Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-03-2011, n. 7273 Assegni di accompagnamento Previdenza sociale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello Roma, con la sentenza n. 8022 del 2005 (ritenendo la legittimazione passiva del solo INPS), rigettava il ricorso proposto da D.F.A. nei confronti dell’INPS e del Ministero dell’economia e delle finanze, avverso la sentenza del Tribunale di Velletri, emessa il 27 giugno 2002, che non aveva accolto la domanda di quest’ultima volta al riconoscimento della indennità di accompagnamento, L. n. 18 del 1980, ex art. 1. 2. Ricorre la D.F. prospettando tre motivi di ricorso.

3. L’INPS non ha svolto attività difensive.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta omessa e insufficiente motivazione circa la contraddittorietà tra le risultanze della documentazione sanitaria depositata agli atti e la valutazione del consulente medico.

La Corte d’Appello avrebbe basato il proprio convincimento su risultanze peritali derivate da considerazioni generali – teoriche, prive di raccordo con l’esame obiettivo della paziente e conseguenza di una superficiale analisi della copiosa documentazione sanitaria versata in atti, senza riferimenti in ordine alla durata dei cicli terapeutici, plurimensili e pluriannuali nonchè su una erronea interpretazione ed errata applicazione al caso concreto dei concetti di impossibilità a deambulare e di atti quotidiani della vita, nonchè degli effetti sul caso particolare della cura chemioterapica.

1.1. Il motivo non è fondato.

Occorre ricordare che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 7341 del 2004, n. 3519 del 2001, n. 225 del 2000), ove il giudice del merito si basi sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, il difetto di motivazione della sentenza denunciabile in cassazione deve consistere nella indicazione delle carenze e deficenze diagnostiche riscontrabili nella perizia, o nella precisazione delle affermazioni illogiche o scientificamente errate in essa contenute, o nella individuazione della omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, non essendo sufficiente la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e quella della parte; al di fuori di tale ambito, infatti, la censura di difetto di motivazione costituisce un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico che si traduce in una inammissibile richiesta di revisione nel merito del convincimento del giudice.

Il difetto di motivazione in ordine ad aspetti sanitari sussiste solo ove vi sia palese devianza dalle correnti nozioni della scienza medica od omissione degli accertamenti strumentali necessari alla formulazione di una corretta diagnosi; al di fuori di tale ambito, la censura costituisce mero dissenso, non attinente a vizi del processo logico formale, e si traduce nell’irrilevante critica del convincimento del giudice (Cass. n. 9988 del 2009).

La Corte d’Appello, ha rilevato che la relazione del CTU nominato nel giudizio di secondo grado, era esente da vizi logici e che non era stata oggetto di alcuna specifica contestazione. La stessa perveniva alla conclusione che la D.F., nata il (OMISSIS), per le infermità di cui era affetta ("esiti di quadrantectomia supero – esterna sinistra da asportazione di carcinoma mammario infiltrante. Ipertensione arteriosa"), era totalmente inabile ma era sempre stata in grado di deambulare autonomamente e di compiere in autonomia gli atti quotidiani della vita, atteso che anche nel periodo in cui era stata sottoposta a trattamento chemioterapico le sue condizioni risultavano discrete e non emergevano condizioni di perdita dell’autonomia personale.

La Corte, inoltre, ha rilevato che a ciò andava aggiunto che il CTU aveva rilevato condizioni generali di nutrizione e sanguificazione buone, una psiche lucida, ben orientata sotto il profilo temporo – spaziale ed una buona particolarità di tutti i distretti esaminati (scintigrafia ossea da cui emergeva solo segni di artrosi), per cui anche sotto tale profilo le patologie lamentate non avevano avuto l’incidenza funzionale indicata nel gravame.

La suddetta CTU affermava, quindi la Corte, aveva dato una soluzione conforme all’esito della verifica effettuata dal CTU di primo grado, le cui conclusioni erano state recepite nella sentenza impugnata.

Appare palese, dunque,alla luce dei principi sopra richiamati, che la motivazione della Corte d’Appello è congrua, adeguata ed esente da vizi, mentre le censure della ricorrente – che peraltro fa solo generico riferimento a puntuali richiami della difesa che sarebbero intervenute nel giudizio di secondo grado, senza quelle indicazioni richieste dal principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione (ancor più, laddove la sentenza d’appello afferma che la CTU non era stata oggetto di alcuna specifica contestazione) – di fatto, tendono ad una nuova valutazione delle risultanze non proponibile nel giudizio di legittimità. 2. Con il secondo motivo è prospettata violazione di legge circa un punto decisivo della controversia. Il motivo è argomentato senza il richiamo ad alcuna disposizione di legge, ma deducendo il contrasto della sentenza in questione con la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, le persone affette da patologie oncologiche e debilitate dalla chemioterapia possono ottenere l’indennità di accompagnamento anche a fronte di brevi periodi di inabilità.

La Corte d’Appello avrebbe fatto cattivo uso del suddetto principio in base al quale nessuna norma vieta il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento per periodi anche molto brevi.

I Giudici dell’appello, nell’uniformarsi alla consulenza tecnica non avrebbero considerato che la ricorrente durante tutto il periodo della chemioterapia era fortemente debilitata nel fisico e nella mente, e – di conseguenza – impossibilitata a compiere le attività proprie della sua età, avendo bisogno di un accompagnatore.

2.1. Preliminarmente, è opportuno ricordare che questa Corte (Cass. n. 25569 del 2008) ha affermato che secondo il proprio consolidato insegnamento, conforme al tenore testuale della L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1 e L. 21 novembre 1988, n. 508, la indennità di accompagnamento spetta ai cittadini nei cui confronti sia stata accertata una inabilità totale e che, in aggiunta, si trovino nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, bisognano di un’assistenza continua (ex plurimis, Cass. 20 giugno 2006 n. 14127).

La stessa, può spettare anche in caso di ricovero in ospedale pubblico, nonostante la previsione contraria della L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1, comma 3, ma sempre che la parte interessata dimostri che le prestazioni assicurate dall’ospedale medesimo non esauriscono tutte le forme di assistenza di cui il paziente necessita per la vita quotidiana (Cass. 2 febbraio 2007 n. 2770).

Infine, si è ritenuto che il problema del trattamento chemioterapico non può essere risolto in astratto, con l’affermazione che esso comporti sempre e di per sè, oppure non comporti, il diritto alla indennità di accompagnamento, ma costituisce una situazione di fatto, sicchè si deve esaminare caso per caso se esso comporti, per gli alti dosaggi e per i loro effetti sul singolo paziente, anche per il tempo limitato della terapia, le condizioni previste dalla L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1 (Cass. n. 25569 del 2008).

Come si è sopra rilevato, la pronuncia oggetto del presente ricorso, non nega in astratto la riconoscibilità dell’indennità, ma ritiene con motivazione congrua che nel caso di specie non ve ne erano i presupposti.

2.2. Tanto premesso, in ragione delle osservazioni svolte, si deve rilevare che anche il suddetto motivo non è fondato, traducendosi, peraltro, nella richiesta di un riesame nel merito.

3. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata la violazione della L. n. 18 del 1980, art. 1. Ritiene la ricorrente che la Corte abbia dato un’interpretazione di impossibilità a deambulare e di atti quotidiani della vita diversa rispetto a quella intesa dalla legge.

In proposito è stato dedotto il seguente quesito di diritto: se ai fini del riconoscimento del diritto al beneficio dell’indennità di accompagnamento non è necessaria una radicale ed assoluta impossibilità di deambulazione e/o di attendere agli atti quotidiani della vita, essendo sufficiente che le patologie riscontrate siano tali da impedire di svolgere, in modo autonomo ed indipendente, quelle azioni più semplici ed elementari del tipo, lavarsi, vestirsi, muoversi nell’ambiente domestico, intrattenere rapporti sociali ecc; se l’indennità di accompagnamento di cui alla L. n. 18 del 1980, art. 1 può essere riconosciuta a pazienti affetti da malattie oncologiche anche per brevi e circoscritti periodi, più o meno equivalenti o coincidenti con la durata dei cicli di terapia chemioterapica e che l’esistenza di una malattia la cui durata è limitata nel tempo non è compatibile con la persistenza delle difficoltà a compiere compiti e le funzioni proprie dell’età. 3.1. Il motivo non è fondato.

Per un verso, occorre rilevare che la ricorrente deduce che la Corte non ha preso per nulla in considerazione la documentazione medica allegata agli atti, e non ha disposto un supplemento di perizia o convocato il CTU a chiarimenti, senza tuttavia offrire le necessarie indicazioni in ragione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Per altro verso, occorre rilevare come la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 12521 del 2009) ha affermato che secondo l’univoco orientamento giurisprudenziale formatosi sulla questione (Cass. n. 9785 del 1991, n. 1339 del 1993, n. 636 del 1998, n. 6882 del 2002), le condizioni previste dalla L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1, (nel testo modificato dalla L. n. 508 del 1988, art. 1, comma 2) per l’attribuzione dell’indennità di accompagnamento consistono, alternativamente, nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure nell’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita con la conseguente necessità di assistenza continua. Si tratta chiaramente di situazioni che prescindono da episodici contesti, dovendo essere verificate nella loro inerenza costante al soggetto e non in rapporto ad una soltanto delle possibili esplicazioni del vivere quotidiano, quale, ad esempio, il portarsi fuori della propria abitazione, ovvero la necessità di assistenza determinata da patologie particolari e finalizzata al compimento di alcuni, specifici, atti della vita quotidiana, pur dovendosi intendere in senso relativo la nozione di "continuità" della necessità dell’assistenza. In definitiva, i requisiti sono diversi e ben più rigorosi della semplice difficoltà nella deambulazione o nel compimento di altri atti.

La Corte d’Appello, ha fatto corretta applicazione di detto principio, con una motivazione adeguata ed esente da vizi.

4. Pertanto, in ragione delle considerazioni svolte, il ricorso deve esse rigettato.

5. Nulla per le spese.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

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