Cass. Pen., Sez. II, – Sentenza 20 aprile 2010, n. 15119. La Cassazione si conforma al dictum delle Sezioni Unite 12433/2010: per la ricettazione non è necessario il dolo diretto ma è sufficiente il dolo eventuale.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 19 marzo 2008, la Corte d’Appello di Trieste, confermava la sentenza del tribunale di Udine, sezione distaccata di Palmanova, in data 23 marzo 2004, che aveva condannato … alla pena di mesi tre di reclusione ed €. 200,00 di multa per il reato di ricettazione di una bicicletta mountan bike, pena sostituita con la pena pecuniaria di €. 2.480,00.
La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto di appello, in punto di sussistenza dell’elemento soggettivo e di qualificazione giuridica del fatto, e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto, ed equa la pena inflitta.
Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando due motivi di gravame.
Con il primo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 648 c.p. relativamente alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato. Al riguardo si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto sufficiente il dolo eventuale, essendo invece necessario il dolo diretto per integrare il reato di ricettazione.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 648 c.p. e 712 c.p. per essere stato il fatto attribuito all’imputato erroneamente qualificato come ricettazione anziché come incauto acquisto.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti e comunque manifestamente infondati.
Con riferimento al primo motivo sollevato, si rammenta in via di principio – in conformità a precedenti arresti di questa sezione – che si configura il reato di ricettazione, sotto il profilo del dolo eventuale, ogniqualvolta l’agente si è posto il quesito circa la legittima provenienza della res risolvendolo nel senso dell’indifferenza della soluzione; si configura invece l’ipotesi di cui all’art. 712 c.p. quando il soggetto ha agito con negligenza nel senso che, pur sussistendo oggettivamente il dovere di sospettare circa l’illecita provenienza dell’oggetto, egli non si è posto il problema ed ha, quindi, colposamente realizzato la condotta vietata (Cass. pen., Sez. 2, 15/01/2001, n. 14170). In sostanza nel delitto di ricettazione è ravvisabile il dolo eventuale quando la situazione fattuale – nella valutazione operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e dell’esperienza – sia tale da far ragionevolmente ritenere che non vi sia stata una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della res, ma una consapevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza (Cass. Pen., Sez. 2, 12/2/1998, n. 3783; Sez. 2, n. 45256 del 22/11/2007 Ud. Rv. 238515).
Tale orientamento ha trovato definitiva conferma in una recentissima pronunzia delle Sezioni Unite (ud. del 26/11/2009) che ha posto fine al dibattito giurisprudenziale sul punto, sancendo la piena configurabilità del reato di ricettazione in presenza del dolo eventuale.
Ciò premesso, occorre osservare che nella fattispecie la Corte di appello ha implicitamente ritenuto sussistente il dolo diretto, rimarcando l’inverosimiglianza della tesi difensiva e rinvenendo nella stessa possibile falsità dell’assunto il più chiaro e inequivoco riscontro della sicura consapevolezza dell’imputato della provenienza illecita dell’assegno.
Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, la censura è manifestamente infondata in quanto la ritenuta sussistenza del dolo diretto esclude in radice che il fatto possa essere fatto rientrare nell’ipotesi colposa dell’incauto acquisto di cui all’art. 712 c.p.
In ogni caso, anche a voler ritenere – in ipotesi – il dolo eventuale, tale atteggiamento psicologico escluderebbe la configurabilità dell’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza.
Nella fattispecie la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito e dell’atteggiamento della volontà dell’agente esclude che l’acquisto del velocipede sia stato frutto di un comportamento meramente imprudente dell’agente.
Trattasi di argomentazioni logicamente motivate e di conclusioni giuridicamente ineccepibili, rispetto alle quali non sarebbe possibile un intervento in sovrapposizione argomentativi di questa Corte.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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