Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
p.1. Con sentenza del 7/01/2010, il g.m. del Tribunale di La Spezia, dichiarava R.A. colpevole del reato di cui all’art. 712 c.p. e lo condannava alla pena di Euro 100,00 di ammenda. p.2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, in proprio, ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione dell’art. 712 c.p. per avere il Tribunale motivato in modo contraddittorio e carente sia ordina all’elemento materiale che psicologico del reato addebitatogli.
Motivi della decisione
p.3. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate.
Il fatto per cui è processo è stato ricostruito dal Tribunale nel seguente modo: tale D.M. aveva rinvenuto dentro un cassonetto dell’immondizia di (OMISSIS) nove Gps AVMAP rotti. Il D., allora, li prelevò e li consegnò al R., appassionato di elettronica, affinchè li riparasse.
Il R., a seguito di un controllo, fu trovato in possesso dei suddetti GPS che risultarono essere stati smarriti dalla ditta proprietaria durante la loro spedizione da (OMISSIS) ad una ditta di (OMISSIS) che avrebbe dovuto ripararli.
Da qui l’imputazione di ricettazione sia nei confronti del D. che del R..
Il Giudice, all’esito del dibattimento, derubricato il reato di ricettazione in quello di cui all’art. 647 c.p. nei confronti del D., ha pronunciato nei confronti di costui sentenza di n.d.p. per mancanza di querela, mentre ha ritenuto responsabile il R. del reato di cui all’art. 712 c.p. con la seguente motivazione: "nel caso di specie, tuttavia, è risultato che il R. presta servizio all’interno di una base militare nella quale sono normali e quotidiani – per dovere d’istituto – i controlli di polizia all’ingresso e all’uscita dei varchi d’accesso e che i nove Gps – per di più con i numeri di matricola identificativi ben leggibili e con le etichette individuanti la proprietà ancora attaccate – sono stati ritrovati dentro l’auto del prevenuto, che ogni giorno, per motivi di lavoro, entra ed esce dalla base militare sotto il costante controllo dei carabinieri di vigilanza. E’ circostanza, questa, che secondo le regole di comune esperienza induce a ritenere, da un lato, che egli abbia semplicemente peccato di negligenza nel non verificare la provenienza degli apparecchi e dall’altro che egli, pur essendosi probabilmente posto il quesito circa la loro legittima provenienza della res non abbia accettato il rischio che essi costituissero provento di delitto (tanto più avendoli ricevuti da persona da lui ben conosciuta e oggettivamente scevra da pregiudizi penali), che altrimenti avrebbe di certo evitato di custodirli in un’auto che egli sapeva essere suscettibile quotidianamente di controlli".
Il Tribunale ha ritenuto che il reato presupposto fosse quello di appropriazione di cosa smarrita.
Ora, per costante giurisprudenza, per cosa smarrita deve intendersi quella rispetto alla quale il precedente possessore non ha più alcun rapporto di fatto ossia alcun rapporto o potere materiale e psicologico sulla cosa.
Partendo dal suddetto elemento materiale del reato, si può, poi, affermare che, sotto il profilo psicologico, la norma prevede che l’agente, per essere ritenuto responsabile del reato, debba avere la coscienza e volontà che la cosa di cui si appropria, sia, appunto, stata smarrita da un terzo.
La precisazione è importante perchè, una cosa è lo smarrimento (che presuppone che l’originario possessore abbia sì perso il possesso ma non volontariamente) altro è l’abbandono ovvero la derelictio della cosa: in tale ultima ipotesi, infatti, la cosa diventa res nullius e, quindi, chi la trova e se ne appropria ne diventa proprietario senza, ovviamente, commettere alcun reato.
E’ chiaro, quindi, che spetta al giudice, sulla base dei concreti elementi fattuali emersi a seguito della svolta istruttoria dibattimentale accertare se la cosa di cui l’agente si è appropriato sia smarrita o derelicta e lo stato psicologico dell’agente.
Orbene , nel caso di specie, proprio sulla base della ricostruzione dei fatti così come effettuata dal primo giudice, deve ritenersi che quegli oggetti non avrebbero potuto essere considerati come smarriti in alcun modo sia perchè rotti sia perchè vennero trovati all’interno di un cassonetto della spazzatura ossia un posto dove si buttano i rifiuti e cioè cose di cui il possessore, normalmente, intende liberarsi. Ora questi elementi, unito al fatto che la stessa ditta proprietaria non li rivendicò (tant’è che non presentò neppure querela), fanno ritenere che il D. si appropriò di res derelictae e, pertanto, il R., a sua volta, non poteva essere ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 712 c.p. nè sotto il profilo materiale nè, a tutto concedere, sotto il profilo psicologico.
P.Q.M.
ANNULLA Senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.
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