Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 25-02-2011) 07-03-2011, n. 8924

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.D. ricorre per cassazione a mezzo del suo difensore contro la sentenza indicata in epigrafe, che ha confermato la decisione, con la quale il Tribunale di Napoli ha dichiarato l’imputato colpevole del reato di falsa testimonianza ex art. 372 c.p. e condannato alla pena di giustizia.

A sostegno della richiesta di annullamento dell’impugnata decisione il ricorrente denuncia la violazione della legge processuale, sostenendo che l’imputato non avrebbe potuto essere esaminato come testimone assistito ai sensi dell’art. 197 bis c.p.p. ma ai sensi dell’art. 210 c.p.p., non foriero di contestazione alcuna di falsa testimonianza, riferendosi la prima norma processuale testualmente alle sole ipotesi di imputati in procedimenti connessi ex art. 12 c.p.p., tralasciando del tutto la figura del coimputato nel medesimo reato, come nel caso in esame, con conseguente irrilevanza di eventuali false dichiarazioni. In ogni caso ad avviso della difesa il C. non avrebbe potuto essere scusso quale teste assistito, dovendosi equiparare la sentenza di patteggiamento emessa nei suoi confronti a quella di condanna resa all’esito del giudizio.

Richiamava sul punto le argomentazioni della Corte Cost. nella nota ordinanza in data 22/7/2004, che aveva affrontato la questione, per evidenziare che il soggetto originariamente coimputato nel medesimo reato, non diventa mai completamente terzo rispetto all’imputazione in ordine alla quale è stata applicata una pena e non può essere sottoposto a processo per falsa testimonianza.

Il ricorso non ha fondamento e va rigettato.

Il C. è stato sentito come testimone assistito, ai sensi dell’art. 197/bis c.p.p., dopo che la sua posizione è stata irrevocabilmente definita con sentenza di "patteggiamento", ma il ricorrente assume che doveva essere sentito ex art. 210 c.p.p., con ogni conseguenza in ordine all’applicazione della norma di cui all’art. 197/bis, comma 4 cit. che vieta all’imputato condannato, che nel processo a suo carico aveva negato ogni responsabilità, ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione, di essere obbligato a deporre nel procedimento penale a carico del coimputato.

In realtà l’imputato di procedimento connesso o collegato può assumere automaticamente e legittimamente l’ufficio di testimone assistito, qualora nei suoi confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento o di condanna ovvero, come nel caso in esame, di applicazione della pena su richiesta, e le dichiarazioni rese in dibattimento nei confronti di terzi sono utilizzabili anche se non sono precedute dall’avvertimento di cui all’art. 64 c.p.p..

In queste ipotesi infatti all’imputato in un procedimento connesso o collegato deve essere riconosciuta una piena capacità di testimoniare a prescindere da ogni considerazione sulle eventuali dichiarazioni rese durante le indagini o sul fatto che non abbia ricevuto gli avvertimenti, giacchè l’esigenza di non ledere la sua posizione è recessiva una volta che il suo procedimento si sia concluso irrevocabilmente, con la conseguenza che la garanzia di cui all’art. 64 c.p.p. rimane priva di concreta funzione (ex multis Cass. Sez. 6 5/5 – 31/5/10 n. 19342 Rv. 247054; 6/11/06 – 12/2/07 n. 5781 Rv. 235709/7/5 – 30/5/03 n. 24075 Rv. 226081).

La stessa Corte Cost. nell’ordinanza n. 456/2007, analizza proprio il caso di un soggetto, come quello in esame, che, dopo avere definito con sentenza irrevocabile di patteggiamento la propria posizione, era stato sentito ex art. 197 bis c.p.p., nel processo a carico dell’originario coimputato, per affermare la costituzionalità della regola di valutazione delle sue dichiarazioni previste dal comma 6, cit. art., che rimanda all’art. 192 c.p.p., comma 3, in virtù della sua posizione non di teste puro, ma di soggetto comunque contiguo al processo.

In detta ordinanza la Corte ha affermato a chiare lettere che detto dichiarante ha l’obbligo di dire la verità e che è passibile di incriminazione per falsa testimonianza.

Nè vale sostenere, come fa la difesa, la tesi dell’equiparazione della sentenza di patteggiamento a quella di condanna in giudizio, essendo previsto in quest’ultimo caso che il soggetto che nel giudizio a suo carico abbia negato la sua responsabilità, non possa essere obbligato a deporre.

In realtà il testimone imputato in procedimento connesso con posizione definitiva tramite applicazione della pena non beneficia, a differenza di chi sia stato condannato in giudizio, delle garanzie previste dal cit. art. 197 bis, comma 4, primo periodo per colui che non abbia mai reso Separazioni o abbia negato la propria responsabilità. E la ragione sta proprio nella natura della sentenza dl patteggiamento, ormai univocamente riconosciuta, nella giurisprudenza di questa Corte, come non equiparabile ad una pronuncia di condanna, se non nella parte che giustifica per l’affinità individuabile nel solo punto relativo all’applicazione della pena (Cass. Sez. Un. 25/3 – 8/7/98 n. 6 Rv. 210572) e come tale inidonea a determinare un vero e proprio accertamento del fatto.

Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorso al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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