Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 17-02-2011) 06-04-2011, n. 13720 Reati elettorali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Procuratore Generale della Repubblica di Trieste propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale il tribunale di Udine ha dichiarato estinti per prescrizione i reati di cui all’art. 81 cpv. c.p. e D.P.R. n. 570 del 1960, art. 90 contestati a V.P.V.D., in qualità di consigliere comunale:

a) per l’autenticazione delle sottoscrizioni di liste di elettori o di candidati per l’elezione alla Camera ed al Senato della Repubblica depositate presso la corte di appello di Trieste (in Udine tra il 24.2.2006 e il 4.3.06);

b) per l’autenticazione delle sottoscrizioni di liste di elettori o di candidati per l’elezione provinciale di Udine (in Udine il 7.3.06).

Il tribunale di Udine aveva dichiarato la prescrizione dei reati contestati ritenendo applicabile il termine di prescrizione biennale di cui al D.P.R. n. 570 del 1960, art. 100. Deduce in questa sede il PG ricorrente la violazione di legge ritenendo che il D.P.R. n. 570 del 1960, art. 100 non configuri un autonomo termine di prescrizione derogatorio a quello ordinario.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Si pone anzitutto la necessità di verificare la correttezza della contestazione.

Va al riguardo rilevato che, come evidenziato anche dalla Corte Costituzionale, il legislatore ha delineato, con il D.P.R. n. 361 del 1957, art. 100, commi 2 e 3 e D.P.R. n. 570 del 1960, art. 90, entro il corpus dei reati elettorali, due parallele figure delittuose di falso documentale, valevoli, rispettivamente, in rapporto alle elezioni politiche e alle elezioni amministrative.

Il D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 ha per oggetto, infatti, il Testo unico delle leggi per la composizione e l’elezione degli organi delle amministrazioni comunali e le disposizioni in esso contenute sono applicabili anche alle elezioni regionali e provinciali, in forza della L. 17 febbraio 1968, n. 108, art. 1 e L. 8 marzo 1951, n. 122, art. 8.

L’elezione della Camera dei deputati è invece regolata in via autonoma dal D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 e tali disposizioni risultano estese alle elezioni del Senato e dei rappresentanti dell’Italia al Parlamento Europeo dal D.Lgs. 20 dicembre 1993, n. 533, art. 27, e L. 24 gennaio 1979, n. 18, art. 51.

Ed, infatti, il D.Lgs. 20 dicembre 1993, n. 533, art. 9, come successivamente modificato, recante il Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica, al comma 5 stabilisce che "Le liste dei candidati e la relativa documentazione sono presentate per ciascuna regione alla cancelleria della corte d’appello o del tribunale sede dell’ufficio elettorale regionale, con l’osservanza delle norme di cui al testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, artt. 18-bis, 19, 20 e 21"; mentre l’art. 27 stabilisce che: ". per l’esercizio del diritto di voto e per tutto ciò che non è disciplinato dal presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico delle leggi per l’elezione della camera dei deputati, approvato con D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni". Ne consegue che la contestazione sub a) è comunque errata essendo la fattispecie contestata prevista dall’art. 100 di quest’ultimo D.P.R. (n. 361 del 1957) il cui comma 3 per effetto delle modifiche introdotte dalla L. 2 marzo 2004, n. 61 (oggetto di intervento della corte Costituzionale come si dirà oltre), recita: "Chiunque commette uno dei reati previsti dai Capi 3 e 4 del Titolo 7 del Libro secondo del codice penale aventi ad oggetto l’autenticazione delle sottoscrizioni di liste di elettori o di candidati ovvero forma falsamente, in tutto o in parte, liste di elettori o di candidati, è punito con la pena dell’ammenda da 500 Euro a 2.000 Euro"; così rendendo omogenee la disposizione citata con quella del D.P.R. n. 570 del 1960, art. 90 avente ad oggetto le elezioni comunali.

Fatto salvo quanto si dirà oltre sulla vigenza di tale disposizione, la precisazione ha una prima conseguenza comunque rilevante nella specie.

Nel D.P.R. n. 361 del 1957 relativo alla elezione dei membri della Camera dei Deputati non si rinviene, infatti, una disposizione analoga a quella del D.P.R. n. 570 del 1960, art. 100 sul termine biennale di prescrizione e/o decadenza dell’azione penale (si affronterà oltre la questione), il che aveva già in passato indotto questa Sezione ad affermare che il termine di prescrizione dei reati previsti dal D.P.R. n. 361 del 1957 (T.U. delle leggi relative all’elezione della Camera dei deputati) è quello ordinario, e non quello breve previsto dal D.P.R. n. 570 del 1960, art. 100 (T.U. delle leggi per l’elezione degli organi delle Amministrazioni comunali). (Sez. 3, n. 1035 del 09/12/1997 Rv. 209508).

Da qui l’evidente errore nel prendere in considerazione la disposizione del D.P.R. n. 570 del 1960, art. 100 concernente il termine biennale dell’azione anche per la fattispecie sub a) che riguarda, invece, l’elezione alla Camera dei Deputati ed al Senato della Repubblica, non essendovi possibilità alcuna di estendere la applicazione della norma in questione.

Anche nelle decisioni in cui si è ritenuta la natura prescrizionale del termine si è comunque affermato che la previsione contenuta nel D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 100, in quanto fortemente derogatoria del regime prescrizionale generale contenuto negli artt. 157 e 160 c.p., è riferibile ai soli reati previsti dal medesimo testo normativo e non è suscettibile di interpretazione estensiva (così Sez. 3, n. 38836 del 10/10/2006 Rv. 235492, che ha ritenuto non applicabile tale disposizione ai reati elettorali per i quali sia contestata anche la circostanza aggravante ad effetto speciale prevista da una diversa normativa, come quella contenuta nel D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito con L. 12 luglio 1991, n. 203).

E’ utilmente richiamabile invece, come detto, la disciplina del D.P.R. n. 570 del 1960 per le elezioni provinciali (alle quali fa riferimento la contestazione sub b) dal momento che per quanto non espressamente previsto da altre leggi si applicano le norme del testo unico delle leggi per la elezione dei Consigli comunali.

Ciò posto occorre ricordare che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 394 del 2006, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 100, comma 3, (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera dei deputati), come sostituito dalla L. 2 marzo 2004, n. 61, art. 1, comma 1, lett. a), (Norme in materia di reati elettorali); nonchè del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 90, comma 3, (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), come sostituito dalla L. n. 61 del 2004, art. 1, comma 2, lett. a), numero 1). Questa Sezione ha già avuto modo di chiarire nella sentenza n. 36334 del 2009, ric. Bombacigno, Rv. 244965, le ragioni per le quali la disciplina contravvenzionale introdotta dalla L. n. 41 del 2004 deve continuare a trovare applicazione per i casi – come quello di specie – antecedenti alla pronuncia del giudice delle leggi ed a tali motivazioni, in quanto condivise, il Collegio ritiene di potersi richiamare. E del resto la stessa Corte Costituzionale nel corso della motivazione della sentenza n. 394, richiamando la sentenza n. 148 del 1983, ricorda che la circostanza che una determinata norma, di rilievo penalistico, sia contraria a Costituzione, non può comunque comportare – come conseguenza della sua rimozione da parte della Corte – l’assoggettamento a pena, o a pena più severa, di un fatto che all’epoca della sua commissione risultava, in base alla norma rimossa, penalmente lecito o soggetto a pena più mite:

derivandone, per tale aspetto, un limite al principio della privazione di efficacia della norma dichiarata costituzionalmente illegittima, enunciato dall’art. 136 Cost., comma 1, e dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, comma 3 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) Occorre, quindi, a questo punto affrontare la questione relativa alla natura del termine biennale di cui al D.P.R. n. 570 del 1960, art. 100 in quanto comunque rilevante per il reato sub b). L’art. 100 recita:

"qualunque elettore può promuovere l’azione penale, costituendosi parte civile, per i reati contemplati negli articoli precedenti. l’azione penale, per tutti i reati contemplati nel presente testo unico, si prescrive in due anni dalla data del verbale ultimo delle elezioni, il corso della prescrizione è interrotto da qualsiasi atto processuale ma l’effetto interruttivo dell’atto non può prolungare la durata dell’azione penale per un tempo che superi, nel complesso, la metà del termine stabilito per la prescrizione".

E’ vero che sul punto si sono delineati due distinti orientamenti della Corte. Il primo, già citato, che considera il termine di due anni una deroga alla disciplina generale della prescrizione, ed un secondo per cui il D.P.R. n. 570 del 1960, art. 100, nel riconoscere ad ogni elettore la possibilità di promuovere l’azione penale per i reati in materia di elezioni comunali e di costituirsi parte civile, subordina tale possibilità ad un limite temporale (due anni dalla data dell’ultimo verbale elettorale). Tali reati sono perciò sottoposti a due diversi tipi di prescrizione: quella già menzionata, riguardante il momento genetico, cioè la promozione dell’azione penale, e quella prevista dal cod. pen., attinente al reato stesso (Sez. 3, n. 17630 del 23/03/2005 Rv. 231614; Sez. 3, n. 46370 del 11/11/2008 Rv. 241797), cui si richiama il procuratore della Repubblica ricorrente. Il Collegio ritiene di dovere aderire a questo secondo orientamento.

Richiamate integralmente le motivazioni a sostegno, ritiene il Collegio che si appalesi evidente come quest’ultima opzione interpretativa si ponga maggiormente in linea con le motivazioni che sorreggono la sentenza della Corte Costituzionale n. 394 del 2006.

A prescindere, infatti, dalla irrazionalità della differenziazione del termine di prescrizione tra i due corpi normativi che regolano le elezioni politiche e quelle amministrative, la norma, prevedendo una prescrizione più breve, consentirebbe ancora per i soli reati di falso commessi in occasione delle elezioni amministrative, i quali peraltro costituirebbero ora delitto e non più contravvenzione, un regime di inspiegabile favore sia pure con riferimento al termine di perseguibilità dell’illecito che la Corte Costituzionale ha inteso invece proprio stigmatizzare con la sua pronuncia.

Nè va trascurato infine, come afferma il procuratore della Repubblica ricorrente, l’elemento testuale contenuto nella L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6 che, novellando l’art. 157 c.p., ha previsto che l’estinzione dei reati non possa "comunque" avere luogo in un tempo inferiore a sei anni se si tratta di delitti e quattro anni se si tratta di contravvenzioni.

Va dunque disposto l’annullamento della sentenza con rinvio al tribunale di Udine affinchè si conformi ai principi enunciati.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione qualificato il capo a) come violazione del D.P.R. n. 361 del 1957, art. 100, annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Udine.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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