Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 20-12-2010) 09-03-2011, n. 9627

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

co per l’imputato, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, in riforma della sentenza del Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Matera in data 18.4.2008 e in accoglimento dell’appello presentato avverso detta sentenza dal pubblico ministero e dalla parte civile, L.G. veniva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, nonchè al risarcimento dei danni in favore della parte civile, per il reato di lesioni aggravate contestato come commesso il (OMISSIS) in danno di G.M.G. dapprima colpendola al volto e poi spingendo Ga.Gi., il quale cadendo spingeva a sua volta la G. contro un divano, cagionando in tal modo alla G. contusione allo zigomo sinistro, trauma discorsivo cervicale e trauma contusivo alla spalla sinistra guaribili in oltre quaranta giorni.

Il ricorrente lamenta:

1. nullità della sentenza impugnata in conseguenza dell’inammissibilità dell’appello proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza di primo grado;

2. mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso, relativo all’inammissibilità dell’appello proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza di primo grado, è infondato.

Con la sentenza impugnata, premesso che l’inammissibilità veniva eccepita con riferimento alla mancanza nell’atto di appello di un richiamo espresso al punto della sentenza oggetto di gravame, si osservava che l’atto, pur se succintamente argomentato, conteneva un chiaro accenno al difetto di motivazione della sentenza di primo grado sull’omessa valutazione della deposizione della parte offesa e sui relativi riscontri.

Il ricorrente rileva che nell’appello il pubblico ministero si limitava a manifestare la non condivisibilità del percorso motivazionale del giudice di primo grado e ad esprimere censure generiche sulla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa e degli altri testimoni, senza indicare a quale parte di dette dichiarazioni facesse riferimento.

In realtà, dalla lettura dell’atto di appello del pubblico ministero risulta che l’appellante si soffermava, sia pure sinteticamente, sulla coerenza e la logicità delle dichiarazioni della persona offesa e sui riscontri che le stesse trovavano in altre deposizioni testimoniali e, soprattutto, nel referto laddove lo stesso documentava traumi alla spalla ed allo zigomo. I motivi dell’appello erano quindi tutt’altro che generici, facendo riferimento all’attendibilità delle prove dichiarative, complessivamente valutate, ed alla significatività confermativa di dati obiettivi specificamente indicati, quali la natura e la collocazione delle lesioni riscontrate. Il ricorso deve pertanto, per questo aspetto, essere respinto.

2. Il secondo motivo di ricorso, relativo all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è anch’esso infondato.

Con la sentenza impugnata si riportavano le considerazioni della decisione di primo grado per le quali la deposizione della persona offesa non aveva trovato conferma nelle dichiarazioni di altri testimoni presenti al fatto, che mostravano notevoli difformità rispetto a quelle della G., e mancavano di contro elementi che escludessero la riconducibilità delle lesioni constatate sulla persona offesa ad una lite sviluppatasi fra la stessa e l’imputato mentre gli stessi si contendevano il possesso di una missiva comunicante l’indizione di una riunione dei dipendenti della società per la quale entrambi lavoravano, non portata alla conoscenza del L.. La Corte d’Appello osservava che detta decisione, nel sostenere come il racconto della persona offesa non fosse corroborato dagli ulteriori atti di indagine, finiva per esigere la presenza riscontri estrinseci la cui necessità era esclusa dalla giurisprudenza che la stessa sentenza richiamava; che in realtà la G. subiva lesioni incontestabilmente riferibili all’azione del L. e, dichiarando come l’imputato l’avesse colpita con un pugno allo zigomo provocandone la caduta all’indietro e l’urto della testa sulla spalliera del divano, offriva una versione coerente, dettagliata, conforme al referto e riscontrata dalle dichiarazioni di M.M., presidente della società, il quale riferiva di aver appreso dal direttore V. una descrizione dell’accaduto corrispondente a questa narrazione; che l’assunto difensivo sull’involontarietà delle lesioni, sostenuto sulla base delle dichiarazioni di alcune persone presenti per le quali il Ga. cadeva sulla G. mentre la stessa era seduta sul divano, contrastava con le stesse dichiarazioni dell’imputato, il quale affermava che nell’uscire dalla stanza ove si verificava l’alterco, quando lo stesso era ormai terminato, urtava il Ga., il quale a sua volta cadeva sul corpo della G., non giustificava la gravità delle lesioni e non era in particolare compatibile con la contusione allo zigomo subita dalla donna; che le dichiarazioni testimoniali richiamate a riscontro di tale versione venivano acquisite a distanza di alcuni giorni dal fatto e mostravano profili di inattendibilità in particolare nel racconto del teste V., illogicamente riduttivo laddove vi si riferiva che nel corso della lite il L. alzava la mano sinistra verso il volto della G. facendole cadere gli occhiali; e che comunque anche queste testimonianze confermavano la dinamica aggressiva dell’episodio e descrivevano le lesioni come prodottesi in un contesto caratterizzato dalla volontà dell’imputato di esercitare violenza fisica, rappresentativo dell’esistenza del necessario e sufficiente dolo generico rispetto alla possibilità di cagionare conseguenze lesive.

Il ricorrente rileva che la Corte d’Appello non esaminava nella motivazione taluni elementi indicati nella sentenza di primo grado, quale in particolare la forte tensione creatasi nell’ambiente di lavoro fra la G. ed il L., omettendo di conseguenza di sottoporre ad accurata verifica l’attendibilità della persona offesa; che non venivano valutate le contraddizioni fra i racconti resi dalla G. nella querela, nell’integrazione alla stessa, nel corso della causa relativa al licenziamento del L. e nelle dichiarazioni dibattimentali, laddove in particolare la teste sosteneva nella querela di essere caduta a seguito del pugno infertole dall’imputato e nella causa civile che il Ga. si interponeva fra lei ed il L. allorchè questi le si avventava contro e che l’imputato dapprima la colpiva allo zigomo allungando il braccio sopra le spalle del Ga., facendole cadere gli occhiali, e poi spingeva il Ga. facendolo cadere sul divano con essa G., la quale in quel momento percepiva dolore al collo ed alla spalla; che neppure venivano sottoposte ad adeguata valutazione le dichiarazioni dei testi Ga., R. e V., conformi a quest’ultima descrizione dell’accaduto, ed in particolare il passaggio della deposizione del Ga. nella causa civile per la quale nella caduta il gomito del teste poteva aver urtato la G., il che rendeva compatibile con la dinamica appena riferita la lesione allo zigomo della parte offesa; e che non si teneva conto infine nella sentenza impugnata come la descrizione dei fatti di cui alla causa civile fosse stata recepita nella stessa imputazione contestata.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la sentenza impugnata è sorretta da una motivazione logica, coerente ed esaustiva rispetto alle questioni poste con l’atto di appello.

Nella sentenza si rispondeva infatti al richiamo ad una valutazione dell’attendibilità della persona offesa, valutandone la precisione, la congruenza e la conformità ai riscontri oggettivi provenienti dalla certificazione delle lesioni; si esaminavano le dichiarazioni testimoniali indicate dalla difesa, criticandone l’attendibilità con riferimento a dati acquisiti nel processo ed in termini esenti da vizi motivazionali rilevabili in questa sede; e comunque si valutavano le conseguenze giuridiche della tesi, emergente dagli atti della causa civile come osservato dal ricorrente, per la quale la caduta della G. e le conseguenti lesioni sarebbero state cagionate dall’urto con il corpo del Ga., a sua volta spinto dall’imputato.

A quest’ultimo proposito, posto che effettivamente tale ricostruzione corrisponde alla descrizione dei fatti riportata nell’imputazione, corretta e conforme ai principi in materia appare la motivazione della sentenza sulla ravvisabilità in detta ipotesi del reato contestato. Quest’ultimo è infatti contraddistinto da un dolo generico, per il quale non è richiesto che la volontà dell’agente sia diretta alla produzione di determinate conseguenze lesive, ma è sufficiente che lo stesso operi con la consapevolezza che la sua azione possa cagionare danni fisici alla persona (Sez. 5, n. 17985 del 9.1.2009, imp. Presicci, Rv.243973). Non appare pertanto censurabile l’argomentazione del giudice di merito laddove lo stesso osservava come la ricostruzione dei fatti prospettata dalla difesa, nella quale l’imputato, in un contesto indiscutibilmente caratterizzato da una violenta lite con la G., spingeva la persona del Ga., frappostasi tra i due contendenti, provocando la caduta della donna, evidenziasse nel L. quanto meno la consapevolezza di porre in essere un’azione dalla quale potevano derivare conseguenze fisiche pregiudizievoli per la parte offesa; il che, per quanto detto, integra l’elemento psicologico del reato oggetto di imputazione.

Il ricorso deve quindi essere integralmente rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese di difesa della parte civile, che avuto riguardo all’impegno processuale si liquidano in Euro 1.500 complessivi oltre agli accessori di legge.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese di parte civile, che si liquida in complessivi Euro 1500 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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