Cons. Stato Sez. IV, Sent., 03-05-2011, n. 2637 Destituzione e dispensa dall’impiego

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ricorso proposto al TAR Lazio, il sig. Guzzone M. Ignazio Manuele, assistente del corpo di Polizia penitenziaria, ha impugnato il decreto n. 00455772009/16867/ds4 del 7 aprile 2009 con cui gli è stata irrogata la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio a decorrere dal 31 gennaio 2001, a seguito di condanna penale (sent. della Corte di Appello di Catania n. 1465/02 del 12/06/02, per il reato, previsto dall’art. 12 del d.l. n.143/1991, di indebito utilizzo di carta di pagamento altrui).

1.1. Il TAR adito ha respinto i primi sette motivi di ricorso, respingendo la domanda di "restituito in integrum" ed ha accolto, ritenendoli fondati, i motivi ottavo e nono, nella parte in cui avevano dedotto l’illegittimità dell’atto impugnato per difetto di motivazione, violazione degli artt. 1 e 11 d. lgs. n. 449/92 e del principio di proporzionalità che deve assistere l’irrogazione della sanzione disciplinare.

Il TAR ha conseguentemente pronunziato l’annullamento dell’atto impugnato con salvezza degli ulteriori provvedimenti adottabili dall’amministrazione in eventuale sede di riedizione del procedimento disciplinare, tenendo conto del vincolo conformativo derivante dalla sentenza in ordine alle censure ritenute infondate e in relazione ai riscontrati vizi di difetto di motivazione e violazione del principio di proporzionalità.

2.- Il Ministero della Giustizia ha tuttavia impugnato la pronuncia del Tribunale, chiedendone l’annullamento alla stregua di mezzi ed argomentazioni riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente decisione.

Con ordinanza n.2672 del 2010 la Sezione ha accolto la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza, proposta parimenti dall’ appellante.

3.- L’ appellato si è costituito nel giudizio, resistendo con memoria e contestualmente proponendo altresì "appello incidentale" avverso la sentenza, nella parte in cui la stessa ha rigettato i primi sette motivi di ricorso.

4.- Alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1.- Con la sentenza impugnata il TAR ha annullato il provvedimento di destituzione di cui è controversia, ed ha motivato il proprio orientamento (accogliendo i motivi ottavo e nono) osservando in sintesi che:

– dall’esame del provvedimento gravato emerge che nella fattispecie l’amministrazione ha ritenuto sussistente le ipotesi d’illecito disciplinare previste dall’art. 6 comma 2° lettere a) e b) d. lgs. n. 449/92 che puniscono il compimento di "atti che rivelino la mancanza del senso dell’onore o del senso morale" e di "atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento";

– dalla motivazione del provvedimento impugnato si evince che la sentenza di condanna emessa nei confronti del ricorrente non integra quei casi in cui la normativa ricollega alla statuizione penale, di per sé, l’effetto di comportare la destituzione del dipendente, in quanto tra le ipotesi di condanna previste dal comma 3° della norma in esame non rientra quella irrogata dal Tribunale di Catania in ragione dell’entità della pena applicata (pari ad otto mesi di reclusione);

– ne deriva che la sentenza di condanna (che per la sanzione irrogata potrebbe, al più, in sé considerata, legittimare la sospensione dal servizio ex art. 5 comma 3° lettera d d.lgs. n. 449/1992) può giustificare la sanzione destitutoria solo ove la stessa accerti in concreto fatti commessi dal dipendente che rivelino la "mancanza del senso dell’onore o del senso morale" o un "grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento" come prescrive l’art. 6 comma 2° lettere a) e b) d. lgs. n. 449/1992 (norma richiamata dal provvedimento);

– tale verifica manca nell’atto impugnato, non esternando un adeguato impianto motivazionale che dia conto del necessario nesso esistente tra le condotte in concreto addebitate e la sanzione destitutoria;

– il provvedimento risulta pertanto affetto da violazione del principio recato dall’art. 3 l. n. 241/1990, e del principio di proporzionalità (art. 1 ed 11 del d. lgs. n. 449/92).

2.- L’appello in trattazione avversa l’accoglimento del ricorso formulando un unico ordine di censure. Argomenta il Ministero che il primo giudice avrebbe errato nel ritenere sussistente il difetto motivazione e la violazione degli artt. 1 e 11 d. lgs. n. 449/92 (principio di proporzionalità della sanzione disciplinare). Il Ministero, richiamata la fattispecie sanzionata in sede penale, sostiene l’infondatezza della tesi accolta dal TAR, poichè l’amministrazione aveva una piena ed insindacabile discrezionalità nella sua valutazione a fini disciplinari, nel cui esercizio deve tenersi conto anche della natura del servizio espletato dall’agente. Insussistente sarebbe poi il difetto di motivazione,in quanto la destituzione si fonderebbe, "per relationem" sul contenuto della delibera del Consiglio centrale di disciplina. – L’appello è da ritenersi fondato.

2.1- La questione sottoposta alla Sezione verte sullo stabilire se il fatto per il quale nella specie il dipendente dell’amministrazione penitenziaria è stato penalmente sanzionato (reato di utilizzo di carta di pagamento altrui) possa dare luogo, senza obbligo di adottare una motivazione specifica, alla massima sanzione disciplinare, rientrando la fattispecie regolate dai commi 34° dell’art. 6 del decreto, o al contrario, se il fatto stesso esuli da tale ambito per rientrare nei casi descritti dal comma 2 dell’art. 6, e possa quindi essere sanzionato solo con un preventivo e motivato apprezzamento della gravità del fatto accertato, ai fini di eventualmente graduare la sanzione disciplinare da infliggere. Al problema ritiene il Collegio di dovere dare soluzione nel senso della collocabilità dell’infrazione penale tra i casi normati dall’art. 6, commi 3 e 4.

L’appellato ha ricevuto condanna per il delitto di cui all’art. 12 del d.l. n.143/1981, che punisce il reato in questione descritto come il comportamento di colui che "al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare", la carta di credito o di pagamento.

Ed invero l’art. 6 (comma 3, lett. a) del decreto leg.vo n.449/1992 prevede la destituzione, tra le altre fattispecie che vi danno luogo, per condanna passata in giudicato per i delitti di furto o di appropriazione indebita, che a sua volta il codice penale tipizza, rispettivamente, nell’impossessamento di cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene o della quale ha il possesso.

Non v’è dubbio, a parere del Collegio, che essendo il comportamento ascritto al Guzzone consistito nell’impossessarsi della carta di pagamento altrui, la fattispecie risulta agevolmente inquadrabile nell’art. 6, comma 3, lett. a dell’ordinamento disciplinare penitenziario.

In proposito deve osservarsi che la disposizione, che si colloca in un ampio contesto del medesimo tenore, deve essere intesa in senso parzialmente derogatorio del divieto di automatismo nell’irrogazione della sanzione disciplinare, poiché con essa il legislatore ha evidentemente inteso eliminare ogni discrezionalità valutativa in fattispecie considerate oggettivamente gravi in rapporto alla funzione rivestita dall’agente quale appartenente al Corpo. Ed invero, l’ordinamento disciplinare del Corpo, dopo aver previsto (al comma 2) le fattispecie di carattere generale che possono dare luogo alla motivata destituzione (tra cui gli atti che rivelino mancanza del senso dell’onore o del senso morale), ha ritenuto di individuare (al comma 3 lett. a) singole fattispecie delittuose nelle quali si applica senz’altro la destituzione. La diversità dagli altri casi risiede, in tutta evidenza, nel fatto che mentre i casi previsti dal comma 2 sono tutti costituiti da atti e comportamenti descritti genericamente e che quindi lasciano oggettivamente uno spazio di apprezzamento in tema di gravità, le fattispecie elencate dal comma 6 sono invece costituite tutte da incriminazioni tipizzate dalla legge, la cui previsione distinta non avrebbe senso se "ratio" normativa e conseguente margine di valutazione, fossero i medesimi che presiedono all’altra casistica. E del resto la giurisprudenza penale ha ammesso, tra i criteri ermeneutici utilizzabili dal giudice di merito, l’interpretazione estensiva delle fattispecie astratte previste dal codice penale (per il principio, v. Cass. pen., sez. III, n. 34887/2010), sicchè il Collegio non ritiene sussistano ostacoli, ai fini in questione, a considerare il reato previsto dall’art 12 della legge n. 143/1991 assimilabile alle ipotesi di furto o di appropriazione indebita menzionate dalla citata norma del regolamento disciplinare e causa di destituzione.

Conseguentemente, nelle ipotesi in cui il fatto oggetto della condanna penale e del procedimento disciplinare sia assimilabile ad una delle fattispecie indicate dall’art. 6, comma 3 lett. a del decreto, resta precluso ogni spazio di discrezionalità nella scelta della sanzione, che è solo la destituzione, da adottare all’esito del procedimento disciplinare; sempre in detti casi, quest’ultimo assolve quindi all’unica funzione di accertare, in contraddittorio con l’agente e con le garanzie previste, esistenza e natura del fatto presupposto e da sanzionare, restando confermato che, nel predetto quadro normativo, la stessa costituisce una sanzione di natura vincolata, seppur previo procedimento disciplinare.

2.2.- Quanto sin qui osservato rende, infine, ininfluente l’obiezione formulata dal TAR per cui l’amministrazione, pur qualificando il comportamento come indice di mancanza del senso dell’onore o del senso morale (e classificandolo quindi nell’ambito del comma 2), abbia poi fatto applicazione del comma 3 dell’art. 6; infatti, l’erronea indicazione della norma da parte dell’Amministrazione procedente ad infliggere la sanzione disciplinare non può costituire causa di illegittimità se la fattispecie concreta risulta comunque legittimamente individuata e quella concreta sanzionata con la stessa misura ma irrogata sulla base di altra disposizione.

2.3- – Conclusivamente, il ricorso in appello è meritevole di essere accolto, con conseguente riforma dei capi della sentenza impugnati, di accoglimento dei due motivi ritenuti fondati.

3- Il Collegio non può procedere alla trattazione degli altri motivi, rigettati dal TAR, in quanto proposti con semplice memoria non notificata al Ministero appellante, e non con atto di appello incidentale ritualmente notificato. La relativa deduzione in grado di appello va pertanto dichiarata inammissibile.

4.- La sufficiente complessità delle questioni sollevate e trattate permette di disporre la compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe:

accoglie l’appello e, per l’effetto ed in riforma della sentenza impugnata "in parte qua", respinge il ricorso di primo grado.

Compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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