Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-06-2011, n. 12875 Costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 3.8.89 D.A. ed R.E., quali proprietari di unità immobiliari nell’ambito di un edificio condominiale in (OMISSIS), citarono al giudizio del locale tribunale M.G. ed il di lei figlio D.M.E., esponendo che la prima, conduttrice di locali siti nel medesimo fabbricato ed ivi già esercente una pizzeria, cui gestione era stata poi continuata dal secondo, aveva istallato sul muro perimetrale esterno una canna fumaria, producente immissioni intollerabili di fumo e fuliggine ed ostruente la venduta da una finestra dell’appartamento dell’attore, da cui era posta a distanza inferiore a quella legale. Su tali premesse gli attori chiesero la condanna dei convenuti alla rimozione del suddetto manufatto ed al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede. Costituitisi i convenuti, chiesero il rigetto della domanda ed, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni, oltre alla chiamata in causa della proprietaria dell’immobile locatola società NADIM s.r.l., chiedendo di esserne manlevati; successivamente chiedevano anche l’accertamento del diritto al mantenimento della canna fumaria, per usucapione. Il tribunale, dopo aver disposto tale chiamata, all’esito della quale la suddetta società non si costituiva,con sentenza del 23.3.95 condannò i convenuti alla rimozione della canna fumaria ed al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, rigettando ogni altra domanda. Proposto appello da D.M.E., resistito dagli appellati, con sentenza n. 340/98 la Corte di Genova premessa l’inscindibilità delle posizioni dell’appellante e della madre M., nei cui confronti aveva ordinato l’integrazione del contraddittorio, escludeva tuttavia la legittimazione passiva di entrambi e dichiarava quella della sola società NADIM, in quanto proprietaria dell’immobile cui la canna fumaria accedeva, ma nel merito rigettava le domande, sui rilievi che la canna fumaria, ancorchè posta a distanza inferiore a quella legale dalla finestra del D., tenuto conto della particolare conformazione dei luoghi,non ne ostruiva la veduta, mentre le immissioni, a seguito di modifiche accertate nel corso di un precedente giudizio, non eccedevano la normale tollerabilità.

Tale decisione fu impugnata per cassazione dal D. e la R. con cinque motivi, cui resisteva il solo D.M.. Quindi, con sentenza del 1.3.01 questa S.C., respinti gli altri, accoglieva per quanto di ragione il quarto mezzo d’impugnazione e cassava la sentenza con rinvio ad altra sezione della corte genovese,affermando il seguente principio "il conduttore di un immobile costituente parte di un edificio condominiale ha diritto, in virtù di contratto di locazione da lui stipulato, di utilizzare le parti comuni, al pari del proprietario locatore e, come quest’ultimo, se intende appoggiare al muro perimetrale del fabbricato una sua canna fumaria, deve rispettare per un verso le regole e i principi posti dall’art. 1102 c.c. (che nel caso di specie non sono in discussione) e per altro verso le distanze di legge dalle proprietà individuali degli altri condomini, in particolare (e con riguardo al caso di specie) quella di cui all’art. 907 che stabilisce quella che deve separare tale manufatto dalle finestre di questi ultimi", al riguardo evidenziando l’irrilevanza della maggiore o minore ampiezza della veduta in concreto esercitabile, dovendo comunque la distanza essere osservata.

Il giudizio veniva riassunto dagli originari attori nonchè da D.S., nelle more subentrata ad D.A. nella proprietà dell’immobile interessato si costituiva e resisteva il solo D.M., rimanevano contumaci la M. e la soc. NADIM (nelle more divenuta s.p.a.). La corte adita, dopo aver disposto ed espletato una consulenza tecnica di ufficio, con sentenza del 6/4- 10/6/05, condannò il D.M. e la M. a rimuovere la canna fumaria risarcire, in solido, i D. dei danni subiti per la costruzione e l’uso della stessa, respingendo le analoghe domande contro i medesimi proposte dalla R. (essendo risultata definitivamente respinta la domanda ex art. 844 c.c. e non avendo la medesima anche dedotto lesioni di sue vedute), condannò il D. M. e la M. in solido alla restituzione delle spese del giudizio riscosse in forza della sentenza d’appello cassata, dichiarò inammissibili le domande riconvenzionali proposte dal D. M. (perchè dichiarate assorbite dalla precedente sentenza d’appello, non erano state riproposte hi sede di cassazione con ricorso incidentale), respinse tutte le domande proposte nei confronti della società NADIM (perchè precluse dal giudicato formatosi a seguito della pronunzia di legittimità, che aveva rimesso in discussione la sola azione personale proposta contro i conduttori), condannò il D.M. e la M. in solido al rimborso delle spese dei D., ponendo definitivamente a loro carico quelle della consulenza tecnica e compensò integralmente quelle tra la R. e le altre parti, nonchè quelle tra la NADIM, i D. e il D.M..

I giudici di rinvio pervenivano all’accoglimento della domanda nei confronti del D.M. e della M. ritenendosi vincolati non solo dal principio di diritto affermato dalla Cassazione, ma anche dai presupposti di fatto ed antecedenti logici sulla base dei quali lo stesso era stato enunciato, in particolare costituiti dalla avvenuta costruzione della canna fumaria da parte del conduttore a distanza inferiore a quella prescritta dall’art. 907 c.c., rispetto ad una veduta obliqua posta sull’immobile dei D., la cui esistenza ed ubicazione (a soli sei centimetri dal manufatto), peraltro, era stata confermata dalla consulenza tecnica; quanto al risarcimento dei danni, la relativa generica condanna veniva correlata al semplice fatto dell’avvenuta limitazione, seppur marginale, dell’esercizio del suddetto diritto di veduta.

Avverso la sentenza sopra indicata il D.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

Ha resistito D.S. con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato.

Non hanno svolto attività difensive in questa sede gli altri intimati, già parti nelle fasi di merito.

Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione

Si dispone preliminarmente, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei reciproci ricorsi.

Con il primo motivo di quello principale vengono dedotti, "error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 e/o violazione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, degli artt. 324, 336, 383, 384 e 394 c.p.c., ovvero, in subordine, violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 12 disp. Gen. e degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c., nell’interpretazione e nell’applicazione della sentenza n. 2998/01 emessa inter partes, da codesta Suprema Corte di Cassazione, e/o, in ulteriore subordine difetto di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, relativamente alla parte in cui l’impugnata sentenza ha ritenuto la legittimazione passiva dell’esponente ed ha accolto, nei confronti dello stesso, le domande proposte ex adverso". Si lamenta, in estrema sintesi, che i giudici di rinvio, sulla base di una erronea interpretazione estensiva del principio, posto a base dell’accoglimento del quarto motivo della pronunzia di legittimità, ed omettendo di coordinare lo stesso con quello affermato nel rigettare gli altri mezzi d’impugnazione, in particolare il secondo, abbiano indebitamente affermato la legittimazione passiva dei conduttori dell’immobile nell’azione di riduzione in pristino, senza tener conto che sulla relativa esclusione si fosse formato il giudicato. Il motivo è fondato.

Come si rileva dal contenuto della sentenza di legittimità, questa Corte aveva respinto il secondo motivo del ricorso della D. e della R., con il quale era stata censurata la sentenza di appello, nella parte in cui aveva escluso, relativamente all’azione esperita per la rimozione della canna fumaria, collocata a distanza inferiore a quella legale da una sua veduta, la legittimazione passiva della M. e del D.M., sull’essenziale rilievo, corredato dal richiamo a precedenti decisioni di legittimità (sent. nn. 4196/87,1967/90, 13186/92), secondo cui la natura reale dell’azione (qualificabile come negatoria servitutis), comportava che la stessa, anche nei casi in cui il manufatto fosse stata eseguito con materiali propri da un soggetto diverso dal proprietario, in quanto "rivolta a conseguire la demolizione o arretramento dell’opera",sarebbe stata "esperibile esclusivamente nei confronti" di quest’ultimo, "ferma restante la legittimazione passiva del costruttore relativamente all’eventuale pretesa di risarcimento del danno, alla stregua della sua qualità di autore del fatto illecito".

Coordinando tale principio (peraltro già affermato anche nelle sent. nn. 5520/98 e 5850/98 e successivamente ribadito in quella n. 20126/06) con quello, in narrativa già riportato, in virtù del quale era stato accolto il quarto motivo, deve concludersi, in base ad un ragionevole criterio di interpretazione complessiva della decisione di legittimità, che diversamente risulterebbe contraddittoria, che l’affermazione dell’obbligo del conduttore di un immobile di rispettare le norme in materia di comunione dei diritti reali e quelle sulle distanze di legge dalle proprietà individuali degli altri condomini e, con particolare riferimento al caso di specie, di quelle dettate dall’art. 907 c.c. con riferimento alle vedute, fosse esclusivamente funzionale alla responsabilità personale del detentore suddetto, anche dedotta in giudizio, ai fini della concorrente azione di risarcimento dei danni, con il conseguente effetto di far passare in giudicato l’esclusione della legittimazione passiva dei conduttori D.M. – M. nell’azione restitutoria.

Nè valeva rimettere in gioco la domanda di condanna alla demolizione contro questi ultimi, il richiamo, contenuto nel controricorso e nella memoria illustrativa, all’art. 2058 c.c. (secondo cui il soggetto passivo del fatto illecito può chiedere la "reintegrazione in forma specifica") atteso che la domanda risarcitoria era stata chiaramente proposta quale statuizione accessoria rispetto a quella restitutoria, come desumibile dalla richiesta di condanna in forma generica, con rinvio a separato giudizio, per la quantificazione dei danni conseguenti alla costruzione e relativo mantenimento.

Dall’accoglimento del primo motivo restano, conseguentemente, assorbiti il secondo, con il quale vengono dedotte, con richiamo alle medesime disposizioni di legge in precedenza indicate, analoghi vizi nell’interpretazione ed applicazione della sentenza di legittimità, con riferimento al rigetto della domanda di manleva proposta nei confronti della società Nadim s.p.a., ed il terzo, deducente "error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 e lo violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 112 c.p.c., per non aver subordinato la condanna alla demolizione della canna fumaria al passaggio in giudicato della sentenza, come invece richiesto, in atti, dai sigg.ri D. e R.".

Con il quarto motivo si deduce "violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 900 e 901 c.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, relativamente alla data e modalità di costruzione della canna fumaria nonchè all’esistenza del diritto di veduta".

Il motivo è inammissibile, non solo perchè si risolve in palesi censure in fatto (peraltro anche nuove, laddove deducono la natura di semplice apertura lucifera, e non di veduta, di quella da cui la canna fumaria non stata correttamente distanziata), ma anche perchè non attacca l’affermazione di principio (in linea con la giurisprudenza di legittimità: v., tra le altre Cass. nn. 17353/10, 26641/09, 6126/98), contenuta nella sentenza impugnata e posta a base della condanna (il cui profilo risarcitorio resta indenne dall’acoglimento del primo motivo), secondo la quale la sentenza di cassazione con rinvio aveva spiegato effetto vincolante non solo sulla questione di principio, ma anche sui presupposti di fatto, costituenti antecedenti logici della stessa, su cui era basata, in concreto costituiti dall’avvenuta costruzione della canna fumaria da parte della conduttrice e dall’esistenza della veduta obliqua (v. pag. 12, u.p).

Con il quinto motivo si deduce "error in procedendo per aver dichiarato l’inammissibilità delle domande proposte in via riconvenzionale dall’attuale ricorrente.

Anche tale motivo è inammissibile, non solo per genericità, dacchè non indica quali fossero le domande in questione, ma anche perchè, senza attaccare la ratio decidendi (conforme alla giurisprudenza di legittimità :v. Cass. 12287/04) della statuizione censurata (con la quale è stato rilevato che,non applicandosi al giudizio per cassazione la disposizione di cui all’art. 346 c.p.c., le parti controricorrenti avrebbero dovuto impugnare con ricorso incidentale condizionale il mancato accoglimento di tali, non meglio precisate, domande, il che non era avvenuto nel giudizio rescindente), si duole che la dichiarazione d’inammissibilità sia stata pronunziata pur in assenza di alcuna eccezione della controparte; ma la doglianza è palesemente infondata, tenuto conto che la natura processuale della preclusione, derivante dal giudicato interno al riguardo verificatosi,ne comportava la rilevabilità di ufficio.

L’accoglimento parziale del ricorso principale comporta le necessità di esaminare il ricorso incidentale -condizionato proposto dalla D., nel cui unico motivo, deducente, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 336, 383, 384 e 394 c.p.c., o comunque, degli artt. 12 disp. att. c.c. e degli artt. 1362, 1362 e 1367 c.c., si lamenta che, malamente applicando ed interpretando la sentenza n. 2998/01 di questa Corte, i giudici di rinvio avrebbero dichiarato inammissibile, con relativa omissione di pronunziala domanda di riduzione in pristino proposta contro la società Nadim, proprietaria dell’immobile su cui era stata dai conduttori installata la canna fumaria a distanza non legale dalla veduta.

La censura, la cui natura essenzialmente processuale consente a questa Corte l’accesso agli atti del precedente giudizio di legittimità, non è meritevole di accoglimento. E’ ben vero che questa Corte nell’accogliere il quarto motivo di ricorso della D., aveva anche affermato che non avendo "peraltro rilevanza il contesto ambientale nel quale è collocata la finestra considerata, e la maggiore o minore ampiezza e profondità della veduta…..perchè il manufatto che venga realizzato a distanza inferiore a quella stabilita dalla legge non può che limitarla ulteriormente, e tale distanza deve essere sempre e comunque rispettata, ma tale affermazione, inserita nella disamina di un motivo con il quale si era essenzialmente attaccata la statuizione di merito escludente la legittimazione passiva del conduttore, era funzionale (come si è visto esaminando il primo motivo dell’odierno ricorso) alla sola affermazione dell’obbligo di quest’ultimo di osservare la distanza di cui all’art. 907 c.c. ed alla conseguente responsabilità risarcitoria, in caso di inosservanza. Tanto risulta confermato dal contenuto del ricorso D. – R., nel quale, oltre a non rinvenirsi alcuna specifica impugnazione della reiezione della domanda nei confronti della proprietaria Nadim, per di più si era affermato (v. terzo motivo) che a quest’ultima non poteva ascriversi alcuna responsabilità, per non aver costruito la canna fumaria, che addirittura sarebbe stata dai conduttori realizzata su una parte del fabbricato non ad essa appartenente.

Correttamente, pertanto,la corte del rinvio ha dichiarato inammissibile, ostandovi il giudicato interno, la riproposizione di tale domanda il cui mancato accoglimento da parte di quella di appello non era stato impugnato con il ricorso per cassazione.

Conclusivamente, per effetto dell’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata deve essere cassata, senza rinvio, limitatamente alla condanna del D.M. e della M. alla rimozione della canna fumaria; tale statuizione, pronunziando nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 1, u.p. non necessitando ulteriori accertamenti di fatto, va direttamente eliminata in questa sede, mentre rimangono ferme le rimanenti.

Le spese del presente giudizio e di quello di rinvio, infine, tenuto conto della reciproca soccombenza, vanno interamente compensate, fermo restando il regolamento adottato per quelle delle precedenti fasi dalla corte territoriale.
P.Q.M.

LA CORTE riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo di quello principale, dichiara assorbiti il secondo ed il terzo, inammissibili il quarto ed il quinto del ricorso medesimo, rigetta il ricorso incidentale, cassa senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione di riduzione in pristino e, pronunziando nel merito, elimina la stessa.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio e di quello di rinvio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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