Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, gli esponenti impugnano la sequenza provvedimentale in epigrafe indicata, con cui le aziende agricole controinteressate sono state autorizzate a realizzare un complesso di stalle per l’allevamento di bovini nel territorio del Comune di Rivarolo Canavese.
Questi i motivi di gravame:
I) Violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 12 e 30, d.P.R. 6/6/2001, n. 380; violazione del divieto di frazionamento e del divieto di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza previa autorizzazione comunale; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 43 e 49, L.R. piemontese 5/12/1977, n. 56, per mancata preventiva adozione di piano di lottizzazione e/o di piano particolareggiato e/o di altro strumento urbanistico esecutivo ovvero in subordine di permesso di costruire convenzionato; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5.3, N.T.A. del P.R.G.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, L. 7/8/1990, n. 241, ed eccesso di potere per difetto e/o insufficienza di istruttoria e di motivazione e per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti.
II) Violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 24, L.R. piemontese 5/12/1977, n. 56; violazione dell’art. 5 N.T.A. del P.R.G.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, L. 7/8/1990, n. 241; eccesso di potere per difetto e/o insufficiente istruttoria e motivazione; erronea valutazione dei presupposti di fatto e travisamento.
III) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5.3 delle N.T.A. del P.R.G.; eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti; violazione di legge in relazione all’art. 3, L. 7/8/1990, n. 241, per difetto e/o insufficienza di motivazione.
IV) Violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 142, comma 1, lett. c), d.lgs. 22/1/2004, n. 42.
V) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12.6, N.T.A. del P.R.G.
VI) Violazione e/o falsa applicazione, sotto altro profilo, degli artt. 12.6 e 12.8, N.T.A. del P.R.G; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 25, comma 7, L.R. piemontese 5/12/1977, n. 56; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, L. 7/8/1990, n. 241, ed eccesso di potere per difetto e/o insufficienza di istruttoria e di motivazione.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Rivarolo Canavese e le aziende agricole controinteressate, dispiegando eccezioni di rito e di merito.
Con ordinanza della Sezione n. 899 del 20 novembre 2009, è stata respinta l’istanza cautelare proposta in via incidentale dai ricorrenti.
Con dichiarazione depositata agli atti del giudizio in data 25 novembre 2009, i signori G.L.R. e M.B. hanno riferito che era venuto meno il loro interesse alla decisione del ricorso.
Con ricorso notificato il 4 dicembre 2009, gli esponenti hanno introdotto il seguente motivo aggiunto avverso gli atti già impugnati con il ricorso introduttivo:
VII) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 142, comma 1, lett. c), d.lgs. 22/1/2004, n. 42, nonché dell’art. 12.6, N.T.A. del P.R.G.; violazione degli artt. 24 e 25, d.lgs. 31/3/1998, n. 112, nonché degli artt. 3, 4, 6 e 7, d.P.R. 20/10/1998, n. 447; eccesso di potere per difetto e/o insufficienza di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti, dedotti altresì quale violazione degli artt. 3 ss., L. 7/8/1990, n. 241.
In prossimità della pubblica udienza, le parti hanno depositato memorie difensive e di replica.
Il ricorso è stato chiamato all’udienza del 10 marzo 2011 e ritenuto in decisione.
Motivi della decisione
1) Formano oggetto della presente controversia giurisdizionale i provvedimenti autorizzativi unici e i permessi di costruire, meglio identificati in epigrafe, attraverso i quali le aziende agricole controinteressate sono state legittimate alla realizzazione di un complesso per l’allevamento di bovini, composto da cinque stalle e annessi edifici per il ricovero delle scorte e dei macchinari agricoli, nel territorio del Comune di Rivarolo Canavese.
2) In via preliminare, la difesa del Comune eccepisce la tardività del ricorso, siccome notificato oltre i 60 giorni decorrenti dalla pubblicazione all’albo pretorio comunale degli atti con cui è stata data la comunicazione di avvio del procedimento e degli stessi provvedimenti autorizzativi impugnati.
L’eccezione è priva di pregio sotto entrambi i profili.
La pubblicazione degli avvisi di avvio del procedimento non determina, infatti, la decorrenza del termine per l’impugnazione, poiché l’effetto lesivo lamentato dai ricorrenti viene prodotto solo con l’adozione degli atti conclusivi dei rispettivi procedimenti.
Quanto all’impugnazione di questi ultimi provvedimenti, va richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale la pubblicazione dei titoli edilizi costituisce mera forma di pubblicità notizia e il termine per ricorrere decorre dalla piena conoscenza dei titoli medesimi (cfr., fra le ultime, T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 16 marzo 2010, n. 1216).
Nella specie, gli esponenti affermano di aver avuto piena conoscenza dei provvedimenti impugnati solo con l’accesso documentale esperito il 7 ottobre 2009 e l’eccepiente non fornisce elementi di prova di segno diverso.
Ne consegue la valutazione di tempestività del ricorso notificato in data 5 novembre 2009.
3) Ancora in via preliminare, la difesa comunale eccepisce, sotto diversi profili, l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse.
Anche queste eccezioni sono destituite di fondamento e vanno disattese.
3.1) In primo luogo, l’eccepiente rileva che, controvertendosi circa la legittimità di un intervento per la realizzazione di stalle in zona classificata agricola dallo strumento urbanistico generale, non sarebbe ravvisabile la sussistenza di alcun interesse giuridicamente protetto di natura urbanistica.
L’argomento è giuridicamente inconsistente, poiché l’astratta assentibilità dell’intervento, determinata dalla conforme destinazione urbanistica dell’area, non esclude che, nel caso concreto, possa essersi verificata (rectius: possa essere denunciata) una violazione della normativa di settore atta a determinare la lesione degli interessi dei soggetti che si pongono in rapporto di stabile collegamento con la zona interessata dall’intervento medesimo.
3.2) Secondo la difesa comunale, l’interesse a ricorrere farebbe del tutto difetto, comunque, in capo a due aziende agricole, i cui titolari figurano tra i ricorrenti, che esercitano attività di allevamento nella stessa zona in cui si andrebbero a collocare le strutture assentite con i provvedimenti impugnati.
Anche i due soggetti in questione, però, hanno un interesse giuridicamente protetto, al pari degli altri ricorrenti, a pretendere che l’attività edificatoria si svolga nel rispetto della normativa che la regola e tale interesse non può essere escluso dall’identità dell’attività economica svolta dagli interessati.
3.3) Osserva ancora l’eccepiente che non tutti i soggetti che risiedono o sono proprietari di immobili posti in prossimità del terreno interessato dall’intervento figurano tra i firmatari del ricorso e tale circostanza denoterebbe lo scarso interesse nonché la mancanza di legittimazione a ricorrere.
La dedotta circostanza è chiaramente irrilevante, essendo sufficiente che il ricorso giurisdizionale sia proposto anche da uno solo dei soggetti potenzialmente lesi dai provvedimenti impugnati.
3.4) Infine, non sussisterebbe, ad avviso della difesa comunale, il requisito della vicinitas.
La medesima eccezione è proposta e più diffusamente argomentata dalla difesa delle controinteressate la quale, in particolare, rileva come alcuno dei ricorrenti abbia fornito elementi concreti in ordine alla collocazione territoriale delle proprie residenze rispetto ai nuovi fabbricati.
Anche quest’ultima eccezione, peraltro, va disattesa, dovendosi ritenere comprovato, alla luce dei documenti prodotti in atti dalla stessa difesa comunale, che i ricorrenti sono proprietari di terreni adiacenti a quello interessato dall’intervento edificatorio e, in due casi, addirittura confinanti con esso.
La legittimazione a ricorrere avverso i titoli abilitativi in materia edilizia non deriva necessariamente, d’altronde, dalla proprietà di immobili residenziali limitrofi, ma anche dalla titolarità di un diritto dominicale sui terreni circostanti l’area della nuova edificazione.
4) Va dichiarato improcedibile, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. c), cod. proc. amm., il ricorso proposto dai signori G.L.R. e M.B. i quali, con dichiarazione prodotta in atti il 25 novembre 2009, hanno riferito che era venuto meno il loro interesse alla decisione.
5) Con il primo motivo di ricorso, gli esponenti deducono che l’intervento autorizzato si configura come lottizzazione abusiva e che, in ogni caso, la complessiva operazione edilizia necessitava di essere regolata mediante strumento urbanistico esecutivo ovvero permesso di costruire convenzionato.
Sotto il primo profilo, essi rilevano che – ai fini della creazione della superficie utile per il calcolo del rapporto di copertura e, quindi, del rilascio dei permessi di costruire – le aziende agricole richiedenti hanno accorpato in tre diversi lotti plurimi terreni agricoli prima distinti e in buona parte appartenenti ad altri soggetti; la suddivisione dei tre "lotti accorpati", mediante intestazione di ciascun lotto a un diverso soggetto giuridico, integra la fattispecie della cosiddetta "lottizzazione di terreni inedificati a scopo di trasformazione edilizia", la cui esecuzione presuppone il rilascio di preventiva autorizzazione ex art. 30, comma 1, t.u. edilizia, nella fattispecie mancante.
Soggiungono gli esponenti che, nel caso in esame, sussisterebbero sia gli estremi della "lottizzazione materiale", attuata con la realizzazione delle opere edilizie intestate a tre soggetti giuridici distinti sui tre "lotti accorpati", sia della "lottizzazione formale", attraverso il frazionamento catastale della maggioranza dei mappali per creare gli stessi "lotti accorpati".
La seconda censura, strettamente connessa alla precedente, muove dalla considerazione dell’aumento del carico antropico che sarebbe determinato dall’intervento, tale da richiedere, anche in relazione alla complessità dell’operazione, che la stessa sia regolata con un piano di lottizzazione ovvero con analogo strumento urbanistico attuativo, al fine di disciplinare adeguatamente sia i rapporti tra le proprietà coinvolte sia i rapporti con il Comune per quanto concerne le opere di urbanizzazione indotte dall’impianto di nuovo insediamento.
La complessa prospettazione difensiva non può trovare accoglimento.
Come esattamente eccepito dalla difesa comunale, infatti, non può configurarsi un intervento di lottizzazione abusiva laddove risulti rispettata, come nella fattispecie, la destinazione urbanistica impressa all’area dallo strumento urbanistico generale.
La lottizzazione abusiva, secondo la definizione contenuta nell’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001, può essere realizzata mediante attività materiale costituita dalla esecuzione di opere che determinano una trasformazione edilizia o urbanistica del territorio, in violazione degli strumenti urbanistici vigenti o adottati o comunque di leggi statali o regionali, ovvero il compimento di attività negoziale che, attraverso il frazionamento dei terreni, ne modifichi inequivocabilmente la destinazione d’uso a scopo edificatorio.
In entrambi i casi (lottizzazione "materiale" e "formale"), il presupposto dell’abuso è dato dal contrasto con la disciplina urbanistica di riferimento e tale presupposto non è rinvenibile nella fattispecie in esame, trattandosi di intervento agricolo autorizzato in zona agricola, senza intenti edificatori di carattere residenziale o produttivo.
Analoga diagnosi negativa si impone per la connessa censura inerente la mancanza della strumentazione esecutiva intermedia, atteso che la disciplina legislativa di settore (cfr. art. 25 della l.r. Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56) e le norme di piano non prevedono l’adozione di alcuno strumento urbanistico attuativo per l’intervento in questione.
Detta necessità, peraltro, non può essere desunta dalle caratteristiche dell’intervento che – contrariamente a quanto allegato, ma non comprovato, da parte ricorrente – non appare idoneo a determinare un effettivo incremento del carico antropico (e, quindi, urbanistico), trattandosi, si ribadisce, di intervento agricolo in zona agricola e non di insediamento residenziale o produttivo.
Quest’ultima valutazione, infine, non muterebbe neppure nel caso (peraltro non adeguatamente comprovato da parte ricorrente) in cui l’attività da esercitarsi nel nuovo insediamento debba essere configurata, sulla base dei parametri dettati dalla legislazione regionale, come "allevamento industriale", dal momento che, neppure per tale tipologia di allevamento, lo strumento urbanistico generale impone la preventiva redazione di uno strumento esecutivo.
6) Con il secondo motivo di ricorso, gli esponenti denunciano la violazione dell’art. 5.2 delle vigenti norme tecniche di attuazione (N.T.A.) che pone l’area interessata dall’intervento all’interno di una lottizzazione storica e sottopone a tutela il sistema di irrigazione e di adacquatori ivi esistente.
L’amministrazione procedente non avrebbe considerato tali esigenze di salvaguardia e, in particolare, la presenza di due canali adacquatori nel terreno ove sorgerà il nuovo insediamento, uno dei quali sarebbe interrotto dagli edifici in progetto.
Tali circostanze non sono idonee a rivelare vizi di legittimità dei provvedimenti impugnati, atteso che l’art. 5.2 delle N.T.A., con cui l’amministrazione ha esercitato il potere previsto dall’art. 24 della l.r. n. 56/1977, sottopone a generica tutela i beni culturaliambientali ivi individuati, non altrimenti vincolati in base alle leggi vigenti, ma non rende detti beni insuscettibili di essere interessati da iniziative edificatorie, nei limiti in cui risultino rispettate le esigenze di salvaguardia.
Nel caso di specie, il progetto assentito prevede la traslazione del canale oggetto di tutela e la parte ricorrente non allega elementi atti a far ritenere che l’operazione comporti la compromissione delle esigenze di tutela poste dalla norma di piano.
Tale spostamento, peraltro, ha formato oggetto di una denuncia di inizio attività successivamente presentata, avverso la quale gli interessati non hanno reagito in sede giurisdizionale.
7) E’ fondato e merita di essere accolto, invece, il terzo motivo di ricorso, riferito alla violazione dell’art. 5.3 delle N.T.A.
Tale disposizione prevede che, nella zona interessata dall’intervento, compresa nelle aree agricole poste sulla destra del torrente Orco, le nuove costruzioni debbano "configurarsi come complementi o articolazioni degli edifici preesistenti ed integrarsi con i caratteri propri di ciascuna tipologia tradizionale".
Essa va interpretata, secondo parte ricorrente, nel senso che non possono essere realizzati insediamenti ex novo che non abbiano rapporto di complementarietà con edifici già esistenti ovvero non costituiscano articolazione degli stessi.
Ciò è quanto si verifica nel caso in esame, considerando che l’area interessata dall’intervento si presentava come un’omogenea distesa di campi coltivati e le aziende controinteressate non erano proprietarie o conduttrici di alcun edificio in zona, bensì di un fabbricato agricolo (cascina "La Provanina") situata a circa 1,5 km di distanza.
Le parti resistenti obiettano che la ratio dell’art. 5.3 sarebbe quella di contrastare l’insediamento di allevamenti "ad alto impatto" che non sono radicati sul territorio e tale disposizione non potrebbe frapporsi, invece, alle aziende agricole che, come le odierne controinteressate, operavano già nella zona.
La norma di piano andrebbe interpretata, pertanto, nel senso di richiedere un collegamento tra le nuove strutture agricole e le realtà aziendali già presenti, volendo solo precludere l’insediamento di nuovi impianti del tutto autonomi: diversamente opinando, si perverrebbe alla conclusione, asseritamente assurda, di ritenere che sia possibile costruire in zona agricola solo nel caso di edifici preesistenti.
Il tenore letterale della norma di piano – che limita le possibilità di edificazione alle nuove costruzioni che siano "complementi" o articolazioni" degli edifici preesistenti – non consente, però, di aderire all’interpretazione che ne propongono le pari resistenti.
Con il sostantivo "complementi", l’amministrazione ricorre, infatti, ad un termine proprio della linguistica con cui si indica ciò che, nella costruzione della frase, completa una cosa: la trasposizione nel campo urbanisticoedilizio conferisce al vocabolo, più propriamente, il significato di "completamento", vale a dire l’integrazione di un manufatto che è già esistente in loco.
Analogamente, il sostantivo "articolazioni" non può che implicare, come nel linguaggio della fisiologia, un rapporto di contiguità tra due o più strutture.
La disposizione di piano va interpretata, perciò, nel senso di prescrivere la necessità di un collegamento di tipo fisico, e non meramente funzionale, tra gli edifici che si intende realizzare e quelli preesistenti, circostanza che nella fattispecie risulta pacificamente assente.
Anche il riferimento alla necessità che i nuovi edifici si integrino "con i caratteri propri di ciascuna tipologia tradizionale" conferma, d’altronde, la correttezza dell’interpretazione fatta propria dal Collegio, poiché una simile prescrizione non avrebbe ragion d’essere nel contesto di una disposizione che consenta di realizzare nuovi edifici agricoli del tutto svincolati da rapporti di contiguità con edifici preesistenti.
In mancanza di edifici preesistenti in loco, si appalesano pertanto illegittimi i titoli abilitativi rilasciati alle controinteressate.
8) Parimenti meritevole di accoglimento è il quarto motivo di ricorso, con cui gli esponenti rilevano come una parte del nuovo insediamento ricada entro la fascia di rispetto di 150 m. dall’adiacente rio di Cardine, acqua pubblica alla quale si applica l’art. 142, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 42/2004, senza che nella fattispecie sia stata rilasciata alcuna autorizzazione paesaggistica.
Le parti resistenti non contestano il presupposto fattuale indicato dai ricorrenti, ma mettono in discussione la sussistenza del vincolo fluviale, siccome non evidenziato nelle planimetrie allegate al piano regolatore, non impugnato sotto questo profilo; il Piano paesaggistico regionale, d’altronde, non include tra i beni ambientali il rio di Cardine.
Soggiunge la difesa delle controinteressate che l’autorizzazione paesaggistica costituirebbe semplice condizione di efficacia del titolo edilizio, non condizione di legittimità dello stesso, cosicché la sua mancanza preclude eventualmente la sola esecuzione dei lavori autorizzati.
Quanto alla prima eccezione, è sufficiente rilevare che gli strumenti urbanistici non hanno la capacità di far venir meno la natura direttamente impressa ad un’acqua pubblica dalla previsione legislativa e che, nella fattispecie, non risulta adottata alcuna dichiarazione di irrilevanza ai fini paesaggistici ai sensi dell’art. 142, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004.
Come si evince dal chiaro tenore letterale dell’art. 146, comma 4, del medesimo d.lgs., inoltre, l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8269) e non semplice condizione di legittimità dello stesso.
Ne consegue la valutazione di illegittimità dei provvedimenti impugnati nella parte in cui autorizzano l’edificazione all’interno della fascia di rispetto fluviale.
9) Per completezza, è opportuno esaminare anche gli ulteriori motivi di ricorso.
Con il quinto motivo, gli esponenti denunciano la violazione dell’art. 12.6 delle N.T.A. che imporrebbe nell’area interessata dall’intervento, inclusa fra quelle indicate come esondabili nella cartografia di piano (carta di sintesi della pericolosità geomorfologica), un vincolo di inedificabilità assoluta.
La censura è infondata, poiché la carta di sintesi inserisce la zona in questione nella classe di pericolosità IIc ("Zone con modesta pericolosità geomorfologica"), dove non è preclusa la realizzazione di nuovi edifici, purché sopraelevati rispetto al piano di campagna e non dotati di locali interrati o seminterrati.
10) Con il sesto e ultimo motivo del ricorso introduttivo, viene nuovamente denunciata, sotto un diverso profilo, la violazione del cit. art. 12.6, atteso che il progetto assentito prevede, in asserito contrasto con il divieto posto da tale disposizione, l’installazione di prevasche interrate.
Anche questa censura è priva di pregio, poiché le "prevasche" in questione non sono vani utili (e non possono farsi rientrare, quindi, nella nozione di "locale"), ma semplici vasche di raccolta delle deiezioni animali che, per evidenti ragioni tecnicofunzionali, devono necessariamente essere poste sotto il piano di calpestio delle stalle.
11) Le censure dedotte con il ricorso per motivi aggiunti riguardano le previsioni del progetto assentito che consentirebbero, in zona sottoposta a vincolo ambientale ed in assenza della necessaria autorizzazione paesaggistica, di realizzare una strada interna al compendio e di aprire un accesso carraio sulla strada provinciale.
Le parti resistenti giustificano la circostanza con spiegazioni parzialmente coincidenti: la difesa comunale sostiene che non si tratterebbe di una strada vera e propria, avente le caratteristiche di nuova costruzione, ma di sedime sistemato con riporti di ghiaia per consentire il passaggio dei mezzi di cantiere; la difesa delle controinteressate precisa che la strada all’interno del lotto sarebbe preesistente e fatta oggetto di semplici lavori di consolidamento.
Ciò premesso, ritiene il Collegio di dover prescindere dal vaglio della censura in questione, richiedendosi a tal fine accertamenti istruttori che non paiono compatibili con l’esigenza di definire celermente la controversia.
12) In conclusione, il ricorso va dichiarato parzialmente improcedibile, limitatamente alla posizione dei signori G.L.R. e M.B., e va accolto per il resto.
Considerando le peculiarità della controversia, le spese del grado di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte improcedibile e in parte lo accoglie, come da motivazione.
Annulla, per l’effetto, i provvedimenti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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