date, depositava alla Cancelleria del Tribunale di Udine in data 11 marzo 2006 la dichiarazione di presentazione di 30 candidati di "RADICALI PER LE LIBERTA’" per le elezioni provinciali, e n. 38 modelli separati di elenchi di elettori sotto scrittori a sostegno dei candidati predetti, tra cui 18 elenchi su cui veniva incollato, sopra il frontespizio originariamente indicante elezioni SENATO, altro foglio indicante elezioni provinciali, nonchè incollando nella parte elenco candidati la lista dei candidati alle elezioni provinciali (documentazione e candidature ammesse dall’ufficio elettorale del Tribunale di Udine, con conseguente esclusione del cd. falso grossolano); b) del reato p. e p. dall’art. 81 c.p. e D.P.R. n. 570 del 1960, art. 90, comma 3, cit., per aver formato falsamente liste di elettori o di candidati; segnatamente, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, quale candidato n. 1 di "RADICALI PER LE LIBERTA’" elezioni del 9-10 aprile 2006, depositava alla Cancelleria del Tribunale di Udine in data 11.03.2006 la dichiarazione di presentazione di 30 candidati di "RADICALI PER LE LIBERTA’" per le elezioni provinciali, e n. 38 modelli separati di elenchi di elettori sotto scrittori a sostegno dei candidati predetti, tra cui 5 elenchi sui quali veniva incollato sopra il frontespizio originariamente indicante il partito "FORZA ITALIA- BERLUSCONI PRESIDENTE", elezioni provinciali (ed effettivamente sottoscritti a sostegno dei candidati di tale partito) altro foglio indicante "RADICALI PER LE LIBERTA’" elezioni provinciali (documentazione e candidature ammesse dall’ufficio elettorale del Tribunale di Udine, con conseguente esclusione del cd. falso grossolano).

Fatti commessi in Udine in data anteriore e prossima all’11.03.2006.

A seguito di decreto di citazione a giudizio il L. veniva tratto a giudizio per rispondere delle imputazioni suddette.

Il tribunale di Udine con sentenza del 16 aprile – 10 maggio 2010 dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essere i reati estinti per prescrizione.

2. Avverso questa pronuncia propone ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Trieste deducendo l’applicabilità del termine ordinario di prescrizione ex art. 157 c.p., non ancora decorso, e sostenendo essere invece erroneo il riferimento, fatto dall’impugnata sentenza, D.P.R. n. 570 del 1960, art 100. Tale disposizione prevede che l’azione penale, per tutti i reati contemplati dal testo unico si prescrive in due anni dalla data del verbale ultimo delle elezioni ed è interrotto da qualsiasi atto processuale, con un prolungamento però non superiore alla metà del termine stabilito per la prescrizione, e dunque un anno. Secondo il Procuratore Generale ricorrente deve negarsi valenza di termine prescrizionale speciale alla previsione dell’art. 100 cit. e deve farsi invece riferimento alla disciplina ordinaria del termine di prescrizione contenuta nell’art. 157 c.p..
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

In ordine alla questione di diritto posta dal Procuratore Generale ricorrente l’orientamento che da ultimo è prevalso nella giurisprudenza di questa Corte è nel senso di ritenere applicabile l’ordinaria disciplina della prescrizione dei reati.

In particolare Cass., sez. 3^, 11 novembre 2008 – 17 dicembre 2008, n. 46370, ha affermato che in tema di reati elettorali, il termine biennale "dalla data del verbale ultimo delle elezioni" entro cui si prescrive l’azione penale per i reati elettorali previsti dal T.U. delle leggi per la composizione e l’elezione degli organi delle Amministrazioni comunali ( D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 100) non deroga al termine ordinario di prescrizione previsto dall’art. 157 cod. pen. per i reati contemplati dal citato testo unico, in quanto costituisce esclusivamente il termine di decadenza entro cui è possibile per ogni elettore la promozione dell’azione penale.

Questo più recente orientamento – che supera quello, di segno contrario, espresso da Cass., sez. 3^, 25 ottobre 2006 – 22 dicembre 2006, n. 42199, secondo cui il D.P.R. n. 570 del 1960, art. 100 avrebbe stabilito un termine di prescrizione reato di durata ridotta e che si ricollega ad altra precedente pronuncia di questa Corte, egualmente orientata (Cass., sez. 3^, 23 marzo 2005 – 10 maggio 2005, n. 17630) – va ora ulteriormente confermato per le ragioni che seguono.

2. Deve innanzi tutto premettersi che la Corte costituzionale (C. cost. 23 novembre 2006 n. 394), ha dichiarato l’illegittimità, tra l’altro, del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 90, comma 3, come sostituito dalla L. 2 marzo 2004, n. 61, art. 1, comma 2, lett. a), n. 1), recante norme in materia di reati elettorali; disposizione questa a carattere speciale che, nella formulazione novellata dal legislatore del 1994, prevedeva, tra l’altro, la falsa formazione di liste di elettori o di candidati come reato meno grave (punito con la sola pena dell’ammenda) rispetto alla fattispecie generale dei reati di falso. Di tale meno grave reato continua a rispondere l’imputato, anche dopo che a seguito della dichiarazione di illegittimità incostituzionale di questa disposizione (art. 90, comma 3) è venuta meno siffatta norma di miglior favore; ciò in ragione del principio generale espresso dall’art. 2 c.p. in tema di successione di leggi penali nel tempo per cui, se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo.

Con la stessa pronuncia la Corte ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale del citato D.P.R. n. 570 del 1960, art. 90 sollevata dal giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Pescara per "omessa ponderazione del quadro normativo"; ciò la Corte ha fatto limitandosi ad addebitare al giudice rimettente di non essersi affatto confrontato con il disposto dell’art. 100 cit. – disposizione della cui interpretazione è ora investita questa Corte – senza quindi affatto avvalorare un’interpretazione di tale disposizione piuttosto che un’altra.

Semmai a tal fine rileverebbe C. cost. 30 dicembre 1998 n. 455 che, pronunciandosi sulla questione di legittimità costituzionale proprio dell’art. 100 cit. allora sollevata dal giudice rimettente sul presupposto della stessa interpretazione ora accolta anche dalla sentenza del tribunale di Udine attualmente impugnata (in quel caso il giudice rimettente era proprio il tribunale di Udine), ha dichiarato la questione inammissibile in ragione della "discrezionalità che va riconosciuta al legislatore per quanto attiene alla sfera (e in particolare all’ai e al quomodo) della punibilità" (cfr. anche Cost., ord., 9 luglio 1999, n. 288).

Ma in ogni caso è ben noto che il presupposto interpretativo della norma indubbiata di incostituzionalità è verificato dalla Corte costituzionale a livello di mera plausibilità essendo il sindacato di legittimità rimesso al giudice comune ed è in particolare assegnato dall’art. 111 Cost., comma 7, a questa Corte, che ha il compito di assicurare l’uniforme interpretazione della legge.

3. Sul piano dell’esegesi della norma (art. 100 cit.), possono aggiungersi, a convalidare l’orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 46370 del 2008, cit.) qui confermato, alcuni rilievi interpretativi ulteriori rispetto a quanto già affermato e rilevato da questa Corte.

4. Innanzi tutto il dato testuale della disposizione fa riferimento, al comma 1, ad una particolarissima fattispecie di "azione penale" che qualunque elettore può promuovere costituendosi parte civile per qualsivoglia reato – delitto o contravvenzione – contemplato del testo unico suddetto. Comunque si voglia intendere questa "azione penale" – secondo Cass., sez. 3^, 25 ottobre 2006 – 22 dicembre 2006, n. 42199, cit., tale disposizione attribuisce a ogni elettore un ruolo di sollecitazione dell’azione penale del p.m. e un diritto di costituirsi parte civile in relazione ai processi penali in materia di reati elettorali con riferimento alle sole elezioni amministrative – è certo che si tratta di una disposizione speciale (l’art. 100 cit.) che assegna ad ogni elettore una prerogativa esercitabile nel processo penale, la quale, proprio perchè riconosciuta indistintamente a tutti gli elettori, ha natura di azione popolare.

L’art. 100, comma 2, detta poi un’ulteriore prescrizione: Inazione penale" – che è quella di cui la disposizione si interessa, ossia quella del comma 1 – si prescrive in due anni dalla data del verbale ultimo delle elezioni.

Quindi il legislatore da una parte ha introdotto un meccanismo di controllo diffuso da parte dell’elettorato stesso della legittimità del procedimento elettorale assegnando a ciascun elettore l’"azione penale" suddetta, che si affianca all’azione penale in senso proprio che il pubblico ministero ha comunque l’obbligo di esercitare.

D’altra parte però questo controllo popolare ha limiti temporali abbastanza stretti nonchè uniformi per qualsiasi reato elettorale previsto dal testo unico; ciò per evitare che la possibilità di un’iniziativa popolare, che corre sempre il rischio della partigianeria, rimanga per un tempo prolungato a condizionare l’esito delle votazioni.

In altre parole il sintagma "azione penale" utilizzato dal legislatore sia al primo che al secondo comma dell’art. 100 ha un unico significato – e non già due significati, uno nel primo comma ed un altro nel secondo comma – ed è quello chiaramente predicato nel primo comma con il riferimento a "qualunque elettore" che tale "azione penale" può esercitare.

5. L’altro rilievo esegetico, in chiave confermativa dell’orientamento giurisprudenziale qui riaffermato, deriva da un’esigenza di interpretazione adeguatrice al canone costituzionale dell’eguaglianza e della ragionevolezza ( art. 3 Cost.), nonchè della ragionevole durata del processo ( art. 111 Cost., comma 2).

Se la nozione di "azione penale" dell’art. 100, comma 2 fosse da leggere in un significato più ampio della nozione di "azione penale" del comma 1 della medesima disposizione sì da predicare una disciplina speciale e derogatoria dell’estinzione del reato per prescrizione, ne soffrirebbe il principio di eguaglianza, essendo assai dubbia la giustificatezza di una tale disciplina differenziata, in termini di indebolimento della repressione dei reati elettorali in ragione della brevità di siffatto termine di prescrizione (due anni), a fronte di quella dettata dall’art. 157 c.p. (che in generale prevede che la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorchè puniti con la sola pena pecuniaria). E soprattutto ne soffrirebbe il principio di ragionevolezza perchè sarebbero assoggettati allo stesso – assai breve – termine prescrizionale sia i reati elettorali di minore gravita, quali contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda (v., ad es., art. 93, comma 2, cit.), sia quelli di maggiore gravita, quali delitti puniti con la reclusione che, in fattispecie di particolare gravita, può arrivare fino a quindici anni (v., ad es., art. 87, u.c., t.u. cit.).

Inoltre deve considerarsi che la ragionevole durata del processo – ha recentemente affermato la Corte costituzionale (C. cost. 23 luglio 2010 n. 281) – "assicura anche che esso duri per il tempo necessario a consentire un adeguato spiegamento del contraddittorio e l’esercizio del diritto di difesa"; quindi la previsione indistinta, anche per reati elettorali di notevole gravita che richiedono una più complessa attività processuale, di un termine prescrizionale (di due anni) più breve di quello previsto in generale dall’art. 157 c.p. (non inferiore a sei anni per i delitti) e più breve finanche di quello contemplato per le contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda (quattro anni) ed addirittura, ora, di quello (di tre anni) previsto per reati minori per i quali la legge stabilisce una pena diversa da quella, non solo detentiva, ma anche meramente pecuniaria ( art. 157 c.p., comma 5), si porrebbe in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo ( art. 111 Cost., comma 2).

6. Pertanto, considerato che la condotta addebitata all’imputato è stata commessa in data anteriore e prossima all’11 marzo 2006, si ha che, applicando la disciplina ordinaria ( art. 157 c.p.) e non già il termine biennale di cui all’art. 100 cit., il reato non è ancora prescritto, diversamente da quanto ritenuto dal tribunale di Udine.

Il ricorso va quindi accolto con conseguente annullamento dell’impugnata sentenza e rinvio allo stesso tribunale di Udine.
P.Q.M.

la Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Udine.

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