Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 03-03-2011) 17-05-2011, n. 19258 Abuso di ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Verona del 12 giugno 2008, confermava la responsabilità di R. D. in ordine al reato di calunnia, riducendo la pena ad un anno e otto mesi di reclusione e ribadendo la condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile, Re.Ma..

Dalla sentenza si apprende che all’imputato, di professione avvocato, era stato contestato di avere accusato falsamente l’avvocato Re.

M. del delitto di abuso d’ufficio, perchè, in qualità di relatore ed estensore di una sentenza disciplinare adottata dalla Commissione disciplinare del Consiglio dell’Ordine con cui R. era stato condannato alla sospensione dalla professione per la durata di sei mesi, non si era astenuto. Le false accuse sarebbero contenute nell’atto di citazione con cui aveva chiesto la condanna al risarcimento dei danni dell’avv. Re. per il delitto di abuso d’ufficio e in cui aveva sostenuto che il convenuto avrebbe dovuto astenersi nel procedimento disciplinare, avendo sentimenti di rancore e di inimicizia nei confronti del R., in quanto questi prima della decisione lo avrebbe incontrato per dirgli che il di lui padre, cancelliere presso il Tribunale di Verona, si era in passato reso responsabile di fatti di appropriazione indebita.

Successivamente, il R. aveva inviato copia della citazione anche al Presidente dell’Ordine degli avvocati di Verona, con richiesta di trasmetterla alla procura della Repubblica, sostenendo che la decisione in questione era frutto di una ritorsione nei suoi confronti da parte dell’avv. Re..

2. – Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che, con il primo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione assumendo che la Corte è pervenuta alla conferma della decisione di condanna attraverso un percorso argomentativo illogico, senza considerare che la decisione disciplinare è stata assunta senza prendere in considerazione le deduzioni e la documentazione prodotta da R., ponendo a base affermazioni del tutto false e inventate.

Sotto altro profilo, lamenta che il giudice di secondo grado ha omesso di vagliare la posizione dell’imputato nella sua veste di legale e difensore di se stesso.

Con il secondo motivo il ricorrente censura la decisione impugnata per l’erronea applicazione dell’art. 368 c.p., sotto il profilo oggettivo e soggettivo. Assume che il diritto alla difesa giudiziaria deve essere riconosciuto in maniera più ampia possibile, verificando la pertinenza delle espressioni adoperate con l’oggetto della controversia. Nella specie nell’atto di citazione avrebbe messo in evidenza l’aggressività e la veemenza con cui il relatore ed estensore della sentenza disciplinare lo aveva ritenuto sostanzialmente colpevole di illegittima appropriazione di somme di denaro del suo cliente, circostanza che lo aveva indotto a fargli dubitare della serenità e imparzialità del giudizio, anche in considerazione del fatto che pochi mesi prima il giudice penale aveva escluso la sussistenza del reato di appropriazione indebita.

Riguardo all’elemento soggettivo il ricorrente evidenzia come manchi nella specie la certezza dell’innocenza dell’incolpato; in altri termini sostiene di essere stato in assoluta buona fede nel ritenere l’avvocato Re. responsabile del reato di abuso d’ufficio.

Con il terzo motivo critica la sentenza per non avere dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione, verificatasi ancor prima della pronuncia della Corte d’appello. Infatti, assume che il reato deve ritenersi consumato già con la notifica dell’atto di citazione, avvenuta il 16 ottobre 2002, mentre l’invio della raccomandata è un semplice post factum, che non incide sul momento di commissione del reato.
Motivi della decisione

3. – Preliminarmente, in accoglimento del terzo motivo, deve dichiararsi l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Nella specie, trovano applicazione i nuovi termini previsti dagli artt. 157 e 161 c.p., come novellati dalla L. n. 251 del 2005, che per il delitto di calunnia prevedono una estensione massima pari a sette anni e sei mesi; sicchè, essendo stato commesso il reato nell'(OMISSIS), deve considerarsi prescritto nell’aprile 2010 (è irrilevante in questa sede stabilire se la prescrizione si è verificata prima o dopo la sentenza di appello, dovendo comunque dichiararsi l’estinzione del reato).

Ne consegue che, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 1, la sentenza impugnata deve essere annullata non potendosi procedere nei confronti dell’imputato per la suddetta causa di estinzione del reato e dovendosi escludere che il gravame sia fondato su motivi inammissibili all’origine, stante i contenuti delle censure mosse, il cui argomentare, però, consente di escludere la prova evidente dell’insussistenza del fatto, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.

4. – Tuttavia, in applicazione di quanto previsto dall’art. 578 c.p.p. occorre comunque decidere sul ricorso proposto ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

Sotto questo limitato profilo il ricorso deve essere rigettato.

4.1. – Il primo motivo è infondato, in quanto nel dedurre il vizio di motivazione propone una lettura alternativa dei risultati probatori.

Occorre ribadire che, ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile, cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Peraltro, l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze. In altri termini, l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Inoltre, va precisato, che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a se stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica. Alla Corte di Cassazione, infatti, non è consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito. Così come non sembra affatto consentito che, attraverso il richiamo agli "atti del processo", possa esservi spazio per una rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito. In altri termini, al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto.

Pertanto la Corte, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta giudice della motivazione.

Nella specie, la Corte d’appello, così come aveva fatto anche il primo giudice, ha ritenuto la falsità delle accuse escludendo che l’incontro tra R. e Re. sia mai avvenuto, desumendo questa convinzione dal fatto che l’imputato non ne fece alcun riferimento nel procedimento disciplinare, sebbene si trattasse di questione rilevante, che avrebbe potuto incidere sul giudizio. Si tratta di una motivazione che appare logica e che come tale non può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità, per le ragioni sopra dette.

4.2. – Infondato è anche il secondo motivo, in quanto i giudici d’appello hanno fatto una corretta applicazione dell’art. 368 c.p., ritenendo nella specie integrato il delitto di calunnia.

L’imputato, nel redigere l’atto di citazione ha esorbitato dai limiti funzionali posti dalla legge al corretto esercizio del diritto di difesa, incolpando falsamente del reato il Re., replicando successivamente l’accusa allegando l’atto alla lettera spedita al Presidente dell’ordine degli avvocati, al quale chiedeva espressamente la trasmissione del dossier alla procura della Repubblica.

La sussistenza dell’elemento soggettivo viene poi desunta dalla stessa falsità delle accuse e, in particolare, dall’avere riferito falsamente dell’incontro, in realtà mai avvenuto, tra R. e Re., incontro che avrebbe dovuto determinare quest’ultimo all’astensione nel procedimento disciplinare: la falsa e strumentale ricostruzione di un incontro, secondo i giudici, mai avvenuto, è stata ritenuta circostanza indicativa della piena consapevolezza dell’innocenza del Re.. Anche in questo caso, la motivazione poggia su basi logiche, oltre che su una corretta applicazione della legge penale, sicchè non vi è spazio in questa sede per le critiche dedotte dall’imputato.

5. – In conclusione, le statuizioni civili poste a carico dell’imputato dal primo giudice, che ha proceduto alla liquidazione definitiva e in via equitativa dei danni subiti dalla parte civile, devono essere confermate.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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