Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con ricorso iscritto al numero di registro generale 7389 del 2000, i Sig.ri C.I. e A.M.F., proprietari di un fabbricato per civile abitazione sito nel Comune di Arpaia (BN) alla via Corte n. 2 composto da piano seminterrato, piano rialzato, primo piano e sottotetto, impugnano l’ordinanza meglio specificata in epigrafe con la quale è stato ingiunto il ripristino della destinazione d’uso del piano seminterrato.
Gli esponenti affidano il mezzo di gravame ai motivi di diritto di seguito rubricati:
I) violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della L. 7 agosto 1990 n. 241, eccesso di potere per violazione delle norme sul giusto procedimento;
II) violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 12 della L. 28 febbraio 1985 n. 47, eccesso di potere per ingiustizia manifesta, carenza di motivazione;
III) violazione e falsa applicazione dell’art. 25 della L. 28 febbraio 1985 n. 47, eccesso di potere per travisamento dei fatti ed errore nei presupposti;
IV) violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del Regolamento Edilizio, eccesso di potere per errore nei presupposti ed ingiustizia manifesta;
V) violazione e falsa applicazione dell’art. 17 delle Norme di Attuazione del P.R.G., ulteriore errore nei presupposti.
Resiste in giudizio il Comune di Arpaia che contesta il dedotto e conclude per la reiezione del ricorso.
Il Tribunale ha respinto la domanda cautelare con ordinanza n. 577 del 7 febbraio 2001.
Alla pubblica udienza del 26 gennaio 2011 la causa è stata spedita in decisione.
2. Il gravame è infondato e deve essere respinto per quanto di ragione.
3. Non coglie nel segno la prima censura che attiene all’omessa comunicazione di avvio del procedimento culminato con l’adozione dell’impugnato provvedimento. Invero, il Collegio non ritiene di discostarsi dal consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui il presupposto per l’adozione dell’ingiunzione di demolizione o ripristino delle opere edilizie abusive è rappresentato dalla constatata esecuzione dell’opera in totale difformità del titolo concessorio o in assenza del medesimo, con la conseguenza che tale provvedimento, ove ricorrano i predetti requisiti, è atto dovuto ed è sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, essendo in re ipsa l’interesse pubblico alla sua rimozione: dalla dovutezza dell’atto di demolizione, che non avrebbe potuto avere contenuto diverso da quello adottato, discende, poi, l’inconsistenza della violazione dell’art. 7 L. 241/90 (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 25 febbraio 2009 n. 1100 e 7 febbraio 2008 n. 603).
4. Parimenti infondato si appalesa il secondo motivo di ricorso con cui i ricorrenti lamentano il difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata e l’omessa descrizione precisa e dettagliata dell’opera da ripristinare.
4.1. In senso contrario, è agevole rilevare che il provvedimento contiene specifica indicazione sia del bene oggetto dell’ingiunzione di ripristino sia delle relative ragioni logico – giuridiche ai sensi dell’art. 3 della L. 241/90 e che, in particolare, essa rinvia per relationem agli atti istruttori ivi menzionati (relazione tecnica del Responsabile del Settore Terremoto e perizia depositata presso il Tribunale di Benevento dal C.T.U. Ing. Francesco Romano).
4.2. In dettaglio, premesso che, nel progetto originario al piano seminterrato erano stati assentiti vani garage, depositi e cantina:
– nella predetta relazione tecnica si dava atto che i coniugi I. e F. hanno reso abitabile il piano seminterrato con ulteriore aggravio di cubatura sul lotto edificato e sull’intero comparto pari a mc. 788,48, procedendo inoltre all’accatastamento dell’immobile dal quale risulta che il piano seminterrato ed il piano rialzato sono stati riportati come unica unità abitativa;
– nella consulenza tecnica d’ufficio redatta nella causa civile che vedeva contrapposti i ricorrenti ai Sig.ri Ruggiero Michele e Giovannetti Giovanna e versata agli atti di causa, si legge che, all’esito di un sopralluogo, il C.T.U. aveva constatato il cambio di destinazione dei locali posti al piano seminterrato che è stato dotato di aperture in grado di dare aria e luce all’intero piano, di impianto elettrico, idrico, igienico – sanitario (pagina 6 della relazione di consulenza tecnica), opere che hanno trasformato "definitivamente il seminterrato in appartamento residenziale" (pagine 1 e 2 della relazione del C.T.U. integrativa intitolata "chiarimenti sui rilievi presentati dall’attore") ed effettivamente abitato dai coniugi I. e F..
5. Neppure merita condivisione il terzo profilo di illegittimità dedotto, con cui i ricorrenti contestano la sussistenza di un effettivo mutamento di destinazione urbanistica, sostenendo viceversa che si tratterebbe di un mero cambio d’uso, come tale non sottoposto al rilascio del titolo concessorio.
5.1. In ordine a tale motivo di diritto, giova premettere una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento che attiene al mutamento di destinazione, come tratteggiato dalla giurisprudenza di questo Tribunale (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 14 marzo 2006 n. 2931).
L’istituto in argomento ha trovato un’organica disciplina nella L. 28 febbraio 1985 n. 47.
5.2. Secondo l’autorevole lettura offerta dalla Corte Costituzionale (sentenza 11 febbraio 1991 n. 73), la precitata legge, per quel che riguarda il mutamento di destinazione, all’art. 8 ne ha previsto l’assoggettabilità al regime della concessione solo quando sia connessa a variazioni essenziali "del progetto", comportanti variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968.
Doveva, quindi, ritenersi esclusa dal regime della concessione ogni ipotesi di mutamento di destinazione non connessa con modifiche strutturali dell’immobile.
5.3. Viceversa, il mutamento di destinazione comunque accompagnato da qualsiasi intervento edilizio (per il quale non sia altrimenti prevista la concessione), anche se solo interno, è invece assoggettato dall’art. 26 della L. 47/1985 al regime dell’autorizzazione, ciò desumendosi dall’eccezione ivi espressamente prevista rispetto al regime ordinario delle opere interne.
5.4. Del mutamento di destinazione senza opere, si occupava, invece, l’ultimo comma dell’art. 25 della legge statale citata che attribuiva alle Regioni il potere di fissare con legge i casi in cui il mutamento di destinazione d’uso, anche senza opere, può essere soggetto a concessione oppure ad autorizzazione.
5.5. In seguito, nel novellato quadro ordinamentale, l’art. 10 del D.P.R. 380/2001 ha previsto, al comma 2, che le Regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività.
5.6. La Regione Campania, ai sensi dell’art. 2 della L.Reg. 28 novembre 2001 n. 19, ha previsto che possono essere realizzati in base a semplice denunzia d’inizio attività, tra gli altri, "i mutamenti di destinazione d’uso d’immobili o loro parti, che non comportino interventi di trasformazione dell’aspetto esteriore, e di volumi e superfici".
5.7. Viceversa, restano soggetti a permesso di costruire i mutamenti di destinazione d’uso, con opere che incidono sulla sagoma dell’edificio o che determinano un aumento volumetrico, che risulti compatibile, con le categorie edilizie previste per le singole zone omogenee (comma 6) quelli con opere che incidano sulla sagoma, sui volumi e sulle superfici, con passaggio di categoria edilizia, purché tale passaggio sia consentito dalla norma regionale (comma 7) ovvero quelli programmati nelle zone agricole – zona E (comma 8).
5.8. Di contro, ai sensi del comma 5, il mutamento di destinazione d’uso senza opere, nell’ambito di categorie compatibili alle singole zone territoriali omogenee, è libero.
5.9. Tali principi sono stati espressi anche da questa Sezione (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 10 novembre 2010 n. 23752) che ha distinto tra:
I) mutamento d’uso "funzionale" di un locale, inteso quale variazione di destinazione degli immobili non implicante la realizzazione di opere edilizie, per il quale non è necessario il permesso di costruire: difatti, lo stesso è espressione dello "ius utendi" e non già dello "ius aedificandi" (T.A.R. Lazio, Latina, 4 maggio 2010 n. 686).
II) mutamento di destinazione d’uso non già funzionale, bensì "strutturale" (e, cioè, connesso e conseguente all’esecuzione di opere) il quale, al contrario, necessita di apposito titolo concessorio il cui difetto legittima la demolizione delle opere stesse: al riguardo si è osservato che in detta evenienza rileva il profilo risultante dalla combinazione dei due elementi individuati (il mutamento di destinazione d’uso del fabbricato interessato ai lavori e la realizzazione di opere a quello finalizzata) sicché andranno considerate abusive, qualora realizzate in assenza del titolo edilizio, non solo le opere di costruzione vere e proprie ma anche quei lavori interni che, per quanto modesti, appaiono necessari a rendere possibile la nuova destinazione.
5.10. Applicando tali principi alla fattispecie in esame (che è governata ratione temporis dalla L. 47/1985), il Collegio ritiene che il provvedimento impugnato sia stato legittimamente adottato, trattandosi di intervento edilizio che necessitava del permesso di costruire, tenuto conto delle caratteristiche delle opere edilizie, consistenti appunto nella modifica della destinazione d’uso "strutturale", accompagnata cioè dalla realizzazione di opere (es. aperture e realizzazione di impianti, come indicato dal C.T.U. nel giudizio civile) e della circostanza che i lavori in questione hanno effettivamente conferito ai locali una destinazione residenziale, in quanto appaiono univocamente volti a rendere gli stessi abitabili e destinati alla stabile permanenza di persone.
5.11. Quindi, ai sensi delle richiamate disposizioni e alla luce degli orientamenti giurisprudenziali espressi da questo T.A.R., tali opere necessitavano del titolo concessorio che, al contrario, non è stato preventivamente richiesto dal ricorrente: per l’effetto, sussistevano i presupposti normativi per l’adozione della gravata ordinanza di ripristino ai sensi dell’art. 7 della L. 47/1985.
6. E’ inoltre infondata la quarta censura con la quale parte ricorrente contesta uno dei presupposti sui quali si fonda l’ordinanza impugnata (aggravio di cubatura sul lotto) sostenendo viceversa che il piano seminterrato non andava calcolato nella volumetria complessiva, trattandosi di locali completamente interrati secondo le previsioni contenute nel Regolamento Edilizio.
6.1. La deduzione è priva di pregio in quanto la nozione di piano interrato la cui volumetria non è computabile va ristretta alla destinazione degli stessi ad usi episodici o meramente complementari, per cui, viceversa, il locale seminterrato adibito ad attività umane di tipo continuativo, con presenza e permanenza di persone, va disciplinato a tutti gli effetti come locale costruito sopra il piano di campagna e deve essere considerato ai fini del calcolo della volumetria assentibile in relazione ai carichi urbanistici che ne derivano (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV 22 gennaio 2007 n. 571; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 11 marzo 2009 n. 475).
7. Le svolte considerazioni conducono alla reiezione dei motivi di ricorso scrutinati, con superfluità dell’ultima censura articolata nel ricorso (con la quale i ricorrenti contestano l’erroneità del calcolo del carico volumetrico aggiuntivo indicato nell’impugnata ordinanza di ripristino) in quanto, per le ragioni illustrate, il provvedimento si fonda legittimamente sul mutamento di destinazione impresso ai locali posti al piano seminterrato e sulla mancanza del prescritto titolo concessorio.
8. Spese ed onorari di giudizio seguono lo soccombenza e vengono liquidati come da dispositivo in favore dell’amministrazione comunale con distrazione in favore del difensore antistatario che ne ha fatto richiesta ai sensi dell’art. 26 del cod. proc. amm. e dell’art. 93 del cod. proc. civ..
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna I.C. e F.A.M., in solido tra loro, al pagamento, in favore del Comune di Arpaia, delle spese ed onorari di giudizio che liquida in complessivi Euro 1.000,00 (mille/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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