T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, Sent., 07-03-2011, n. 2064 Condono Costruzioni abusive Distanze

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – I ricorrenti, proprietari pro indiviso di un terreno con sovrastante fabbricato sito in località Casal Monastero, Grande Raccordo Anulare Km 29,00, ora Via Rocca di Cave n. 4, propongono ricorso per l’annullamento della Determinazione Dirigenziale n. 43 del 27/01/2006, notificata ai ricorrenti tra 1’8 ed il 10 febbraio 2006, con cui è stata rigettata l’istanza n. 66918 del 28/03/86 sottesa al rilascio di una concessione edilizia in sanatoria ai sensi della L. 47/85, nonché di ogni atto ad essa presupposto o, comunque, ad essa connesso, con specifico riferimento alla nota dell’ A. prot. 32087 del 2/12/05, pervenuta all’Ufficio Condono Edilizio del Comune di Roma il 9/12/03 ed ivi protocollata con il n. 155660;della nota ANAS prot. CRMO03015P del 16/11/06, spedita con raccomandata il 29/11/06 e ricevuta il 5/12/2006, quale atto presupposto al diniego.

2 – La vicenda si riferisce all’istanza di concessione in per l’avvenuta realizzazione, nel 1971, di locali destinati ad attività commerciale, per una superficie utile di mq. 1.086,81, denegata dall’Ufficio Condono Edilizio di Roma sulla base della comunicazione dell’A. del 21/12/05, prot. 32087, costituente parte integrante del provvedimento negativo.

3 – Secondo quanto ampiamente ed analiticamente prospettato dai ricorrenti, il provvedimento dell’USCE, nonché la nota dell’ente preposta alla tutela del vincolo, sono illegittimi per i seguenti motivi:

3.1) Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione in riferimento all’art.32 L.47/85, in quanto la pronuncia dell’A. era stata invocata (ed apparentemente resa), ai sensi dell’art.32 lett.c) della L.47/85 che, viceversa, consente la sanatoria di abusi realizzati nelle fasce di rispetto delle sedi viarie, così come disciplinate dal DM 1404/68, quando l’intervento edilizio sia stato realizzato dopo l’imposizione del vincolo ministeriale e non costituisca minaccia alla sicurezza del traffico. L’A. invece, proseguono i ricorrenti, ha immotivatamente affermato che l’opera è stata realizzata dopo l’entrata in vigore del vincolo e a distanza non conforme ai vincoli di rispetto della viabilità principale della S.S. GRA km. 29,000 come da D.M. 01/04/1968, vincolo PTP 15/9 TLa/13 e situato in zona d’esondazione a quota inferiore a quella di sicurezza, senza peraltro chiarire le ragioni per cui doveva trovare applicazione il DM citato, (disciplinante esclusivamente distanze stradali fuori dal perimetro del centro abitato), in base a quali elementi risultava che l’abuso era stato commesso dopo e perché la distanza del fabbricato da condonare non era conforme alle previsioni del decreto, facendo quindi implicita applicazione dell’art.33 della L.47/85 nonostante il tenore della domanda avanzata dall’USCE facesse riferimento esclusivo all’art.32;

3.2) Violazione di legge: errata applicazione dell’art.33 L.47/85 e mancata applicazione dell’art.32 per inesistente contrasto fra DM n.1404/68 e la distanza del fabbricato, in quanto il DM citato detta le distanze per varie tipologie di strade, ed alla lettera A) si riferisce alle autostrade, imponendo una zona di rispetto di 60 metri, ma alla lettera B) contempla, tra le altre, le strade di scorrimento veloci o i raccordi autostradali "non riconosciuti", fissando il minor limite a metri 40, e nel 1968 era un semplice raccordo autostradale, mentre solo nel 1979, con decreto del Ministero dei LL.PP. del 14 maggio, pubblicato sulla GU dell’8.8.79, è assurto a livello di autostrada. Pertanto, concludono i ricorrenti, essendo stato realizzato l’intervento nel 1970 (anzichè nel 1971 come da richiesta di condono) la distanza dal ciglio del GRA doveva essere inferiore. A tale riguardo, i ricorrenti allegano una perizia giurata di parte secondo la quale, a seguito di rilievi effettuati su mappa catastale, la distanza intercorrente, allora, fra manufatto e ciglio stradale variava da metri 40,90 a metri 39,80 e quindi era, come media, compatibile con quella fissata dal DM;

3.3) Violazione ed errata applicazione dell’art.33 in riferimento al DM 1404/68 sotto altri profili:

inapplicabilità del medesimo sia ai sensi della legislazione previgente al DM 1404 sulla nozione di centro abitato ( DPR 15.6.59 n.393 – Vecchio codice della strada), sia di quella medio tempore sopravvenuta (D.Lgs.30.4.92 – Nuovo codice della strada).

Infatti, argomentano i ricorrenti, il DM n.1404/68 è espressamente riferito alla viabilità posta al di fuori del centro abitato, mentre alla stregua della normativa vigente al momento della realizzazione dell’opera (art.2 dell’allora vigente codice della strada, come espressamente previsto dalla circolare del Ministero dei LL.PP. n.5980 del 30.12.70 in mancanza di una perimetrazione ad hoc a quei tempi da parte del Comune di Roma), il centro abitato è definito come "un insieme contiguo di edifici, strade ed aree", quantificato dal suo regolamento di esecuzione in un "raggruppamento di fabbricati, in numero superiore a 25, che non presenti soluzione di contiguità tranne che per le strade ed aree ad esse circostanti".

Ebbene, proseguono i ricorrenti, dai rilievi aerofotogrammetrici "Sara Nistri" risulta che nel 1967 il comprensorio entro cui sarebbe poi ricaduto il fabbricato era composto da 25 costruzioni,

salite a 36 nel 1969, mentre il Comune di Roma con deliberazione di Giunta n.1287 del 15.6.99 ha poi approvato, ai sensi dell’art.4 del nuovo codice della strada, la nuova delimitazione dei centri abitati nella quale ricade l’intero comprensorio. Pertanto oggi, alla stregua del regolamento d’attuazione del nuovo codice, la distanza minima è di 30 metri, rispettata dal manufatto posto (secondo la perizia giurata citata) a 33,4 metri dall’attuale tracciato stradale.

I ricorrenti richiamano quindi l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’esame di una domanda di condono in zone originariamente vincolate debba esser comunque effettuato con riferimento alla disciplina vigente al momento dell’esame stesso;

3.4) Violazione ed errata applicazione del combinato disposto dell’art.33 L.47/85 e del DM n.1404/68 sotto altro profilo. Omessa considerazione e/ o erronea considerazione della realizzazione di una strada A. interposta fra GRA e fabbricato da condonare. Omessa conseguente applicazione dell’art.32 lett. d) DM, in quanto, in occasione dei lavori eseguiti negli anni 80 per l’allargamento della sede viaria del GRA, fu realizzata una nuova strada, parallela al medesimo e ad esso adiacente con accesso autonomo dal nuovo svincolo realizzato per la nuova centrale del latte e per il nuovo quartiere residenziale adiacente, che dista dal fabbricato da condonare metri 24,50, rappresentando, con la sua tipologia "D" (di interesse locale), l’esclusiva via prossima al fabbricato da prendere in considerazione ai fini della distanza, fissata in metri 20 e quindi rispettata;

4 – A seguito di istanza di riesame dei ricorrenti l’A. ha compiuto una nuova istruttoria e formulato un nuovo parere negativo, chiarendo che alla data di costruzione, successiva all’entrata in vigore del DM 1.4.1969, non veniva rispettata, anche calcolando la nuova via parallela, la prevista distanza minima di 40 metri ai sensi dell’art. 33 dello stesso decreto.

5 – I ricorrenti formulano al riguardo una articolata ed argomentata serie di motivi aggiunti, peraltro per la maggior parte identici (come chiarito dalla stessa difesa di parte ricorrente) a quelli precedentemente illustrati:

5.1) violazione di legge, con riguardo alla collocazione del manufatto all’interno di un centro abitato;

5.2) ulteriore violazione di legge ed erronea valutazione dei presupposti, con riferimento alla mancata considerazione della nuova strada interposta fra GRA e fabbricato;

5.3) eccesso di potere per persistente difetto di motivazione rispetto alle predette circostanze di fatto e di diritto;

5.4) eccesso di potere per difetto dei presupposti e di motivazione avuto riguardo alla mancata confutazione del rispetto della distanza minima dichiarato dalla relazione tecnica giurata di parte ricorrente.

6 – Le due Amministrazioni intimate si son costituite in giudizio per argomentare la piena legittimità del proprio operato, con ampia produzione di atti e di relazioni tecniche dei propri uffici, ed il Comune, in particolare, ha invocato il proprio difetto di legittimazione passiva -rectius la propria estraneità sul punto nell’ambito della propria legittimazione passiva- rispetto ai contenuti del parere, obbligatorio e vincolante, dell’A., ed ha altresì rappresentato che il proprio diniego è derivato anche dai vincoli ambientali e paesistici gravanti sull’area.

7 – I ricorrenti con proprie ampie ed articolate memorie hanno controdedotto, anche su tale punto, affermando che il mero richiamo del provvedimento di diniego ai predetti vincoli, peraltro relativi e quindi implicanti casomai la richiesta di parere degli organi di tutela, nulla dice quanto alla incompatibilità del fabbricato e quindi non può assurgere al ruolo di motivazione.
Motivi della decisione

1 – Ai fini della decisione, il Collegio ritiene necessario chiarire, pur a fronte delle suggestive e ben argomentate tesi di parte ricorrente, la propria adesione all’autorevole orientamento giurisdizionale secondo cui la preesistenza nel tempo di un abuso edilizio e la sua successiva utilizzazione a fini economici (in questo caso, narrano i ricorrenti, quale struttura commerciale di una antica e ben nota azienda automobilistica sportiva europea) non possono, da sole, assicurare alcun affidamento tutelato rispetto all’ imposizione, anche successiva, di vincoli generali di natura paesistica, ambientale o di tutela della pubblica incolumità (in questo caso con riferimento alla circolazione stradale), in ragione della clausola generale di buona fede che informa il nostro ordinamento, e che secondo la più autorevole giurisprudenza vale anche nei rapporti fra amministrazione e cittadino. La predetta clausola risalente allo Stato di diritto liberale, che l’interprete oggi deve necessariamente leggere alla luce dell’art. Art. 41 Cost. secondo cui l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, impedisce quindi di accordare tutela (se non nelle tassative ipotesi previste da norme speciali adottate dal legislatore pro tempore) ad una condizione antigiuridica ed illecita, di cui l’interessato palesa la consapevolezza proprio con la presentazione della domanda di condono, e che secondo le vigenti normative deve ritenersi non compatibile con l’interesse pubblico generale a che i gestori preposti alla circolazione stradale, a maggior ragione in un’arteria di grande rilevanza quale il GRA di Roma, possano adottare nel tempo tutte le misure idonee a garantirne lo svolgimento in condizioni di piena sicurezza anche impegnando le contigue aree di rispetto, senza le indebite limitazioni che potrebbero derivare dal consolidamento di situazioni contrastanti con le specifiche normative, anche di rispetto delle distanze minime delle costruzioni dal ciglio stradale adottate proprio a tal fine.

2 – Secondo una tale ricostruzione della disciplina giuridica applicabile, dunque, alla stregua dell’articolo 32 della legge speciale n. 47/1985, "sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sotto indicate, le opere (…) in contrasto con le norme del decreto ministeriale 10 aprile 1968, n.1404", ma ciò solo, precisa lo stesso articolo della legge speciale (con norma insuscettibile di interpretazione analogica o estensiva), se le opere sono insistenti "su aree vincolate dopo la loro esecuzione" e comunque, "sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico" ponendo la norma, in tal modo, una condizione ostativa che l’Amministrazione potrà superare solo con una motivazione "aggravata" che spieghi le ragioni per cui possa escludere una tale "minaccia", ed il termine "minaccia" utilizzato dal legislatore implica la necessità di escludere anche una futura possibilità di pericolo (ad esempio sotto forma di indebite limitazioni delle aree utilizzabili per ampliamenti volti alla sicurezza) e non solo un "pericolo" attuale.

3 – Applicando il predetto quadro giuridico alla specifica fattispecie, deve trovare applicazione la distanza minima di metri 60, ampiamente violata dal manufatto abusivo, posto che al momento della sua realizzazione in area non edificabile il DM n. 1404 era già in vigore e che il GRA, pur munito di qualificazione autostradale solo successivamente, evidenziava già il suo carattere "strategico", suscettibile di probabili futuri potenziamenti a danno della stessa area. Pertanto, essendo ormai la formalizzazione della natura autostradale del GRA pienamente vigente al momento del parere dell’A., tale Ente doveva considerare a termini di legge il corrispondente valore di non edificabilità di 60 metri, salvo dover congruamente motivare le ragioni per cui non era comunque tecnicamente prevedibile un’utilizzazione a fini di sicurezza (rampe di accelerazione o decelerazione, vie di fuga, spazi di arresto…) dell’area interna al limite di 60 metri occupata dal manufatto, che per ciò stesso avrebbe altrimenti costituito una "minaccia" alla sicurezza del traffico.

4 – Il Collegio, essendo ben al corrente delle oscillazione giurisprudenziali sul punto, osserva altresì che, anche laddove si voglia considerare solo la qualificazione giuridica (non autostradale) del GRA alla data di costruzione del manufatto commerciale di più di 1000 metri quadri in esame, sorto abusivamente in un periodo compreso fra il 1970 (data indicata dai ricorrenti in giudizio) ed il 1971 (data indicata nella domanda di condono edilizio), alla data in cui sono stati emessi i pareri dell’A. si collocava, secondo la stessa perizia dei ricorrenti, ad una distanza seppure di poco inferiore (metri 39,80, oggi scesi a circa 33 metri a seguito di alcuni ampiamenti stradali) rispetto a quella prescritta in tale ipotesi interpretativa (metri 40). Pertanto, anche in tale ipotesi ricostruttiva della fattispecie, l’A. ha del tutto legittimamente, ed anzi doverosamente, considerato che la situazione di diritto (DM del 1968) e di fatto (distanza fra manufatto e tracciato esistente del GRA, attestata dallo stesso perito di parte ricorrente) ostavano all’applicazione delle invocate disposizioni della legge n, 47/1985, essendo il manufatto in contrasto con un vincolo di inedificabilità assoluta posto precedentemente alla sua realizzazione, e neppure essendo, evidentemente, possibile convenire sulla possibilità giuridica (affermata dal consulente di parte) di fare una "media" con le parti dell’edificio poste a distanza maggiore, trattandosi di distanza minima inderogabile riferita alla parte più prossima del fabbricato.

5 – Peraltro, le previsioni del citato DM si riferiscono alle aree esterne ai centri abitati, e pertanto deve essere esaminata l’eccezione di parte ricorrente, volta a dimostrare che all’epoca del parere il manufatto era già collocato nell’ambito di un centro abitato.

6 – Infatti, prospettano i ricorrenti, il DM n.1404/68 è espressamente riferito alla viabilità posta al di fuori del centro abitato, mentre alla stregua della normativa vigente al momento della realizzazione dell’opera (art.2 dell’allora vigente codice della strada) il centro abitato è definito come "un insieme contiguo di edifici, strade ed aree", quantificato dal suo regolamento di esecuzione in un "raggruppamento di fabbricati, in numero superiore a 25" quando, proseguono i ricorrenti, da rilievi aerofotogrammetrici risulta che nel 1967 il comprensorio in esame era composto da 25 costruzioni, salite a 36 già nel 1969.

7 – Al riguardo, peraltro, il Collegio osserva che parte ricorrente non ottempera all’onere di prova gravante su chi propone l’eccezione, in quanto ai fini della configurabilità di un centro abitato non è semplicemente necessario un certo numero di edifici, bensì, recita la norma di legge applicabile pro tempore, ""un insieme contiguo di edifici, strade ed aree", ovvero, chiarisce il regolamento attuativo, un insieme di costruzioni "che non presenti soluzione di contiguità tranne che per le strade ed aree ad esse circostanti", cioè una infrastrutturazione urbana che dalle stesse aerofotogrammetrie risulta, a giudizio del Collegio, non presente nell’area in questione, all’epoca caratterizzata, al contrario, dalla causale disseminazione di manufatti abusivi privi di tessuto connettivo di contiguità, mentre del tutto irrilevante deve restare, necessariamente, l’evoluzione dell’area negli anni successivi al diniego legittimamente opposto, con la conseguente solo successiva classificazione come centro abitato, dovendo di conseguenza trovare applicazione il più volte citato DM del 1968.

8 – Occorre quindi passare all’esame dell’ulteriore censura concernente la violazione ed errata applicazione del combinato disposto dell’art.33 L.47/85 e del DM n. 1404/68 sotto l’altro profilo dell’omessa considerazione della realizzazione negli anni "80 di una strada A. interposta fra GRA e fabbricato, funzionale all’allargamento della sede viaria del GRA e parallela ed adiacente al medesimo con accesso autonomo dal nuovo svincolo realizzato per la nuova centrale del latte e per il nuovo quartiere residenziale adiacente, che dista dal fabbricato da condonare metri 24,50, che con la sua tipologia "D" (di interesse locale), rappresenterebbe, allegano i ricorrenti l’esclusiva via prossima al fabbricato da prendere in considerazione ai fini della distanza, fissata in metri 20 e quindi rispettata.

9 – Al contrario, dalla documentazione acquisita in atti risulta la stretta funzionalità della via in questione, priva di una sua autonoma funzione rispetto alla preesistente viabilità se non in relazione all’accesso in entrata ed in uscita del traffico dal GRA in corrispondenza degli insediamenti indicati, e ciò a giudizio del Collegio continua a radicare l’autonoma considerazione del GRA ai fini del rispetto delle previste distanze e, casomai, potrebbe attrarre anche il nuovo segmento viario, dal punto di vista funzionale, nella qualificazione giuridica del complesso costituito dal GRA e dai relativi svincoli, con conseguente applicabilità delle maggiori distanze previste al riguardo.

10 – Premesso quanto sopra ai fini della valutazione della legittimità del motivo di diniego opposto dall’Amministrazione, deve, comunque, anche essere esaminata la prospettazione difensiva offerta dal Comune intimato, volta ad integrare la motivazione dell’impugnato provvedimento con altri profili ostativi autonomamente idonei a sorreggere il diniego opposto ai ricorrenti.

11- Secondo il Comune, in particolare, errano i ricorrenti nell’ affermare che l’USCE abbia negato la sanatoria prendendo come parametro, esclusivamente, la non conformità della distanza rispetto alla prescrizione imposta dal D.M. 1/4/68, e la conseguente prossimità del fabbricato rispetto al GRA, in quanto dalla determinazione dirigenziale n. 45 del 27/01/2006, emerge con chiarezza, al contrario, come il Dipartimento VI -Politiche della Programmazione e Pianificazione del Territorio – Roma Capitale, abbia fondato il proprio diniego sulla constatazione che il terreno su cui insiste l’abuso risulta essere sottoposto ai seguenti vincoli: vincolo archeologico -paesistico ai sensi della L. n. 1497/39 imposto con D.M. 15/06/1990. Il predetto DM, infatti, ha dichiarato la zona in questione di notevole interesse pubblico ai sensi della legge 29/06/1939, n. 1497. Più precisamente, narra il Comune, a seguito della nota n. 16913 del 21 febbraio 1987 con la quale la sopraintendenza archeologica di Roma formulava una proposta di vincolo comprendente il territorio in esame, il Ministero per i beni culturali e ambientali adottava il suddetto decreto ministeriale, stabilendo che: "Considerato che il territorio suddetto è in parte destinato a zona H2, agro romano vincolato, dal piano regolatore generale del Comune di Roma del 1962; Considerato che la zona è già parzialmente sottoposta a specifico vincolo paesistico, ai sensi del decreto ministeriale 21 settembre 1984, art. l, punto 2, con decreto ministeriale 22 maggio 1985; Considerato la necessità di ampliare il vincolo per una zona più ampia del territorio già sottoposto a tutela; Visto il parere favorevole all’imposizione del vincolo espresso dal Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali -Comitato di settore per i beni ambientali e architettonici, nelle sedute del 29/30 novembre 1988 e del Comitato di settore per i beni archeologici nella seduta del 14 luglio 1988 (omissis) La zona (omissis) è dichiarata di notevole interesse pubblico ai sensi della legge n. 1497/1939".Ciò in applicazione dell’art. 82, quinto comma, lettera m, del d.p.r. n. 616/77, come aggiunto dall’art. 1 del d.l. n. 312/85 convertito nella legge n. 431/85, il quale ha previsto che "le zone di interesse archeologico" siano sottoposte a vincolo paesaggistico ai sensi della legge n. 1497/39.

12 – Al riguardo, ed a fronte delle ampie controdeduzioni dei ricorrenti sopra illustrate, il Collegio ritiene di dover fare applicazione del pacifico orientamento giurisprudenziale volto alla interpretazione sostanziale degli atti giuridici per il loro effettivo contenuto indipendentemente dal nomen juris utilizzato, ed in questo quadro risulta evidente la riconducibilità del riferimento ai predetti vincoli archeologici ed ambientali – pur erroneamente collocato fra le premesse ai provvedimenti impugnati – alla parte motivazionale degli stessi provvedimenti, ben potendo, d’altra parte, la mera citazione di una disciplina ostativa al rilascio del titolo, comunque fungere da legittima motivazione al diniego di rilascio del titolo stesso.

13 – Nel merito della questione, i vincoli ora allegati in giudizio dall’Amministrazione (ma già indicati, come detto, al momento del diniego), al successivo esame compiuto dal Collegio in più successive camere di consiglio, risultano essere stati effettivamente introdotti ed ancora sussistenti, non essendo stati né annullati né revocati, oltrechè rispondenti alla oggettiva e preesistente natura dei luoghi, né appare possibile accogliere la controdeduzione di parte ricorrente circa la mancata richiesta di tutti i prescritti pareri da parte dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 32 L. n. 47/1985, atteso che i ricorrenti, anche in sede di richiesta di riesame, non solo non hanno chiesto i pareri così come indicato dal comma 1 del citato art, 32, ma neppure hanno evidenziato all’Amministrazione comunale tale necessità evidenziando il carattere vincolato dell’area, né hanno impugnato, con l’originario ricorso e con i motivi aggiunti, i provvedimenti di diniego sotto il predetto profilo, divenuto oramai insindacabile nella presente sede giurisdizionale.

14 – Sulla base delle pregresse considerazioni, il ricorso deve essere respinto. Sussistono tuttavia motivate ragioni, anche in relazione alla complessità delle questioni giuridiche, esaminate dal Collegio in più camere di consiglio, per disporre la compensazione delle spese di giudizio:
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe indicato, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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