Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ordinanza del 16.9.2010, il Tribunale della Libertà di Roma rigettava l’istanza di riesame proposta da P.P. avverso l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti dal gip del Tribunale di Latina il 26.8.2010, per due rapine consumate e una rapina tentata in danno dell’ufficio postale di (OMISSIS) (capi A), B) e D) della rubrica cautelare) e per un’altra rapina consumata in danno dell’ufficio postale di "(OMISSIS)".
Ricorre il difensore, eccependo con un primo motivo, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e), il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 125 c.p.p., n. 3 e art. 272 c.p.p., e la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione del provvedimento, in relazione alla questione fondamentale dell’identificazione dell’imputato come autore dei vari episodi criminosi.
Il Tribunale avrebbe infatti illogicamente valorizzato il possesso, da parte del P., di un casco da motociclista di larga diffusione commerciale, sul quale i testi presenti ai fatti non avevano rilevato alcun particolare segno distintivo; avrebbe operato un indebito riferimento al presunto coinvolgimento dell’indagato in una rapina non oggetto di contestazione; avrebbe trascurato le imprecisioni delle varie deposizioni testimoniali sulle caratteristiche dell’arma impugnata dal rapinatore; non avrebbe considerato che secondo le stesse testimonianze l’individuo in questione parlava con un accento straniero; avrebbe infine immotivatamente superato tutti i dubbi con la considerazione dell’esito della perquisizione eseguita dieci mesi dopo i fatti in luoghi di pertinenza dell’indagato. Nel ricorso vengono riassunti i contributi testimoniali relativi ai vari fatti criminosi, e si segnala, relativamente al reato di cui al capo A), un ulteriore elemento di incongruenza nella valutazione della gravità indiziaria da parte del Tribunale, con riguardo, stavolta, al modello di motocicletta usato dal rapinatore, che sarebbe stato di tipo alquanto antiquato, mentre quello in possesso del P. era di recente fabbricazione.
Altre illogicità sarebbero infine ravvisabili nel giudizio di gravità indiziaria relativo all’episodio criminoso di cui al capo B), stavolta con riferimento all’identificazione dell’autovettura usata dal rapinatore; e nelle valutazioni relative al reato di cui al capo D), con riferimento ai criteri usati per l’identificazione dell’indagato e del mezzo usato dal rapinatore per raggiungere il luogo del delitto.
Con riferimento all’episodio di cui al capo G), infine, il Tribunale non avrebbe tenuto conto delle incertezze e delle imprecisioni della varie deposizioni testimoniali sul tipo e sul colore del casco indossato dal rapinatore e sull’arma dallo stesso impugnata.
Con il secondo motivo, la difesa censura sotto gli stessi profili di legittimità la valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari, considerando che le azioni criminose erano state realizzate senza l’impiego di violenza, e che il P. è incensurato. L’attualità del pericolo di reiterazione dei reati sarebbe inoltre esclusa dal comportamento tenuto dall’imputato tra il 13.5.2010, quando era stato rimesso in libertà dopo un precedente arresto, e il 28.8.2010, data di esecuzione della misura cautelare oggi in contestazione.
In ogni caso, alla stregua dell’ultimo motivo, i medesimi vizi di legittimità sarebbero ravvisabili in relazione alla scelta della più grave misura custodiale.
Il ricorso è manifestamente infondato.
La difesa ripropone pressochè integralmente la deduzioni già sottoposta al giudice del riesame e oggetto nel provvedimento impugnato, di adeguata confutazione, al fine di ribadire il quadro di gravità indiziaria a carico del ricorrente per i reati in contestazione.
E così, ad es. la questione dell’elemento di identificazione costituito dal casco indossato dal rapinatore è valutata dal tribunale nel complesso degli altri elementi di prova desumibili dall’esito della perquisizione effettuata nei confronti del P., risultato in possesso di mezzi riferibili alle modalità di esecuzione delle rapine, tra i quali un fucile da caccia a canne mozze, targhe false ecc.. e dalla corrispondenza delle caratteristiche macrosomatiche del ricorrente con quelle del rapinatore descritte dai vari testimoni; dalle circostanze del suo arresto.
Così come adeguatamente i giudici territoriali, sottolineano, ad es. la particolare attendibilità dei testi C. e A., a conferma dell’identificazione del ricorrente come il rapinatore solitario protagonista dei tre fatti delittuosi, commessi sempre dallo stesso soggetto, abbigliato sempre allo stesso modo, e invariabilmente in possesso di un fucile a canne mozze.
Le deduzioni difensive muovono invece da una valutazione parcellizzata delle singole risultanze istruttorie, puntando sugli inevitabili margini di approssimazione delle dichiarazioni testimoniali, peraltro riferibili ad elementi di dettaglio che nulla tolgono alla sostanziale convergenza di tutte le deposizioni, specie nel loro collegamento con gli altri elementi indiziari, sull’identificazione del ricorrente come l’autore delle rapine, quanto meno secondo il profilo di gravità indiziaria richiesto nella fase cautelare.
Francamente poco apprezzabili sono anche gli altri elementi di presunta distonia rispetto alla valutazione della gravità indiziaria, sottolineati dalla difesa, come, in particolare, riguardo al superamento dei limiti di velocità da parte del ricorrente nei pressi della sua abitazione poco prima di una delle rapine, tanto più considerando l’accorgimento adoperato dal P. della sistematica utilizzazione di targhe false.
Quanto all’esclusiva adeguatezza, in funzione social-preventiva, della più grave misura custodiale, il tribunale ha congruamente valutato l’estrema pericolosità del ricorrente desumibile dalla particolare audacia criminale mostrata nell’esecuzione delle rapine, tutte commesse con accurata predisposizione di mezzi ai danni di uffici postali dove era ovviamente prevedibile la necessità di affrontare un pubblico di clienti e di impiegati, mentre le deduzioni difensive al riguardo si risolvono più che altro in enunciazioni di principio e nell’irrilevante sottolineatura della disponibilità da parte del ricorrente di un’abitazione privata dove scontare l’eventuale misura alternativa degli arresti domiciliari, mentre davvero non si comprende come possa essere valutata a favore del ricorrente, e non piuttosto a suo carico, sotto il profilo delle esigenze cautelari, la presunta "buona condotta" dallo stesso tenuta per i circa tre mesi trascorsi dalla sua scarcerazione conseguente all’esito di altre vicende giudiziarie, alle nuove imprese criminali oggetto del presente procedimento. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00;
si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..
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