Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-03-2011, n. 7478 Litispendenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 6 maggio 1996, L.V. esponeva: – che con contratto preliminare del 9 ottobre 1990 si era obbligato ad acquistare da D.T.N. la quota indivisa di sua proprietà relativa al complesso immobiliare sito in (OMISSIS), esteso complessivamente mq. 3854 (in catasto al foglio 25, particelle 50, 380 e 500), per il prezzo complessivo di L. 140.000.000, versato integralmente all’atto della sottoscrizione dello stesso preliminare; – che, in conseguenza dell’inadempimento del suddetto promittente venditore, aveva proposto domanda giudiziale dinanzi al Tribunale di Trani ai sensi dell’art. 2932 c.c.; – che, nelle more dell’intrapreso giudizio, era venuto a conoscenza che l’immobile oggetto del preliminare di vendita, era stato sottoposto a pignoramento nel corso di una procedura esecutiva immobiliare iniziata da un istituto di credito, in conseguenza del quale l’indicato immobile era stato posto in vendita forzata, al cui incanto esso attore – in quanto già proprietario di altre quote indivise – era stato costretto a partecipare, nella qualità di amministratore unico dell’Edilizia Lettini di Lettini Vincenzo & C. s.a.s., aggiudicandosi il bene, già oggetto del preliminare, con il versamento del prezzo dì L. 160.000.000, maggiore rispetto a quello convenuto e versato direttamente al promittente alienante; – che, con sentenza n. 1001 del 24.10/9.11.1995, l’adito Tribunale di Trani, prendendo atto della giuridica impossibilità di dare attuazione in forma specifica al regolamento negoziale contenuto nel preliminare di vendita a seguito dell’intervenuta vendita all’incanto dell’immobile costituente l’oggetto ed accertato l’inadempimento del convenuto, accoglieva la domanda di condanna di quest’ultimo al pagamento della pattuita penale di L. 40.000.000, ma non si pronunciava sulla domanda di restituzione del prezzo a suo tempo corrisposto al promittente venditore, trattandosi di domanda formulata per la prima volta in comparsa conclusionale; – che, in virtù di apposito procedimento cautelare esperito da esso attore, con ordinanza del 9 aprile 1996 il competente giudice designato lo aveva autorizzato a procedere a sequestro conservativo nei confronti del D.T. sino alla concorrenza di L. 200.000.000, che veniva eseguito nell’ambito del procedimento di espropriazione e del prezzo incassato dalla vendita coatta; – che esso attore, stante l’inadempimento totale ed in mala fede del D.T., aveva diritto alla restituzione del prezzo versato al momento della stipula del menzionato preliminare, maggiorato degli accessori di legge. Sulla scorta di tali premesse il L. conveniva in altro giudizio, sempre dinanzi al Tribunale di Trani, il D.T.N. per sentir dichiarare risolto, per esclusiva responsabilità dello stesso, il richiamato contratto preliminare, con la consequenziale condanna del D.T. alla restituzione della somma di L. 140.000.000, incassata a titolo di prezzo, oltre agli accessori di legge e al rimborso delle spese processuali.

Nella costituzione e nella resistenza del predetto convenuto (che instava per la declaratoria di litispendenza o continenza di cause, in virtù della pendenza del giudizio di appello avverso la sentenza n. 1001 del 1995 del medesimo Tribunale, oltre ad insistere per il rigetto, nel merito, della proposta domanda), il Tribunale adito, con sentenza n. 845 del 3-15.7.1999, accoglieva la domanda attorea e, dichiarato risolto per grave inadempimento imputabile al D.T. il preliminare intercorso tra le parti il 9 ottobre 1990, condannava il convenuto alla restituzione, in favore dell’attore, della somma di L. 140.000.000, già corrisposta all’atto della stipula dello stesso preliminare, quale prezzo infatti già interamente versato per l’acquisto dell’immobile che il D.T. avrebbe dovuto trasferire al L. con il contratto definitivo mai concluso. Con la stessa decisione il suddetto Tribunale dichiarava inammissibile una domanda riconvenzionale proposta dal D.T., perchè tardiva, condannandolo alla rifusione delle spese giudiziali.

A seguito di interposto appello avverso la suddetta sentenza da parte del D.T., nella resistenza dell’appellato L.V., l’adita Corte di appello di Bari, con sentenza n. 459 del 2004, depositata il 25 maggio 2004, rigettava il formulato gravame, confermando l’impugnata sentenza, con la condanna dell’appellante al pagamento delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale rilevava l’infondatezza dei motivi pregiudiziali riconducibili alle eccezioni di giudicato e di litispendenza o continenza tra cause (non sussistendone i rispettivi presupposti), del motivo propriamente afferente al merito dell’azione e confermava la correttezza della declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale, siccome intempestiva. Nei confronti di tale sentenza (non notificata) ha proposto rituale ricorso per cassazione (notificato il 7 luglio 2005) il D.T.N., articolato in quattro motivi, al quale ha resistito con controricorso il L.V.. Il solo difensore del controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto, avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c. nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione alla formazione del giudicato sul rigetto della domanda di restituzione della somma di L. 140.000.000.

Secondo la prospettazione del D.T. la Corte territoriale avrebbe errato nel respingere l’eccezione di giudicato esterno dallo stesso formulata sul presupposto che la domanda di risoluzione del contratto e la connessa domanda di risarcimento danni (o meglio: di restituzione del prezzo di L. 140.000.000) avanzata in quel giudizio fosse stata dichiarata inammissibile, non tenendosi conto che questa Corte, con la sentenza n. 15883 del 2003, aveva escluso che fosse intervenuta una pronuncia del Tribunale dichiarativa dell’inammissibilità sulla domanda ex art. 1453 c.c. di restituzione della predetta somma.

1.1. Il motivo è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

Sul piano generale si ricorda che, ai fini dell’accertamento della preclusione derivante dall’esistenza di un giudicato esterno, fondamentale ed imprescindibile risulta, oltre all’identificazione della statuizione contenuta nella precedente decisione, il raffronto della stessa con l’oggetto specifico del processo nell’ambito del quale il giudicato dovrebbe fare stato, considerandosi, altresì, che può formare oggetto di un giudicato interno, in conseguenza della mancata impugnazione ad opera della parte interessata, solo una questione suscettibile di autonoma e specifica decisione ad opera del giudice. Pertanto non è configurabile un potenziale giudicato – nè, quindi, sussiste un onere della parte interessata di proporre impugnazione al riguardo – in relazione ad argomentazioni che il giudice adopera nella sentenza solo per chiarire il percorso logico della propria motivazione, ma che non si traducono in un accertamento isolabile dal contesto dell’argomentazione stessa, logicamente indispensabile per sorreggere la decisione vertente su una questione diversa.

Orbene, nella fattispecie, la Corte di appello barese, nella sentenza impugnata, ha dato conto, in modo corretto, che l’azione di risoluzione per inadempimento con la correlata azione di restituzione del prezzo anticipato dal L., siccome ritenuta intempestivamente introdotta nel precedente giudizio, senza che sulla stessa fosse intervenuta una statuizione di merito, avrebbe potuto essere introdotta in altro diverso giudizio (come, oltretutto, sostenuto dallo stesso Tribunale di Trani nella sentenza n. 1001 del 1995, con la quale si era pronunciato sulla sola domanda, qualificata ammissibile, relativa alla condanna del D.T. al pagamento della penale conseguente alla violazione degli obblighi assunti con il contratto preliminare del 9 ottobre 1990). Del resto, questa Corte, decidendo con la sentenza (a cui fa riferimento il ricorrente) n. 15886 del 2003 sul ricorso formulato avverso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 79 del 2000 (inerente appunto il gravame avverso la citata sentenza di primo grado del Tribunale di Trani n. 1001 del 1995), l’ha cassata (J ritenendo che il giudice di appello aveva errato nel dare una diversa interpretazione del "decisum" e nell’individuare una "ratio decidendi" non corrispondente a quella che era stata posta effettivamente a base della decisione di prime cure e che, invece, aveva, in via esclusiva, investito correttamente la domanda concernente il pagamento della penale. Da ciò, nella stessa richiamata sentenza di questa Corte di cassazione con rinvio (al fine della rivalutazione sulla sussistenza o meno del diritto del L. ad ottenere il pagamento della penale) viene univocamente attestato (v. pag. 11) che non si era formato alcun giudicato per mancata impugnazione, da parte del precedente appellato L., di una pronuncia del tribunale di declaratoria di inammissibilità della domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. e di quella connessa concernente la restituzione del prezzo anticipatamente corrisposto, che, in realtà, non vi era mai stata.

Pertanto, in virtù dell’appena richiamata statuizione di questa Corte con cui è stato escluso che si fosse formato un giudicato (anche implicito) sulla domanda risolutoria e di restituzione del prezzo in favore del L. (aderendosi all’impostazione della sentenza di prima istanza), il primo motivo dedotto dal D.T. va respinto.

2. Con il secondo motivo ha prospettato, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 c.p.c., congiuntamente all’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Ad avviso del ricorrente il giudizio instaurato con l’atto di citazione del 6 maggio 1996 aveva identico contenuto rispetto al precedente giudizio promosso dal L. con l’atto di citazione del 14 settembre 1991, poichè, in entrambi, risultava essere stata richiesta la restituzione dell’importo di L. 140.000.000. Pertanto, la Corte barese sarebbe incorsa in errore nella parte in cui aveva ritenuto insussistente il rapporto di litispendenza denunciato sul rilievo che la declaratoria di rigetto della menzionata domanda di restituzione, in quanto tardivamente proposta, aveva valore esclusivamente endoprocessuale e non precludeva, conseguentemente, la riproposizione della stessa domanda in altro giudizio.

2.1. Anche questo motivo è destituito di fondamento e deve, perciò, essere respinto. E’ risaputo (cfr., ad es., Cass. 20 settembre 2004, n. 18854; Cass. 25 novembre 2004, n. 22252; Cass. 23 gennaio 2006, n. 1218) che la litispendenza postula la contemporanea pendenza della stessa causa davanti a giudici diversi e la relativa questione (che è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche in sede di legittimità) deve essere decisa con riguardo alla situazione processuale esistente al momento della decisione, con l’individuazione dell’onere, a carico della parte che la eccepisce, di produrre i documenti necessari per la verifica della persistenza della dedotta situazione fino all’udienza di discussione.

Ciò posto, la Corte territoriale ha esattamente rilevato, sulla scorta della valutazione delle domande effettivamente proposte e in base alle argomentazioni riferite al primo motivo, che nel giudizio pendente dinanzi ad essa si discuteva della sola risoluzione del contratto preliminare stipulato fra le parti il 9 ottobre 1990 con relativa richiesta della restituzione del prezzo pagato anticipatamente dal L. (quale promissario acquirente), mentre nel giudizio pendente in cassazione si controverteva unicamente dell’attribuzione della penale e non della restituzione del prezzo, ragion per cui le domande in questione (pur essendo relative agli stessi soggetti) riguardavano "petita" diversi. Ed è stata questa stessa Corte, con la già richiamata sentenza n. 15886 del 2003, che ha avvalorato la riportata impostazione della Corte territoriale, avendo definito e delimitato i confini della prima domanda da intendersi rivolta alla sola esistenza o meno dell’obbligo del D. T. al pagamento della penale con riferimento al suo dedotto inadempimento, sulla quale è stata chiamata a pronunciarsi, in sede di rinvio, altra Sezione della Corte di appello di Bari (dinanzi al quale sembrerebbe tuttora pendente il relativo giudizio per quanto dedotto dal D.T. in ricorso), senza che la stessa, quindi, includesse anche la domanda di risoluzione e restituzione del prezzo.

3. Con il terzo motivo ha denunciato – in relazione allo stesso art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1442, 1218 e 1253 c.c., nonchè degli artt. 159, 343, 436, 447 bis e 416 c.p.c., unitamente all’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Secondo la deduzione del ricorrente la Corte territoriale avrebbe errato nella parte in cui aveva apoditticamente escluso la configurabilità, nella fattispecie, di un’eccezione riconvenzionale solo in quanto egli l’aveva qualificata "domanda riconvenzionale".

Invero, anche a voler considerare pacifica la circostanza della decadenza dalla domanda riconvenzionale avanzata dallo stesso D. T., si sarebbe dovuto considerare altrettanto certo che, in forza del principio di conversione dell’atto processuale nullo, quella domanda riconvenzionale, colpita, in quanto tale, dalla preclusione, aveva prodotto l’effetto di una mera eccezione di annullabilità come prevista dall’art. 1442 c.c., avente l’unico scopo di conseguire il rigetto della domanda di esecuzione del contratto avanzata dalla società, ragion per cui, non essendo stata detta eccezione esaminata dal giudice di primo grado, avrebbe dovuto trovare operatività il disposto dell’art. 346 c.p.c..

3.1. Anche questo motivo è privo di pregio e va respinto.

Rileva il collegio, innanzitutto, che si profila corretta (e lo ammette lo stesso ricorrente) la statuizione della Corte barese che ha qualificato come domanda riconvenzionale la richiesta del D. T. diretta non solo ad ottenere il rigetto dell’avversa domanda ma anche una pronuncia propriamente costitutiva in suo favore di inefficacia del contratto preliminare, con la sua conseguente inammissibilità in difetto di tempestività della costituzione del medesimo D.T.. Tuttavia, se pur si fosse voluta ritenere convertita (cfr. Cass. 7 ottobre 2004, n. 19985) tale richiesta in (ammissibile) eccezione riconvenzionale di annullabilità del contratto rispetto a quella di esecuzione formulata dall’attore, la Corte territoriale ha, con motivazione logica ed adeguata, comunque statuito sulla stessa in virtù di idonei accertamenti di merito relativi all’interpretazione del contratto e al comportamento delle parti che sfuggono, pertanto, al sindacato di legittimità, sul presupposto generale che, nei contratti bilaterali, le reciproche prestazioni integrano gli elementi essenziali del contratto medesimo, per cui l’accordo in ordine ad essi non può essere assunto come condizione in senso tecnico, dato che questa costituisce un elemento accidentale estraneo alla struttura tipica del negozio, mentre le prestazioni reciproche attengono all’esistenza stessa del negozio, in quanto ne costituiscono la causa in senso tecnico-giuridico. Sulla scorta di tanto, il giudice di appello ha correttamente rilevato che l’obbligo del D.T. di liberare l’immobile da pesi pregiudizievoli doveva ritenersi stipulato in favore del promissario acquirente e del diritto di costui di acquisire l’immobile libero da vincoli, con la conseguenza che non poteva essere possibile, nell’economia e nell’inquadramento funzionale del contratto concluso, che questa previsione si sarebbe potuta trasformare in una condizione risolutiva del preliminare (rilevante ai sensi dell’art. 1353 c.c. e non dell’art. 1253 c.c., come inesattamente riportato nella rubrica del motivo) stipulata in favore del promittente venditore, di cui avrebbe premiato l’inadempimento (relativo, appunto, all’assolvimento dell’indicato obbligo). Inoltre, la stessa Corte barese – con valutazione di merito altrettanto insindacabile in questa sede in quanto congruamente giustificata sul piano dell’argomentazione logica – giuridica – ha correttamente ritenuto che l’inadempimento, da parte del D.T., dell’obbligo di stipulare il preliminare non avrebbe potuto trovare alcun giuridico fondamento nella mera circostanza che altri creditori insoddisfatti avevano agito esecutivamente, sulla base di altri titoli, sullo stesso immobile promesso in vendita in favore del L..

4. Con il quarto ed ultimo motivo, anch’esso riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, ha assunto la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.p.c. oltre l’omessa motivazione su un punto decisivo della causa.

Con la relativa doglianza il ricorrente censura la sentenza impugnata nel passaggio argomentativo in cui ha ritenuto assorbite, in conseguenza della ravvisata decadenza dalle eccezioni di nullità ed inefficacia del contratto preliminare di vendita del 9 ottobre 1990 per sussistenza di una condizione implicita o inespressa e per esclusione di un inadempimento colposo, le richieste di ammissione dell’interrogatorio formale e della prova testimoniale articolate da esso ricorrente già in primo grado con la memoria difensiva del 29 dicembre 1997 (i cui relativi capitoli risultano riportati nello stesso ricorso) e relative, essenzialmente, all’eventuale consapevolezza del promittente acquirente del vincolo esistente sull’immobile al momento della stipulazione del contratto preliminare.

4.1 Anche quest’ultimo motivo è infondato e va respinto.

Costituisce principio costante della giurisprudenza di questa Corte che, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (se ritenuti necessari), nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni.

La Corte territoriale, nell’esercizio del suo potere valutativo discrezionale, in virtù di una correlazione logico – sistematica con le precedenti argomentazioni operate rapportate alle circostanze dedotte con le istanze istruttorie, ha congruamente ritenuto irrilevante l’accertamento delle circostanze medesime perchè, appunto, relative a fatti ininfluenti ai fini della decisione, già fondata sul rigetto (anche nel merito) delle precedenti difese dell’appellante sulla scorta di valutazioni giuridiche (reputate corrette per quanto esposto in ordine al terzo motivo) da ritenersi assorbenti con riferimento all’inconfigurabilità della condizione supposta dallo stesso D.T. e alla rilevanza della modalità di assoggettamento dell’immobile, oggetto del preliminare, alla procedura esecutiva. In tal modo, quindi, sulla scorta di quanto osservato appunto anche con riferimento al terzo motivo, la Corte barese ha escluso, con motivazione essenziale ma logica e sufficiente, ogni decisività delle circostanze che il D.T. avrebbe voluto provare e, quindi, l’indispensabilità dei relativi accertamenti istruttori, così restando insussistente anche ogni violazione dell’art. 2697 c.c..

5. In definitiva, il ricorso deve essere respinto e al suo rigetto consegue la condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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