Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con ordinanza in data 24-9-2010 il Tribunale di Ancona – Sez. Riesame – rigettava l’istanza di riesame proposta dalla difesa di L. C.E. avverso il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal GIP presso il Tribunale in data 13 agosto 2010, in ordine a merce dal marchio contraffatto(nella specie si trattava di scarpe dal marchio "Converse", che erano state recuperate dalla Guardia di Finanza in un’operazione svolta in data (OMISSIS), nel controllo di due autoarticolati provenienti dalla (OMISSIS), e adibiti al trasporto della merce diretta in (OMISSIS), ove aveva sede la ditta Ressodk Rings della quale l’indagato aveva la rappresentanza legale.
Nella specie, a seguito di un primo sequestro probatorio disposto dal PM – poi revocato a seguito di una consulenza tecnica di parte, e- dopo una perizia di ufficio era stato nuovamente applicato il sequestro dal GIP. con provvedimento che accoglieva le richieste ulteriori del PM con decreto di sequestro preventivo. Il Tribunale del riesame aveva disatteso le questioni sottoposte dalla difesa, evidenziando che era ravvisabile il fumus delicti commissi in riferimento all’art. 474 c.p. trattandosi di merce che era da considerare introdotta nel territorio dello stato(essendo la merce, proveniente dalla (OMISSIS), entrata in (OMISSIS) nel porto di (OMISSIS)).
In secondo luogo rilevava che non era ravvisabile la violazione del principio "ne bis in idem" prospettata dalla difesa, essendo i provvedimenti in materia di sequestro suscettibili di reiterazione, secondo giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 3, n. 1033 del 13- 7-2009) e per essere i decreti di natura diversa, poichè quello in essere ha natura di sequestro preventivo, mentre il precedente aveva natura di sequestro probatorio) a tutela delle esigenze di precludere all’indagato la disponibilità della merce, al fine di servirsene in contrasto con le esigenze tutelate dall’art. 321 c.p.p..
Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per cassazione il difensore deducendo la abnormità dell’ordinanza impugnata.
Dopo aver richiamato il fatto, la difesa rilevava con il primo motivo in osservanza degli artt. 253 e 321, con riferimento agli artt. 251, 348 e 358 c.p.p. e art. 474 c.p.. richiamando il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. B e C. A riguardo rilevava la erronea applicazione dell’ipotesi di reato enunciata dall’art. 474 c.p., evidenziando che la merce era solo in transito intracomunitario, essendo diretta in (OMISSIS).
In tal senso contrastava l’assunto accusatorio, asserendo che l’art. 474 c.p. prevede la condotta di chi introduca nel territorio dello Stato merce contraffatta al fine di trame profitto.
Pertanto deduceva la nullità del provvedimento di sequestro oggetto di impugnazione per violazione di legge.
2 – Con ulteriore motivo deduceva la erronea adozione del sequestro preventivo per finalità sostanzialmente probatorie.
A riguardo evidenziava che per la merce si era ritenuta la necessità di disporre una perizia d’ufficio, dopo che erano stati oggetto di accertamento tecnico di parte, e dunque si era ammesso sostanzialmente che le merci dovessero essere sottoposte ad ulteriori accertamenti, dato da cui la difesa desumeva la finalità probatoria della misura reale, finalizzata all’accertamento del reato.
In relazione alla vicenda di cui si tratta la difesa richiamava la motivazione resa dal PM in riferimento alla misura cautelare richiesta, a seguito del precedente annullamento del decreto di sequestro probatorio(v. fl. 5 dei motivi di ricorso) evidenziando che il PM, dopo tale annullamento si era trovato in difficoltà, non potendo reiterare la richiesta di sequestro probatorio, già revocato in precedenza, e dunque aveva formulato richiesta di sequestro preventivo.
– Diversamente la difesa sosteneva che il provvedimento impugnato aveva natura di sequestro probatorio, e che non era ammissibile l’emissione di un decreto dotato di finalità sia tipiche del sequestro probatorio che di quello preventivo. (v. fl 6 del ricorso sul punto).
In base a tali elementi la difesa riteneva essersi verificata la violazione di legge, evidenziando la nullità del decreto impugnato.
3 – Inoltre deduceva la mancata enunciazione del fatto-reato in relazione al quale era stata disposta la misura, rilevando la genericità della indicazione della fattispecie contestata, che sostanzialmente non coincideva con quella astrattamente contemplata dall’art. 474 c.p., essendo menzionata una generica introduzione della merce nel territorio dello Stato.
4 – Rilevava altresì la violazione del principio "ne bis in idem", deducendo che il PM avrebbe potuto reiterare il provvedimento di sequestro solo nell’ipotesi in cui fossero emerse nuove esigenze probatorie.
Peraltro osservava che il provvedimento del GIP aveva annullato il decreto di revoca del dissequestro e non quello che disponeva il sequestro.
Pertanto, si era verificato un primo sequestro probatorio, motivato dalla esigenza di accertare la falsità dei beni, a cui non aveva fatto seguito la perizia; successivamente dopo tre mesi – vi era stato uno spontaneo dissequestro, e poi una richiesta avanzata per sequestro preventivo, motivata dalla esigenza di disporre una perizia (perchè vi erano due differenti esiti di indagine sulla falsità o meno delle merci).
– Da tali elementi la difesa desumeva la "violazione del principio del ne bis in idem" come esposto a fl. 8 del ricorso).
5 – Con ulteriore motivo la difesa rilevava la carenza e contraddittorietà della motivazione, ravvisando la contraddittorietà nella indicazione dell’esigenza di impedire che la condotta criminosa fosse portata a conseguenze ulteriori, mentre dai provvedimenti adottati emergeva la necessità di sottoporre ad accertamenti tecnici le merci, e dunque si era in presenza dei presupposti per il sequestro probatorio, tendente all’accertamento del reato.
Pertanto si riteneva improprio il richiamo all’art. 321 c.p.p., comma 2 bis, non ritenendosi già accertata la contraffazione dei beni.
In tal senso la difesa rilevava la nullità del provvedimento impugnato.
6 – Con il sesto motivo la difesa deduceva – in riferimento al sequestro probatorio – la violazione del principio di limitazione della misura cautelare al tempo strettamente necessario agli accertamenti (seguendo l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità, per il quale cita: Cass. Sez. 3, sentenza n. 32277 del 2007).
In base a tale principio, che riteneva potesse essere esteso a tutti i tipi di sequestro, rilevava che nella specie, fino ad oggi non risultavano svolti gli accertamenti sulla autenticità della merce, e censurava altresì il provvedimento per la quantità di merce sottoposta al vincolo cautelare, da ritenersi sproporzionata alle esigenze di verifica per la ipotizzata contraffazione.
Anche per tali rilievi deduceva la carenza della motivazione resa dal Tribunale (che si era limitato ad affermare che tali censure riguardavano il sequestro probatorio), ritenendo viziata l’ordinanza impugnata, e concludeva chiedendo l’annullamento dei due provvedimenti di sequestro innanzi richiamati (ossia di quello probatorio e di quello preventivo).
Motivi della decisione
La Corte rileva che il ricorso deve ritenersi privo di fondamento.
Invero deve evidenziarsi che secondo il combinato disposto degli artt. 324, 325 e 355 c.p.p., il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa in sede di riesame dei provvedimenti di sequestro preventivo e di sequestro probatorio è proponibile solo per violazione di legge, onde non possono essere dedotti con il predetto mezzo di gravame vizi della motivazione: nel concetto di violazione di legge, infatti, possono ricomprendersi solo la mancanza grafica o l’apparenza della motivazione, riconducibili entrambe all’art. 606 c.p.p., lett. b) e v) v. Cass. Sez. 2-4-6-1997 – 19-6-1997 n. 3803 – Nomino – CED 208083 – sub art. 325 c.p.p.). Inoltre sempre secondo giurisprudenza di legittimità: Cass. Sez. 5, 30 maggio 1997, n. 2148, Bossoli, per cui "In tema di sequestro preventivo, quando l’indicazione del reato commesso non sia un mero riferimento alla norma violata, ma sia supportata da elementi che la rendano astrattamente ipotizzatole, non è necessaria la individuazione dettagliata del fatto nei suoi limiti soggettivi o temporali poichè il provvedimento cautelare trova fondamento nel pericolo di un aggravamento delle conseguenze del reato e non nella gravità degli indizi di colpevolezza a carico del soggetto individuato". RV208156.
Infondati sono, dunque, i rilievi difensivi circa la carenza motivazionale.
Peraltro, deve evidenziarsi che appare infondata anche la censura inerente alla diversa natura del sequestro disposto dall’AG successivamente alla revoca del sequestro probatorio, poichè questo e quello preventivo hanno distinte finalità e ben possono cumularsi, con la conseguente infondatezza della pretesa violazione del divieto di "ne bis in idem".
Deve altresì evidenziarsi che la durata del sequestro assume rilevanza ai fini della restituzione del compendio(v. CP-08-f.9, p. 3394 – doc. 1078) non già nel momento della instaurazione del vincolo reale. Il riesame attiene al momento genetico della cautela, non a quello funzionale.
Analogamente, non rileva in questa fase la "quantità" ossia l’entità del sequestro stesso in assenza di divieti normativi , il fumus juris e il periculum in mora legittimano l’adozione della cautela su tutti gli articoli della merce interessata.
Costituisce mera deduzione in fatto, infine, l’assunto secondo il quale la merce fosse da considerare solo "in transito".
Alla stregua di tali motivi il ricorso deve essere rigettato, essendo emersa la legittimità della misura cautelare e la corretta formulazione del provvedimento impugnatole è adeguato ai canoni giurisprudenziali di legittimità.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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