Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
p.1. Con sentenza del 26 febbraio 2007 la Corte d’appello di Firenze confermava quella emessa dal tribunale il 9.6.2005, che aveva dichiarato A.S. colpevole del reato previsto dall’art. 336 c.p., comma 1, – per avere minacciato D.V.D., che attendeva di essere chiamato a deporre come testimone in un processo penale, dicendogli "io ho deposto bene, ora se tu mi fai perdere la causa ti tronco le gambe e ti do fuoco all’azienda" – condannandolo alla pena di un anno di reclusione e al risarcimento del danno in favore della parte civile.
L’imputato ricorre contro la sentenza e denuncia:
1. erronea qualificazione giuridica del fatto e mancanza di motivazione, perchè, non essendo stato dimostrato che la minaccia era finalizzata a costringere il teste a non deporre ovvero a deporre il falso, il fatto doveva essere sussunto nella previsione meno grave di cui all’art. 336 c.p., comma 2;
2. erronea qualificazione giuridica del fatto, perchè, ammesso che la minaccia fosse finalizzata a costringere il teste a deporre il falso, il fatto, per il principio di specialità, ricadeva nella fattispecie prevista dall’art. 377 c.p., comma 3;
3. erronea applicazione degli artt. 62 bis, 133 e 175 c.p., per avere il giudice di merito applicato una pena superiore al minimo edittale e negato sia le attenuanti generiche che la sospensione condizionale.
Chiede infine che il reato, commesso il (OMISSIS), sia dichiarato prescritto. p.2. Il primo motivo è infondato, perchè la sentenza impugnata – e, più diffusamente, quella di primo grado – dopo avere spiegato le ragioni per cui ha ritenuto credibile la testimonianza della persona offesa, ha chiarito che la minaccia era finalizzata a costringerla a non dire la verità. Pertanto, in coerenza con le risultanze probatorie, ha affermato che il fatto concreto non poteva essere ricondotto nella fattispecie prevista dall’art. 336 c.p., comma 3, perchè la minaccia mirava a costringere il pubblico ufficiale "a fare un atto contrario ai propri doveri", e non semplicemente a esercitare sullo stesso una generica "influenza".
E’ invece fondato il secondo motivo, perchè la norma incriminatrice dell’art. 377 c.p., comma 3, si pone in rapporto di specialità rispetto a quella dell’art. 336 c.p., comma 1, dato che nella comune descrizione del fatto tipico introduce l’elemento specializzante della particolare qualità del soggetto passivo della violenza o minaccia esercitata dall’agente.
Dato che la pena comminata dall’art. 337 c.p., comma 2, nel caso concreto, è quella prevista dall’art. 372 c.p. "diminuita in misura non eccedente un terzo", il reato per cui si procede, così riqualificato, essendo stato commesso il (OMISSIS), risulta prescritto.
Le statuizioni civili devono essere confermate, perchè come hanno congruamente motivato i giudici del merito, l’imputato ha effettivamente commesso il reato ascrittogli e deve quindi rispondere del danno cagionato.
P.Q.M.
La Corte di cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata, qualificato il fatto contestato come reato previsto dall’art. 377 c.p., perchè estinto per intervenuta prescrizione; conferma le statuizioni civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida complessivamente in Euro 2.7000, più IVA e CNPA. Così deciso in Roma, il 11 marzo 2011.
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