Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-02-2011) 10-06-2011, n. 23470 Durata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza deliberata il 12 maggio e depositata il 26 maggio del 2010 la Corte d’appello di Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha dichiarato manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 657 c.p.p., comma 4, per ipotizzato contrasto con gli artt. 2, 3 e 13 Cost., art. 24 Cost., comma 4, artt. 76 e 77 Cost. e art. 111 Cost., commi 1 e 2 e, ai fini dell’esecuzione della sentenza emessa il 21 febbraio 2003 dalla Corte di appello di Lecce a carico di C.M., ha dichiarato computabile, ai sensi dell’art. 657 c.p.p., comma 4, la custodia cautelare sofferta dalla stessa, per altro reato, dall’ (OMISSIS) in diverso procedimento penale.

Nel resto ha respinto l’istanza della ricorrente e ha disposto la trasmissione di copia dell’ordinanza al Procuratore generale, ufficio esecuzione, per le conseguenti determinazioni.

2. Avverso la predetta ordinanza e l’ordine di carcerazione emesso, in conformità di essa, dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Lecce nella stessa data del 26 maggio 2010, la C. ha proposto ricorso per cassazione, tramite il suo difensore, avvocato Carlo Sforza, deducendo plurimi motivi.

2.1. Violazione dell’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. a), artt. 665, 666 e 670 c.p.p., e inosservanza dell’art. 111 Cost., comma 2, per avere la Corte d’appello omesso di dichiarare la nullità, per erroneo calcolo della pena, sia dell’ordine di carcerazione del 18 dicembre 2009, sia dell’ordine di carcerazione dell’11 marzo 2010. 2.2. Violazione dell’art. 670 c.p.p., per avere la Corte d’appello omesso di sospendere l’ordine di carcerazione emesso l’11 marzo 2010, pur avendo riconosciuto l’erroneità del mancato computo del periodo di presofferto dall’8 febbraio 1995 al 17 luglio 1996. 2.3. Violazione degli artt. 314 e 643 c.p.p., e art. 657 c.p.p., comma 4, per avere omesso di ritenere la fungibilità dell’ingiusta detenzione patita dalla C. per altri fatti anche prima della commissione del reato cui si riferisce la pena da eseguire, in applicazione analogica delle disposizioni in tema di riparazione per ingiusta detenzione ed errore giudiziario che non tollerano discriminazioni cronologiche, con conseguente limitazione dell’ambito di applicazione dell’art. 657 c.p.p., comma 4, che attribuisce rilevanza alla custodia cautelare subita e all’espiazione di pene senza titolo soltanto se successive alla commissione del reato oggetto di condanna da eseguire, alle sole ipotesi di giusta detenzione sofferta per reati successivamente abrogati, estinti per prescrizione o amnistia o, ancora, sanzionati con pene estinte per indulto.

2.4. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per avere omesso di motivare sulle predette questioni, dedotte dalla ricorrente in sede di incidente di esecuzione.

2.5. Illegittimità dell’ordine di esecuzione emesso dal Procuratore generale il 26 maggio 2010 in violazione dei principi che presiedono al giusto processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2.
Motivi della decisione

3. Va premesso che la C. è stata condannata, con sentenza del Tribunale di Tarante del 18 luglio 2000, parzialmente riformata con decisione in data 21 febbraio 2003 della Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, irrevocabile il 14 dicembre 2009, alla pena di anni otto di reclusione ed Euro 6.197,48 di multa per il delitto di riciclaggio continuato, previsto dagli artt. 110, 81 e 648 ter c.p., con la circostanza aggravante di agevolazione dell’associazione mafiosa tarantina, denominata "clan Scarci", ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7, convertito in L. n. 203 del 1991. 3.1. Il primo motivo di gravame è inammissibile per carenza di interesse della ricorrente, poichè entrambi gli ordini di carcerazione del 18 dicembre 2009 e dell’11 marzo 2010 non sono più in vigore: il primo perchè sostituito dal secondo con l’aggiunta al periodo di presofferto, già determinato in due mesi (dal 18/7/1996 al 17/9/1996) più sei mesi e tredici giorni ex art. 657 c.p.p., comma 4, dell’ulteriore periodo di un anno (dal 18/9/1996 al 16/9/1997) giusta rettifica dell’originarlo ordine operata dallo stesso Procuratore generale competente per l’esecuzione; il secondo perchè superato dall’ordinanza della Corte di appello di Lecce del 26 maggio 2010, oggetto dell’attuale ricorso, e dal conseguente conforme ordine di esecuzione del Procuratore generale emesso nella stessa data, che ha ulteriormente esteso a favore della ricorrente il periodo di presofferto di un anno, cinque mesi e nove giorni (dall’8/2/1995 al 17/7/1996), previa individuazione della data dell’8 febbraio 2005 come quella di cessazione della continuazione del reato cui si riferisce la pena da eseguire.

3.2. Il secondo motivo è infondato, posto che l’ordinanza impugnata non ha accertato la mancanza o la non esecutività del titolo a norma dell’art. 670 c.p.p., comma 1, erroneamente richiamato dalla ricorrente, ma soltanto rideterminato la pena residua a seguito dell’ampliamento del periodo di presofferto, restando comunque la pena ancora da espiare incompatibile, per durata (anni quattro, mesi dieci e giorni otto) e titolo di reato oggetto di condanna (art. 648 ter c.p., aggravato dal cit. D.L. n. 152 del 1991, art. 7), con la sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 5 e comma 9, lett. a).

3.3. Il terzo motivo è pari menti infondato.

La ricorrente chiede il riconoscimento della fungibilità con riguardo alla custodia cautelare subita e alle pene espiate anche prima della commissione del reato cui si riferisce la pena da eseguire. All’uopo prospetta una interpretazione della disposizione di cui all’art. 657 c.p.p., comma 4, per cui occorrerebbe distinguere tra la detenzione patita ingiustamente fin dall’origine (procedimento definito con decreto di archiviazione o sentenza di assoluzione) e detenzione divenuta ingiusta per cause sopravvenute (provvedimento di amnistia, indulto, abrogazione della norma incriminatrice, prescrizione del reato).

La tesi sostenuta è in contrasto con l’esigenza, posta a base dell’art. 657 c.p.p., comma 4, di evitare che taluno possa fare conto, al momento della commissione di un reato, di eventuali "crediti" di pena già espiata che lo spingerebbero a delinquere contando sulla impunità acquisita.

Secondo il testuale tenore del citato art. 657 c.p.p., la computabilità nella pena da espiare della custodia cautelare sofferta per altro reato non richiede che si tratti di custodia cautelare ingiustamente subita (tanto è vero che è fungibile anche la custodia sofferta per altro reato per cui è ancora in corso il relativo procedimento), ma soltanto che essa sia posteriore alla data di commissione del reato per il quale la pena da espiare è stata inflitta (v. Cass. 27.1.1999, Accorinti; Cass. 29.1.2000, Capone;

Cass. 30.3.2000, Sapere), cosicchè non rileva la circostanza che venga accertata o meno la ingiustizia del titolo nè il momento in cui tale accertamento sia eventualmente compiuto giudizialmente con sentenza irrevocabile, bensì esclusivamente che il reato cui si riferisce la condanna da espiare non sia stato commesso dopo la cessazione della custodia cautelare.

L’applicazione analogica sostenuta dal ricorrente degli artt. 314 e 643 c.p.p., ai fini del computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo, con restrizione della limitazione temporale di cui all’art. 657 c.p.p., comma 4, alla sola detenzione giusta in caso di sopravvenuta carenza di titolo, è destituita di fondamento, attesa la diversità di ratio degli istituti posti a confronto, essendo le disposizioni in tema di ingiusta detenzione e di errore giudiziario finalizzate al ristoro economico della persona per le sofferenze patite a causa di eventi processuali patologici, mentre la disciplina della fungibilità della custodia cautelare e dell’espiazione senza titolo, in sede di esecuzione della pena, mira ad impedire l’acquisizione di una preventiva riserva di impunità per una carcerazione ingiustamente subita, in contrasto con la finalità rieducativa della pena, prevista dall’art. 27 Cost, la cui esecuzione deve seguire e non può precedere la commissione del reato.

Nè la disposizione di cui all’art. 657 c.p.p., comma 4 interpretata come sopra in base al criterio ermeneutico della ratto legis, è lesiva dei principi di uguaglianza e degli altri principi insiti negli artt. 3, 13 e 27 Cost., giacchè la disparità di trattamento normativo in materia di fungibilita della pena tra coloro che hanno sofferto custodia cautelare dopo la commissione di altro reato e coloro che l’hanno subita prima trova la sua giustificazione nella rilevanza giuridica delle ragioni che hanno indotto il legislatore ad adottare una disciplina differenziata. In tal senso si è ripetutamente pronunciata anche questa Corte di legittimità, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 657 c.p.p., comma 4, con riferimento agli artt. 3 e 13 Cost. (c.f.r., ex multis, Sez. 1, n. 20332 del 11/05/2006, dep. 14/06/2006, Marando, Rv. 234444), soluzione da confermare anche con riguardo agli altri parametri indicati dalla ricorrente nell’art. 24 Cost, (comma 4), art. 27 Cost. (comma 3), artt. 76 e 77 Cost., art. 111 Cost. (commi 1 e 2).

La stessa Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità Costituzionale con riguardo all’art. 271 c.p.p., u.c., abrogato, corrispondente all’art. 657 c.p.p., comma 4, vigente, ha dichiarato non fondata la questione, ribadendo che deve aversi riguardo soltanto alla condizione che il reato cui si riferisce la condanna da espiare non sia stato commesso dopo la cessazione della custodia preventiva (v. Corte Costituzionale n. 13 del 1979), poichè l’ordinamento non ammette la precostituzione di riserve di impunità a favore di chi sia stato detenuto in via cautelativa per altro fatto e non ammette neppure distinguo, non giustificati dalla ratio della norma, a seconda che la sentenza assolutoria per il diverso fatto per cui il condannato ha subito custodia cautelare sia divenuta definitiva prima o dopo la commissione del nuovo reato.

3.4. E’ infondato anche il quarto motivo di ricorso che lamenta l’omessa motivazione dell’ordinanza impugnata su punti essenziali, attinenti ai temi oggetto dei motivi precedentemente esaminati, che risultano, invece, accuratamente analizzati dalla Corte territoriale con ampia e coerente motivazione.

3.5. Va, infine, rilevato che l’ordine di carcerazione del 26 maggio 2010, pure oggetto del ricorso qui proposto, non è direttamente ricorribile per cassazione, ma impugnabile con incidente di esecuzione davanti al giudice competente a norma dell’art. 665 c.p.p..

Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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