Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. – Il Signor C.D.C. impugna dinanzi a questo Tribunale la determinazione dirigenziale n. 174 del 19 maggio 2009 prot. EL/18921, Ufficio extradipartimentale per le politiche abitative del Comune di Roma, III U.O.Ufficio sanatorie, con la quale il predetto Ufficio ha respinto l’istanza di sanatoria per l’assegnazione dell’alloggio di edilizia economica e popolare sito in Roma, Piazza Melozzo da Forlì n. 1, presentata dall’odierno ricorrente il 4 dicembre 2007.
2. – Dalla documentazione versata in giudizio e dal contenuto degli atti difensivi prodotti dalle parti controvertenti la vicenda sottesa al contenzioso in esame può essere così ricostruita:
a) il Signor D.C. nel marzo del 1987 subentra all’allora locatario del suindicato appartamento cominciando a versare a suo nome il canone quale indennità di occupazione senza titolo (la dizione emerge chiaramente nella documentazione prodotta dal ricorrente quale all. 3);
b) l’odierno ricorrente chiedeva la regolarizzazione del rapporto di locazione ai sensi dell’art. 46 della legge regionale del Lazio 25 giugno 1987 n. 33, ritenendo sussistenti tutti i presupposti indicati da quella normativa, ma non si registrava alcuna risposta da parte dei competenti Uffici;
c) il rapporto con l’Ente proprietario proseguiva, dunque, tanto che il Signor D.C. riceveva dapprima, in data 9 giugno 1989, l’indicazione della quota dovuta per la partecipazione alle spese per interventi di manutenzione straordinaria del fabbricato (cfr. all. 6 del fascicolo di parte ricorrente) e successivamente, in data 30 maggio 1996, una nota con la quale gli si chiedeva di esprimere l’assenso "di massima" all’acquisto dell’immobile (cfr. all. 7 del fascicolo di parte ricorrente), tanto è vero che egli sottoscriveva un patto di futura vendita trasmesso agli Uffici proponenti (cfr. all. 8 del fascicolo di parte ricorrente);
d) ai fatti, come sopra descritti, seguiva una nuova domanda di sanatoria formulata il 4 dicembre 2007 rispetto alla quale gli Uffici competenti rispondevano in data 19 maggio 2009 con la qui impugnata determinazione dirigenziale n. 174 di diniego di sanatoria in quanto il reddito vantato dal richiedente superava il tetto previsto dalla normativa di settore anche in seguito alle defalcazioni reddituali previste.
3. – Nei confronti del suindicato provvedimento il Signor D.C. propone un unico ma articolato motivo di gravame ritenendolo illegittimo, oltre che per vizi formali attraverso i quali si contesta l’inadeguatezza della partecipazione procedimentale concessagli dal Comune procedente, per la fondamentale ragione che il reddito preso in considerazione dagli Uffici per svolgere le verifiche si riferiva al 2006, anno in cui sulla somma indicata nella dichiarazione annuale gravava l’indennità di fine rapporto a causa del pensionamento che ha riguardato l’odierno ricorrente in quell’anno.
Per tale ragione l’atto impugnato si manifesta nella sua illegittimità non avendo gli Uffici tenuto in considerazione il vero reddito annuo del ricorrente, a parte il fatto che il rapporto avrebbe dovuto già essere considerato "sanato" per effetto dell’istanza inviata nel 1987.
4. – Si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale contestando analiticamente le avverse prospettazioni e confermando la correttezza del comportamento posto in essere dagli Uffici competenti.
5. – Con ordinanza istruttoria 4 settembre 2009 n. 4205 il Tribunale chiedeva all’Amministrazione di farsi carico di fornire "documentati chiarimenti in merito alla situazione reddituale del ricorrente anche alla luce della documentazione depositata in atti dalla quale risulta, relativamente all’anno 2008, un reddito complessivo pari ad euro 24.607,05 lordi".
L’Amministrazione, in adempimento dell’invito istruttorio del Tribunale, depositava la nota prot. 38739 del 24 settembre 2009 dell’Ufficio extradipartimentale per le politiche abitative del Comune di Roma.
Successivamente, con l’ordinanza 26 novembre 2009 n. 5474 questo Tribunale accoglieva l’istanza cautelare presentata dalla parte ricorrente anche sul presupposto che pendeva dinanzi al Tribunale civile di Roma un giudizio avente ad oggetto il titolo di occupazione dell’immobile da parte del ricorrente medesimo.
Le parti hanno poi prodotto memorie conclusive con le quali hanno confermato le già rassegnate conclusioni.
6. – Vale la pena di precisare che l’Amministrazione comunale nella nota prot. 38739 del 24 settembre 2009 prodotta in seguito all’invito istruttorio del Tribunale ha specificato che:
1) la normativa applicata al caso di specie dall’Autorità procedente è recata dall’art. 53 della legge della Regione Lazio 28 dicembre 2006 n. 27, che contiene, per l’appunto, le disposizioni per la regolarizzazione delle occupazioni senza titolo da parte di soggetti aventi diritto (più precisamente per effetto delle modifiche alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 12 "Disciplina delle funzioni amministrative regionali e locali in materia di edilizia residenziale pubblica" e successive modifiche e alla legge regionale 4 aprile 2000, n. 18 concernente la regolarizzazione di occupazioni di alloggi effettuate senza titolo);
2) in base a tale normativa il limite di reddito annuo lordo complessivo del nucleo familiare per ottenere il legittimo titolo di assegnatario dell’alloggio di edilizia economica e popolare è fissato in 18.000,00 euro annui, ai quali vanno detratti duemila euro per ciascun familiare a carico convivente fino ad un massimo di detrazione pari a seimila euro. Nel caso in cui alla formazione del reddito complessivo concorrano redditi da lavoro dipendente, a questi, dopo le detrazioni di cui sopra, va detratto un ulteriore 40%;
3) il Signor D.C. ha presentato la domanda di sanatoria il 4 dicembre 2007 "ma è giocoforza che il reddito complessivo NF su cui effettuare il ricalcolo secondo i termini di legge sopra evidenziati, può essere solo quello relativo al 2006 (CUD 2007 relativo all’anno 2006, o dichiarazione redditi 2006)" (così, testualmente, nella seconda pagina della nota degli Uffici);
4) posto che dai calcoli effettuati il reddito del Signor D.C. eccede il limite di legge suindicato e che "avendo presentato domanda di sanatoria in data 04/12/2007, l’ufficio non ha potuto far altro che prendere in considerazione la situazione economica del richiedente e del proprio NF al momento della presentazione della domanda e quindi del reddito relativo all’anno 2006 che, come sopra chiarito, eccede il limite normativo con la conseguenza che il D.C. è stato escluso con DD 174/09 dall’assegnazione in regolarizzazione dell’immobile in parola" (così ancora, testualmente, nella seconda pagina della nota degli Uffici).
7. – Orbene, pare evidente che il motivo principale che ha dato luogo al non accoglimento della domanda di sanatoria vada individuato nel superamento del limite di reddito del nucleo familiare del Signor D.C., rispetto alle indicazioni della normativa di settore, in quanto riferito all’anno 2006. Non hanno chiarito gli Uffici per quale ragione non hanno ritenuto di verificare il reddito dello stesso nucleo familiare per il 2007.
O meglio, gli Uffici hanno affermato che avendo proposto la domanda il Signor D.C. nel dicembre 2007 non poteva farsi altro riferimento che al reddito per il 2006. Tale cristallizzazione degli effetti della domanda incidenti sulla portata ed ampiezza del percorso istruttorio posto a carico dell’Amministrazione non può essere condivisa.
Infatti l’Amministrazione avrebbe avuto ragione di affermare che l’indagine doveva necessariamente limitarsi alla dichiarazione del 2006 solo se:
A) la procedura in questione fosse costituita da una selezione tra più aspiranti agli alloggi ove si dovesse esser tenere in considerazione l’insuperabile principio della par condicio dei concorrenti che avrebbe reso impossibile ogni integrazione documentale tardiva rispetto alla data della domanda. Ma la procedura in esame era volta a sanare la posizione di chi già occupava l’immobile e quindi a consolidare, questa volta legittimamente ed a pieno titolo, detta occupazione. Nulla a che vedere con una procedura selettiva, quindi;
B).posto che la procedura in questione era volta a legittimare il rapporto già in essere tra l’Ente proprietario e la famiglia occupante l’alloggio, ogni indagine istruttoria utile alla completa definizione degli elementi necessari per valutare compiutamente la posizione del richiedente andava percorsa; se non altro perché in materia di procedimenti amministrativi vige la regola generale di cui all’art. 6, comma 1, lett. b), della legge 7 agosto 1990 n. 241 secondo il quale spetta all’Amministrazione il compito di porre in essere ogni azione utile al fine di rendere integra e completa la fase istruttoria, persino suggerendo all’interessato la documentazione utile da produrre in corso di procedimento al fine di ottenere il vantaggio cui tendeva l’istanza proposta, sussistendone, ovviamente, i presupposti.
In altri termini, appare decisamente contraddittorio il comportamento assunto da un’Amministrazione che, in una materia estremamente delicata per i primari interessi in gioco quale è quella della gestione degli alloggi di edilizia economica e popolare, fonda il diniego di sanatoria dell’occupazione dell’alloggio sulla scorta di quel che risulta dalla documentazione prodotta con l’istanza e senza preoccuparsi di approfondire l’indagine con la verifica circa l’esistenza o meno di ulteriori elementi – sia pure limitatamente al tipo di documentazione già prodotta – quando la risposta alla predetta istanza ritarda di oltre un anno e mezzo. Sembra evidente che, avendo tardato a rispondere per più di un anno, l’Amministrazione avrebbe dovuto verificare la compatibilità del reddito del nucleo familiare del Signor D.C. attualizzato al 2007 (e fors’anche al 2008, visto che il provvedimento impugnato è solo di maggio 2009).
Sotto tale profilo il motivo di ricorso che contesta l’inadeguata istruttoria svolta dagli Uffici merita di essere accolto.
8. – Chiarito quanto sopra e per completezza di motivazione il Collegio registra l’esistenza di un fatto giuridico che assume portata assorbente nella controversia in esame. Trattandosi di un fatto giuridico e non dello scrutinio di una censura dedotta nei confronti di un atto impugnato, il giudice amministrativo ne deve tenere conto indipendentemente da alcun suggerimento che provenga dai controvertenti.
Tale fatto giuridico è costituito dalla constatazione che nei confronti dell’istanza di sanatoria presentata dal Signor D.C. il 4 dicembre 2007 si è ormai formato il silenzioassenso e che dunque l’Amministrazione, qualora intenda rilevare una illegittimità nella formazione silente del titolo abilitativo che autorizza l’odierno ricorrente ad utilizzare l’immobile come legittimo assegnatario, non potrebbe che procedere in via di autotutela ai sensi degli artt. 21quinquies e 21octies della legge n. 241 del 1990.
9. – In argomento giova rammentare che nel nostro ordinamento giuridico dal 2005 è stato introdotto l’istituto del c.d. silenzioassenso generalizzato, in virtù del quale "nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2" (così, testualmente, l’attuale formulazione dell’art. 20, comma 1, della legge n. 241 del 1990), tenuto conto che il citato comma 2 si riferisce all’ipotesi in cui l’Autorità procedente abbia indetto una conferenza di servizi.
Più analiticamente, dal 29 maggio 2005, data di entrata in vigore della legge 14 maggio 2005 n. 80, che ha introdotto nella legge 7 agosto 1990 n. 241 la nuova versione dell’art. 20 di tale legge, il legislatore ha ritenuto di dover modificare la natura, la portata e le modalità di realizzazione del c.d. silenzio assenso, inteso quale fatto giuridico equivalente in tutto e per tutto ad un provvedimento amministrativo di accoglimento di una istanza volta ad ottenere l’ampliamento della sfera giuridica del richiedente. In particolare:
A) nel passato (rispetto al 2005) il legislatore aveva disciplinato l’istituto del silenzioassenso limitandolo ai soli casi in cui una norma (anche di fonte secondaria) avesse indicato espressamente le ipotesi in cui tale istituto potesse ritenersi operativo (e ciò in virtù della disciplina generali recata dal D.P.R. 26 aprile 1992 n. 300, recante il regolamento concernente le attività private sottoposte alla disciplina degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241);
B) nel 2005, mutando diametralmente l’approccio con detto istituto, il legislatore non ne ha più ancorato l’operatività alla previa individuazione normativamente tipizzata delle ipotesi in cui l’inerzia dell’Amministrazione avrebbe realizzato la stessa conseguenza dell’adozione di un provvedimento espresso favorevole a colui che aveva presentato l’istanza, ma ha ritenuto che detto effetto sia riferibile a qualsivoglia domanda proposta all’Amministrazione alla quale è attribuito l’esercizio di un potere discrezionale;
C) nello stesso tempo, a conferma di come l’approccio con detto istituto sia stato ribaltato, il legislatore ha tipizzato i casi in cui il silenzioassenso non può operare, indicando – nel comma 4 del più volte citato art. 20 – i settori rispetto ai quali è sempre necessario un provvedimento espresso dell’Autorità competente, indipendentemente dal rispetto del termine procedimentale previsto in materia.
Consegue a quanto sopra che l’attuale formulazione dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990 (nella versione applicabile alla fattispecie qui in esame ratione temporis) reca le generali disposizioni in materia di silenzio assenso conseguente alla mancata adozione del provvedimento espresso richiesto da un soggetto interessato che abbia prodotto all’Autorità una istanza volta ad ottenere (ad esempio e per quel che rileva nella presente controversia) un titolo abilitativo ampliativo della propria sfera soggettiva e rispetto al quale l’Autorità stessa sia rimasta silente oltre il periodo temporale stabilito dalla legge, dal regolamento dell’Autorità procedente ovvero (all’epoca dei fatti qui esaminati e per effetto della versione dell’art. 2, comma 3, della legge n. 241 del 1990 che è stata in vigore fino al 4 luglio 2010, poi superata da tale data dalla nuova previsione contenuta nell’art. 2, comma 3, della ridetta legge per effetto dell’intervento di cui all’art. 7 della legge 18 giugno 2009 n. 69) nel termine di novanta giorni dalla presentazione dell’istanza.
Solo nelle ipotesi indicate al comma 4 del citato art. 20, vale a dire per l’attività amministrativa relativa "agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti".
10. – Proprio per le suesposte indicazioni non può condividersi l’assunto che talune pronunce fanno proprio e secondo il quale, pur nella vigenza del novellato art. 20 della legge n. 241 del 1990, in materia estranea rispetto a quelle ricadenti nel novero delle eccezioni descritte nel comma 4 del predetto articolo, non potrebbe trovare applicazione l’istituto del silenzio assenso (generalizzato).
Si era affermato in materia di alloggi di edilizia economica e popolare che: "la mancanza dei presupposti per il riconoscimento del titolo al subentro priva di significato il silenzio serbato dall’Amministrazione sulla domanda presentata dal soggetto interessato, atteso che deve escludersi che il silenzio possa assumere il valore di implicito assenso, tenuto conto che le ipotesi di silenzio significativo richiedono un’espressa previsione legale non rinvenibile nella materia de qua. Deve quindi ritenersi che l’inerzia dell’Amministrazione possa semmai configurarsi come inadempimento rispetto all’obbligo di pronunciarsi espressamente previsto dall’art. 2 l. n. 241 del 7 agosto 1990; ciò consente alla parte interessata di attivare in tale ipotesi lo speciale "rito del silenzio " previsto dall’art. 21 bis, l. n. 241 del 1990 (cfr., testualmente, TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 12 marzo 2010 n. 593)
L’orientamento di cui ora si è dato conto sembra non tenere in alcuna considerazione la novella del 2005 e la nuova veste dell’istituto in questione.
D’altronde nella specie non ci troviamo neppure dinanzi ad una inerzia serbata dall’Amministrazione in materia giustiziale (materia specifica nella quale non può trovare applicazione l’istituto del silenzioassenso ma, semmai, quello del silenzio rigetto ai sensi dell’art. 6 del DPR 24 novembre 1971 n. 1199 come, questa volta condivisibilmente – sempre trattando del rapporto intercorrente tra aspirante assegnatario all’alloggio ed Ente proprietario – ha affermato il TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 14 gennaio 2009 n. 81), non avendo in questo caso il ricorrente proposto un ricorso gerarchico avverso un diniego opposto dall’Amministrazione ma avendo il D.C., come si è sopra specificato, presentato una domanda (seppure considerata "in sanatoria") per la definitiva assegnazione di un alloggio popolare.
15. – Non può, dunque, ad avviso del Collegio condividersi – e per le ragioni sopra esposte si ritiene giunto il momento perché l’orientamento giurisprudenziale in materia muti – l’interpretazione secondo la quale lo spirare del termine di conclusione del procedimento per la regolarizzazione delle posizioni degli occupanti degli alloggi di edilizia economica e popolare non dia luogo ad alcuna formazione di provvedimento ampliativo implicito, come invece è preteso dalla nuova formulazione dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990.
Al riguardo è possibile richiamare sinteticamente la precedente opinione giurisprudenziale emersa in relazione alla generale ipotesi di cui all’art. 2 della legge n. 241 del 1990 quale norma che pone un termine acceleratorio per la definizione dei procedimenti amministrativi e non contiene, invece, alcuna prescrizione in ordine alla perentorietà dello stesso, né alla decadenza della potestà amministrativa, né all’illegittimità del provvedimento adottato. Conseguenze quest’ultime verificabili solo ove un effetto legale tipico sia espressamente collegato all’inutile decorso del tempo, come nel caso di silenzio assenso (cfr. ex plurimis TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 24 aprile 2008 n. 1253, T.A.R. Liguria, Sez. I, 18 settembre 2003 n. 1028, T.A.R. Lazio, Sez. III, 15 gennaio 2003 n. 128 e T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 4 aprile 2002 n. 1861). Secondo tale orientamento, dunque, il mancato rispetto del termine previsto per la conclusione dei procedimenti amministrativi determina solo l’illegittimità del silenzio mantenuto dalla P.A. e non anche l’illegittimità del provvedimento tardivamente assunto. Profilo quest’ultimo, invero, condiviso dal Collegio, ma che non tiene conto dell’operatività dell’istituto del silenzioassenso.
Ancora, secondo tale orientamento il silenzio assenso così formatosi può essere rimosso solo mediante l’esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte del Comune (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 marzo 1997 n. 286), misura di autotutela che consente di contemperare il ripristino della legalità con l’esigenza, pure avvertita dal legislatore, di rendere effettivamente praticabile l’istituto del silenzio accoglimento (Cons. Stato, Sez. V, 7 dicembre 1995 n. 1672).
16. – Chiarito quanto sopra e ritenuto maturo il tempo per superare il riferito orientamento giurisprudenziale onde rendere effettiva ed applicabile la previsione contenuta nel novellato art. 20 della legge n. 241 del 1990, con riguardo al settore dell’assegnazione degli alloggi di edilizia economica e popolare, specificamente nel caso in cui l’atto ampliativo che l’Autorità dovrebbe adottare non sia legato allo svolgimento di una selezione, non si incontra alcun ostacolo a ritenere applicabile il cennato istituto del silenzioassenso qualora l’Autorità non riscontri l’istanza dell’interessato nel termine procedimentale dovuto.
Facendo esplicito riferimento al caso in esame ed all’applicazione dell’art. 53 della legge della Regione Lazio n. 27 del 2006 in materia di sanatoria della posizione degli occupanti di alloggi di edilizia economica e popolare si può affermare che:
a) quella disposizione normativa regionale nulla dice in merito alla durata del procedimento di sanatoria;
b) essa neppure si pronuncia affermando che la procedura deve essere esclusa dall’applicazione dell’istituto del silenzioassenso ai sensi dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990 (all’epoca già in vigore nella formulazione post 2005);
c) il settore dell’edilizia economica e popolare non pare potersi ricomprendere tra quelli elencati nell’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990 rispetto ai quali non trova applicazione l’istituto del silenzio assenso;
d) conseguentemente, all’epoca dei fatti oggetto del presente giudizio, il termine di durata del procedimento, in assenza di elementi giuridici che depongano per un termine diverso, era pari a novanta giorni dalla proposizione dell’istanza;
e) quest’ultima, per espressa indicazione della stessa Amministrazione procedente, è stata presentata in data 4 dicembre 2007 di talché novanta giorni dopo si è formato il silenzioassenso, secondo le coordinate normative sopra evidenziate.
Ne deriva che, allo stato ed al momento in cui è stato adottato il provvedimento qui impugnato, il Signor D.C. aveva già visto accolta la sua istanza di sanatoria, seppur in modo silente, sicché il provvedimento impugnato non appare in linea con siffatta ricostruzione e con il precedente insorgere del "fatto giuridico" costituito dal maturato silenzioassenso.
Resta, dunque e pur sempre, ai sensi dell’art. 20, comma 3, della legge n. 241 del 1990 all’Autorità competente la possibilità di "assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21quinquies e 21nonies" della legge n. 241 del 1990, dovendo in tal caso esaminare compiutamente tutti gli elementi della fattispecie riguardante la posizione del Signor D.C. rispetto ai titoli legittimanti la sanatoria della sua posizione di occupante di un immobile di edilizia economica e popolare.
17. – In ragione di tutto quanto si è sopra esposto il Collegio reputa fondate le censure dedotte dalla parte ricorrente e, in accoglimento del ricorso, annulla il provvedimento impugnato.
La novità e la complessità dei temi trattati inducono il Collegio, in applicazione dell’art. 92 c.p.c. novellato, a disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti costituite.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
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