Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 14-12-2010) 23-02-2011, n. 7085

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Giudice di pace di Milano, con sentenza del 4 febbraio 2010, ha assolto T.C. dal reato di ingiuria ascrittogli per avere pronunciato all’indirizzo del suo dipendente C.R., che proponeva ricorso per cassazione ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 21 la parola greca malakas, che sembra debba essere tradotta in figlio di puttana o, rincoglionito, stronzo e/o pirla per la mancanza di offensività del termine usato.

Con il ricorso per cassazione la parte civile C.R. deduceva:

1) la inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 594 c.p.essendo il termine usato dall’imputato certamente offensivo su un piano oggettivo e soggettivo;

2) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e d) per la mancata acquisizione del cd-rom prodotto dal ricorrente, contenente l’ammissione dell’addebito da parte dell’imputato, sulla base dell’erroneo richiamo alla normativa di cui all’art. 268 c.p.p., risultando applicabile nel caso di specie la disposizione di cui all’art. 234 c.p.p..

Il processo trattato alla udienza del 14 dicembre 2010 veniva rinviato per la deliberazione alla udienza del 18 gennaio 2011.

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto dalla parte civile C.R. sono fondati.

Correttamente la parte civile C. ha proposto ricorso per cassazione e, quindi, la richiesta del procuratore generale di qualificare l’impugnazione appello deve essere disattesa.

E’, infatti, ormai principio consolidato che avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata dal Giudice di pace sia proponibile soltanto il ricorso per cassazione, anche ai fini penali ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 38 qualora il procedimento sia stato instaurato a seguito di ricorso immediato al giudice (vedi Cass., Sez. 5^, n. 4695 del 5 dicembre 2008 – 3 febbraio 2009, rv 242605).

E’ stato, infatti, osservato, tra l’altro, che per quanto riguarda il procedimento dinanzi al Giudice di pace, la modifica del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 36 – ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale con sentenza del 9 luglio 2008 n. 298 – attuata con la L. 20 febbraio 2006, n. 46, ha comportato che il Pubblico Ministero non ha più il potere di appellare le sentenze di proscioglimento.

Orbene in virtù del richiamo all’ambito dei poteri di impugnazione del pubblico ministero stabilito dall’art. 38 del D.Lgs. citato, identica contrazione ha subito, di riflesso, la persona offesa che agisca in veste di accusatore privato mediante ricorso immediato al giudice di cui all’art. 21.

Si deve, pertanto, concludere che sia il pubblico ministero che la persona offesa possono proporre, secondo il novellato regime delle impugnazioni, soltanto ricorso per cassazione.

Siffatta limitazione riguarda per la parte offesa soltanto la impugnazione che concerna i profili penali perchè per gli aspetti civili la parte civile ha facoltà di proporre appello ai sensi dell’art. 576 c.p.p. contro la sentenza di proscioglimento pronunciata in primo grado, statuizione questa che vale anche per il procedimento innanzi al giudice di pace (vedi SS.UU. 29 marzo 2007, n. 27614, rv 236539).

Nel merito il ricorso è fondato.

La sentenza impugnata ha affermato, tra l’altro, che il termine greco malakas non significherebbe figlio di puttana e, quindi, non sarebbe offensivo.

L’esame, però, di alcuni vocabolari dal greco moderno all’italiano dimostra che il termine malakas deve essere tradotto come colui che si masturba ed in senso figurato – in tal senso sarebbe stato usato nel caso di specie – rincoglionito, rammollito, stronzo, coglione.

La portata offensiva dell’epiteto appare, pertanto, essere fuori discussione e non si comprende per quali ragioni il Giudice di pace abbia affermato che la maggior parte delle persone non darebbe alla espressione una valutazione ingiuriosa.

Trattasi di affermazione apodittica non sembrando essere questo il comune sentire di cui si deve tenere conto.

Quanto al problema della prova che sia stato l’imputato a pronunciare l’espressione incriminata va detto che la parte civile aveva chiesto l’acquisizione di un dischetto registrato, che il Giudice non ha acquisito agli atti perchè la registrazione non era avvenuta nei modi e con le garanzie previste dall’art. 268 c.p.p..

La decisione non è condivisibile perchè la Suprema Corte, correttamente interpretando gli artt. 266, 267 e 268 c.p.p., ha stabilito che la registrazione di una conversazione, sia telefonica, sia tra persone presenti, da parte di uno degli interlocutori, non necessita di autorizzazione del gip ai sensi dell’art. 267c.p.p..

In tale ipotesi, infatti, viene meno l’esigenza di tutela della riservatezza ed ogni interlocutore diventa lecitamente un potenziale testimone che compie attività di memorizzazione, mediante apposito strumento, di notizie che apprende dall’altro (tra le tante, vedi Cass., 14 aprile 1999, Iacovone, CED 213458; Cass., 2 marzo 1999, Cavinato; Cass., 11 giugno 1998, Cabrini).

Per le ragioni indicate la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame al Giudice di pace di Milano.
P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al giudice di pace di Milano.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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