Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-03-2011) 15-04-2011, n. 15395

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.A., D.S.A. e B.S., tramite i rispettivi difensori di fiducia, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione avverso la sentenza, in data 5.5.2010, della Corte d’Appello di Catania, confermativa della sentenza 25.11.2009 del Tribunale di Catania (appellata dagli attuali ricorrenti e dal P.G. della Repubblica di Catania), con cui il M. ed il D.S. erano condannati, per i reati di cui agli artt. 110, 56 e 628 c.p., comma 3, n. 1 e art. 648 c.p., ritenuta la continuazione e la contestata recidiva, alla pena di anni quattro, mesi otto di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa ciascuno, con interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, mentre la B. era condannata, per il reato di favoreggiamento personale,alla pena di un anno di reclusione, con pena sospesa.

Il M. deduceva:

1) difetto di motivazione sulla sua responsabilità, dovendosi escludere che la persona alla guida del fuoristrada, utilizzato per accedere al luogo ove era collocato il bancomat, corrispondesse alla persona vista nel medesimo luogo assieme agli altri fermati;

difettava, peraltro, ogni ricostruzione della condotta personale e del ruolo concretamente espletato da esso M.; 2) omessa motivazione sulle argomentazioni difensive in ordine alla configurabilità della desistenza, essendo stato accertato che l’intervento della Polizia non era stato immediato, rispetto all’azione di fuga posta in essere dagli autori del reato, i quali non avevano potuto verificare l’azionamento del dispositivo di chiamata della forze dell’Ordine, atteso che nessuno degli imputati era ancora entrato nell’ufficio postale ove era ubicato lo sportello del bancomat.

La B. lamentava:

mancanza e manifesta illogicità della motivazione sulle doglianze difensive relative alla erronea interpretazione e/o applicazione dell’art. 378 c.p.; la Corte d’appello non aveva accertato nè la sussistenza del dolo nè che la B. fosse consapevole del fatto che le tre persone entrate nel suo appartamento avessero effettuato la tentata rapina contestata.

D.S.A. deduceva:

1) difetto di motivazione sulle doglianze svolte col primo motivo di appello, tenuto conto, fra l’altro, dell’apodittico richiamo alla sentenza di primo grado;

2) inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 195 c.p.p., delle dichiarazioni rese di verbalizzanti di P.G. su quanto da loro appreso da persone rimaste ignote e non sentite in sede dibattimentale, essendo la testimonianza indiretta utilizzabile solo in caso di irreperibilità dei testimoni diretti e non anche nel caso in cui gli stessi non siano stati identificati, come avvenuto nella specie;

l’inutilizzabilità di tali dichiarazioni comportava l’impossibilità di ricondurre la presenza del D.S. nei pressi dell’ufficio postale al momento della tentata rapina; inoltre la descrizione della maglietta indossata dal D.S., descritta dall’unico teste oculare, Ma.Br., come "maglietta verdina", in sede di audizione dibattimentale, non corrispondeva a quella di "colore grigio chiaro", effettivamente indossata nè era stato svolto alcun accertamento scientifico sui caschi e sulla maglietta bianca trovati nell’appartamento della B., così da poterli attribuire alle persone arrestate; erano, inoltre, inutilizzabili, ex art. 63 c.p.p., comma 2 le dichiarazioni rese dalla B., in data 6.11.2008, in forma di sommarie informazioni, considerato che già all’esito della perquisizione domiciliare, effettuata nel medesimo giorno, la stessa doveva ritenersi indagata per favoreggiamento personale, sicchè doveva essere sentita con le previste garanzie di legge;

3) mancanza e contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 56 c.p., avendo la Corte territoriale, a pag. 3 della sentenza impugnata, escluso l’ipotesi del recesso volontario, nonostante che i soggetti agenti avessero volontariamente desistito dall’azione criminosa prima dell’intervento delle forze di polizia,senza essere stati influenzati dall’allarme azionato dagli impiegati delle Poste, essendo lo stesso "silenzioso", per come riferito dagli stessi impiegati all’udienza del 24.6.2009; 4) difetto di motivazione sulla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

I ricorsi sono manifestamente infondati.

I ricorrenti ripropongono questioni già esaminate dalla Corte territoriale e decise con motivazione esente da vizi di manifesta illogicità, come tale incensurabile in sede di legittimità.

In particolare, quanto alle censure del M., i giudici di appello hanno dato conto della sussistenza del tentativo di rapina, escludendo la desistenza volontaria sulla base dei fatti accertati, attesa l’attivazione del sistema di allarme dell’ufficio postale ove gli imputati avevano tentato di forzare la zona blindata in cui era ubicato lo sportello bancomat. E’ stato, al riguardo, chiarito che la fuga degli autori del reato era stata determinata "dalla pronta reazione degli addetti all’ufficio delle Poste e dall’intervento immediato delle Forze dell’ordine che, messisi alla ricerca degli autori del tentativo di rapina, erano riusciti a rintracciarli all’interno della casa della B.S.".

Va,poi, rammentato che la motivazione della sentenza di primo grado si integra con quella di appello nè può, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", essere superato il limite costituito dal "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dai probatori non esaminati dal primo giudice, ipotesi non ricorrente nella specie (Cass. n. 19710/2009; n. 38788/2006).

Legittimamente, quindi, la Corte di merito ha richiamato la motivazione della sentenza di primo grado,- integrativa di quella di secondo grado anche quanto alla identificazione del M. come uno gli autori della tentata rapina.

Sulla sussistenza del dolo della B., in relazione al reato di favoreggiamento, è stato ribadito nella sentenza impugnata che la stessa, al fine di depistare le indagini, aveva negato agli agenti di polizia che all’interno del suo appartamento si erano rifugiati i malviventi, "dichiarando di essere sola in casa". Com’è noto, il reato di favoreggiamento personale è reato di pericolo ed ai fini della sua configurabilità, è sufficiente che sia stata posta in essere un’azione diretta ad aiutare taluno ad eludere le investigazioni senza che sia necessario che detta azione abbia raggiunto l’effetto di ostacolare le investigazioni, nella consapevolezza (dolo generico) dell’agente di fuorviare, con la propria condotta le investigazioni nei confronti dell’autore di un reato (Cass. n. n. 8786/99; n. 44756/2003). Non si ravvisano valide ragioni per escludere la utilizzabilità, ex art. 195 c.p.p., delle dichiarazioni rese dagli agenti di P.G. in quanto le informazioni da loro assunte, nell’immediatezza dei fatti da persone ignote, e-rano dirette, nel caso di specie, a proseguire le indagini ed a rintracciare gli autori della tentata rapina, sicchè esulano dal divieto della testimonianza indiretta degli organi di polizia giudiziaria, trattandosi di dichiarazioni rese da terzi e percepite al di fuori di uno specifico contesto procedimentale di acquisizione, in una situazione operativa eccezionale e di urgenza, al di fuori, quindi, di un dialogo tra teste e agente di polizia giudiziaria, ciascuno nella propria qualità (Cass. S.U. n. 36747/2003).

Non è neppure ravvisabile la inutilizzabilità, ex art. 63 c.p.p., comma 2, delle dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni dalla B. che, all’epoca, non aveva assunto la qualità di indagata nè risultava iscritta nell’apposito registro a seguito di specifica iniziativa da parte del P.M.; le dichiarazioni rese dalla B. il 6.9.2008, risultano, infatti, rese all’ufficiale di P.G. in merito al rintraccio presso l’abitazione della stessa B. dei tre soggetti, poi imputati del reato in questione, "al fine di meglio chiarire le circostanze del rintraccio" (V. verbale di sommarie informazioni allegato al ricorso) e, peraltro, nel verbale stesso si da atto della interruzione delle dichiarazioni della B., allorchè la stessa aveva fatto riferimento a circostanze che potevano comportare indizi di reità in ordine al reato di favoreggiamento.

La misura della pena e la mancata concessione delle attenuanti generiche è stata confermata con sufficiente motivazione in relazione alla motivazione sul punto del giudice di prime cure "nel rispetto dei criteri di dosimetria di cui all’art. 133 c.p.".

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di ciascuno, al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende, considerati i profili di colpa emergenti dai ricorsi.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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