Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1 M.M. impugna per cassazione, sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria, la sentenza della Corte d’appello di Milano, depositata il 5 giugno 2008, con la quale, in riforma della sentenza di primo grado, è stata rigettata l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dal predetto nei confronti di A.A., la quale aveva chiesto ed ottenuto il provvedimento monitorio per il pagamento della somma di Euro 61974,82, portata da un assegno bancario recante la firma non disconosciuta del M.. La Corte territoriale affermava che il titolo, proprio perchè completo e con firma non disconosciuta, poteva essere utilizzato dalla prenditrice come promessa di pagamento, il che, a norma dell’art. 1988 c.c., la dispensava dall’onere di provare il rapporto sottostante; con la conseguenza che incombeva al M. provare l’eccepito abusivo riempimento del titolo. Da tale onere il M. non poteva considerarsi assolto per il fatto che la controparte, a ulteriore conferma della sua pretesa, avesse prodotto la scrittura del 24.3.2003, in quanto con tale produzione essa non aveva ammesso l’abusivo riempimento dell’assegno, nè aveva tacitamente esonerato l’avversario dall’onere di provarlo. L’ A. resiste con controricorso e chiede il rigetto del ricorso.
2.1.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2702, 2697 e 2733 c.c. e artt. 214 e 215 c.p.c. e chiede alla Corte se incomba sul sottoscrittore di un documento, nel caso di un assegno, che ne abbia dedotto l’abusivo riempimento contro la sua volontà, disconoscendolo, provarne la falsità, nel caso in cui la prenditrice in sede d’interrogatorio formale confessi di averlo ricevuto in bianco con la sola sottoscrizione e di averlo successivamente compilato lei stessa, di sua iniziativa, negli spazi della data, del luogo e dell’importo, ovvero se in questo caso, incomba invece su quest’ultima l’onere di provare il rapporto sottostante e dunque fornire una prova certo del credito da lei vantato.
2.1.2. La censura è infondata, La Corte di appello, come si è visto, ha rilevato che il titolo, proprio perchè completo e con firma non disconosciuta dal M., poteva essere utilizzato dalla prenditrice come promessa di pagamento, il che, a norma dell’art. 1988 c.c. la dispensava dall’onere di provare il rapporto sottostante; con la conseguenza che la decisione della Corte territoriale non è incorsa nella violazione delle norme indicate, essendo in armonia con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, se, da un lato, la denunzia dell’abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco non postula necessariamente la proposizione del rimedio della querela di falso nell’ipotesi in cui il riempimento del documento firmato in bianco sia avvenuto – come nella specie – contra pacta, ossia in caso di mancata corrispondenza tra quanto dichiarato e quanto s’intendeva, invece, dichiarare (Cass. n. 26915/09; 18059/07; 2524/06; 308/02), dall’altro, il sottoscrittore ha l’onere di provare la sua eccezione di abusivo riempimento contra pacta e, quindi, di inadempimento del mandato ad scribendum in ragione della non corrispondenza tra il dichiarato e ciò che si intendeva dichiarare, giacchè attraverso il patto di riempimento il sottoscrittore medesimo fa preventivamente proprio il risultato espressivo prodotto dalla formula che sarà adottata dal riempitore (Cass. n. 25445/10; 18989/10; 6167/09; 5245/06; nonchè 2524/06, cit.). Pertanto, il giudice di appello, nell’affermare che il sottoscrittore M. non aveva assolto l’onere di provare l’eccezione di abusivo riempimento dell’assegno, utilizzato dalla controparte quale promessa di pagamento, ha rispettato detti principi. Peraltro, essendo quella sopra riferita l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, non si rivela conferente – nè nel quesito, nè nella trattazione del motivo – il riferimento ad un’asserita "confessione" dell’ A. in ordine al ricevimento in bianco del titolo (circostanza, tra l’altro, pacifica fra le parti).
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. e chiede alla Corte se la prova dell’abusivo riempimento di un assegno consegnato in bianco dal suo sottoscrittore può essere data, quando quest’ultimo ne eccepisca la falsità del contenuto e lo disconosca, attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo e chiede alla Corte se la confessione resa dall’ A. all’udienza del 20/10/2003 nel procedimento di primo grado rappresenti un fatto decisivo per il giudizio e possa costituire la prova della falsità del contenuto dell’assegno denunciata dal M..
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo e chiede alla Corte se alla luce della confessione resa dall’ A. e del disconoscimento dell’assegno da parte del M. la scrittura privata sopra indicata è di fondamentale importanza ai fini della decisione, rappresentando l’ulteriore dimostrazione della totale mancanza di qualsiasi valida prova documentale da parte dell’ A. a sostegno delle proprie ragioni creditorie a fronte invece della rilevante somma che asserisce di aver prestato al M..
3.1. Questi tre restanti motivi si rivelano tutti inammissibili per inidoneità dei quesiti di diritto formulati relativamente a ciascuno di essi, Infatti, l’art, 366-bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis, prevede le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, disponendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso se, in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza;
mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09).
3.2. Orbene, nel caso in esame, rispetto al terzo ed al quarto motivo, che deducono vizi motivazionali, il "quesito" formulato non può rappresentare un idoneo "momento di sintesi". Che, come da questa Corte precisato, richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002). L’individuazione dei denunciati vizi di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte (Cass. n. 9470(08), oltrechè sostanziarsi in un’inammissibile richiesta di rivalutazione delle risultanze processuali, congruamente apprezzate dalla Corte territoriale. Si deve, infatti, ribadire che è inammissibile, alla stregua della seconda parte dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il motivo di ricorso per cassazione con cui, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la parte si limiti a censurare l’apoditticità e carenza di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento alla valutazione d’inadeguatezza delle prove da parte del giudice del merito, in quanto la norma processuale impone la precisazione delle ragioni che rendono la motivazione inidonea a giustificare la decisione mediante lo specifico riferimento ai fatti rilevanti, alla documentazione prodotta, alla sua provenienza e all’incidenza rispetto alla decisione (Cass. n. 4589/09). Senza contare che la censura per vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze probatorie non può limitarsi – come operato nel presente giudizio – a sostenere genericamente un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (Cass. n. 8023/09; 15737/03).
3.3. Invece, rispetto al secondo motivo, il quesito è completamente inidoneo, in quanto mancante di adeguati riferimenti in fatto e della specifica indicazione delle regole di diritto di cui si lamenta la viziata interpretazione o applicazione, di modo che non consente a questa Corte di verificare se le doglianze siano riferibili all’effettivo decisiva della sentenza impugnata. Deve essere, al riguardo, ribadito che il quesito di diritto di cui all’indicata norma deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. n. 19769/08; 24339/08; 4044/09, nonchè S.U. 20360/07).
Diversamente da quanto avviene nel caso di specie, il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, cosi da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regola iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata; ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366-bis, si risolva sostanzialmente in un’omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire 1’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Cass. n. 12712/10; 7197/09; S.U. n. 26020/08, che ha ritenuto inammissibili motivi ai cui quesiti di diritto sarebbe dovuta seguire una risposta affermativa che si risolveva in un’ovvia asserzione, priva della dignità di massima di diritto).
3. Ne deriva il rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.700=, di cui Euro 3.500= per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.