Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-05-2011) 13-06-2011, n. 23673 Materie esplodenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 29.9.2010, la corte d’Appello di Milano riformava parzialmente la sentenza di condanna di F.L., pronunciata dal Tribunale di Sondrio, in data 6.11.2009 e riaffermava la colpevolezza del medesimo relativamente ad episodi di fabbricazione di ordigni esplosivi, di detenzione e porto in luogo pubblico degli stessi, nonchè per numerosi atti di incendio consumati nell’intervallo temporale dal 2002 al 2007. La Corte territoriale riteneva solido il compendio probatorio basato sulla chiamata in correità dell’imputato ad opera di G.E. e F.R., – che veniva escluso fossero affette da patologia tale da inficiarne la affidabilità, visto che erano state condannate sulla base delle loro sole dichiarazioni autoaccusatorie -, sulle parziali ammissioni dell’imputato, sull’esito di accertamenti e sequestri di Polizia giudiziaria, nonchè sull’esito di intercettazioni telefoniche.

Non veniva ritenuta accoglibile la richiesta di derubricazione avanzata dalla difesa in relazione al capo A), dovendo rientrare il tipo di ordigno usato dall’appellante per appiccare il fuoco nella previsione normativa di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 1, atteso che la L. n. 110 del 1975, art. 1 definisce armi da guerra le bottiglie e gli involucri esplosivi o incendiari, con il che nessun dubbio poteva sorgere sull’effettiva natura degli ordigni usati dall’appellante, che andavano riconosciuti come involucri incendiari.

Veniva richiamato un lontano arresto di questa Corte, secondo cui per bottiglia o involucro incendiario deve intendersi qualsiasi ordigno capace di cagionare incendio, sia con innesco di tipo chimico, che a mezzo di accensione di miccia.

Venivano concesse le circostanze attenuanti generiche e quindi la pena veniva ridimensionata in anni sei, mesi quattro e giorni venti di reclusione ed Euro 3.820 di multa.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione la difesa dell’imputato, per dedurre:

2.1 violazione della L. n. 110 del 1975, artt. 1, 2 e 3, illogicità della sentenza: la corte ha ritenuto integrati i reati di cui alla L. n. 865 del 1967, artt. 1, 2 e 4, sul presupposto che gli ordigni fabbricati siano armi da guerra, in quanto involucri incendiari, ma gli involucri riempiti di benzina erano tutti di plastica, non potevano avere effetto detonante e/o deflagrante, anche se lanciati o innescati; ordigno, dice la difesa è qualcosa che scoppia proiettando all’intorno i frammenti, posto che nel caso di specie non vi fu deflagrazione delle bottiglie di plastica con innesco esterno, poichè la funzione della diavolina all’esterno del contenuto era quella di sciogliere la plastica, facendo versare senza deflagrazione il contenuto infiammato. Pertanto, l’arresto giurisprudenziale citato sarebbe inconferente, in quanto relativo a congegni complessi, come bombe o altri congegni capaci di cagionare un incendio sia con innesco di tipo chimico, sia ancora mediante contatto tra acido e miscela incendiaria, sia a mezzo di accensione di miccia. Nel caso di specie si avrebbe riguardo a bottiglie di plastica piene di benzina, stracci o diavolina senza capacità offensiva idonea al loro uso specifico in guerra, con il che non sarebbero assimilabili alle armi da guerra.

2.2 violazione art. 423 c.p., in quanto la corte territoriale avrebbe ritenuto l’ipotesi dell’incendio in luogo del danneggiamento seguito ad incendio, senza valutare caso per caso la quantità di materiale incendiario e la suscettibilità del fuoco a diffondersi. In particolare, la difesa ricorda che per i fatti sub D, E, J, P, G il Tribunale già aveva riqualificato il fatto in termini di violazione ex art. 424 cod. pen., ma tali reati andrebbero ulteriormente riqualificati come violazione ai sensi dell’art. 635 c.p.. Quanto poi agli episodi di danneggiamento delle autovetture (capi V, K, N, S, T, U), i fatti non avrebbero mai potuto assumere la dimensione dell’incendio per la limitatezza dell’obiettivo, poichè in tutti gli episodi in oggetto, il fuoco si è sviluppato in proporzioni limitate ed è stato domato senza difficoltà, per cui viene chiesta la riqualificazione in danneggiamento, o in subordine in danneggiamento seguito da incendio, non avendo la corte fornito adeguata motivazione sul rigetto della richiesta di derubricazione.

2.3 violazione degli artt. 423 e 424 cod. pen., illogicità della sentenza quanto ai fatti sub L, F, M, R, Q, non avendosi riguardo ad un incendio, per la mancata diffusività delle fiamme, di facile estinzione, essendosi trattato o di incendio della cabina dell’ascensore che si soffocò da solo, o di incendio di vetrina e saracinesca che non si propagò. La difesa insiste quindi sulla non diffusività dell’incendio, sulla limitatezza dei danni, sulla scarsa combustività, sulla limitata propensione a bruciare del cemento armato del vano ascensore e chiede la riqualificazione in termini di violazione art. 424 c.p..

2.4 violazione art. 539 c.p.p. e illogicità della sentenza in punto risarcimento del danno in relazione al capo F): sostiene la difesa che la corte ha confermato la decisione del tribunale, senza contare che la compagnia assicurativa aveva già risarcito le parti offese, senza defalcare dal ritenuto dovuto, la somma già versata dall’assicurazione, concedendo due provvisionali distinte ai comproprietari dell’appartamento, con ciò cadendo in palese illogicità. 2.5 illogicità della sentenza nella parte in cui è stata richiamata la motivazione della sentenza di primo grado, senza offrire idonea motivazione sulle censure che erano state mosse con i motivi di appello; soprattutto si duole la difesa che sia stata sottovalutata la dichiarazione della testimone sui fatti sub F e J, che aveva descritto gli occhi dell’autore della condotta incendiaria azzurri, laddove quelli del F. sono scuri, che sia stato sottovalutato che per i capi P e Q, i vigili del fuoco avevano attribuito ad un corto circuito la causa dell’incendio e che infine sia stato sottovalutato, quanto al capo F, che lo scardinamene della porta non poteva avvenire con un semplice passpartout, necessitando invece un piede di porco.
Motivi della decisione

Il ricorso può essere accolto solo parzialmente.

Deve essere premesso, che non può essere messa in discussione la qualificazione dei fatti rubricati sotto le lettere A, B e C. I giudici di merito sono partiti dal dato obiettivo dell’intervenuto rinvenimento presso l’abitazione dell’imputato di bottiglie di plastica, di diavolina, di veri e propri inneschi costituiti dalla diavolina avvolta nella carta assorbente e di residui di benzina super senza piombo; hanno acquisito la certezza, sia attraverso i contributi rappresentativi (anche in parte offerti dall’imputato), che attraverso i risultati di intercettazioni telefoniche, della attribuibilità al F. dei fatti di incendio di cui alla contestazione. L’intreccio di queste due certezze ha portato inevitabilmente a desumere che i congegni incendiari furono sempre confezionati dallo stesso F. che quindi si rese responsabile della produzione, della detenzione degli stessi una volta confezionati e del porto in luogo pubblico, in occasione dell’entrata in azione per colpire la vittima di volta in volta designata, vittima che si accertò essere soggetto con cui egli aveva avuto ragioni di conflittualità. Il ragionamento condotto è assolutamente coerente sotto un profilo logico, in quanto basato su solida base inferenziale.

Detto ciò, va aggiunto che la valutazione dei giudici di merito sulla natura dei congegni è stata rispettosa del dato normativo, che alla L. n. 110 del 1975, art. 1 qualifica come bottiglia o involucro incendiario "qualsiasi ordigno capace di cagionare un incendio, sia con innesco di tipo chimico, che a mezzo di accensione di miccia".

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la condotta di detenzione ed il porto di bottiglie incendiarie va fatta rientrare nella previsione della L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 4, per il potenziale offensivo, per la spiccata capacità di cagionare un incendio e di provocare una deflagrazione a causa della vampata. E’ stato infatti sottolineato che se una bottiglia contenente benzina non può essere equiparata ad arma da guerra, ben può esserlo invece quando oltre che contenere benzina sia anche munita di stoppino acceso al momento del lancio, idoneo alla trasmissione della fiamma al liquido contenuto in bottiglia e quindi a provocare incendio, deflagrazione e se del caso proiezione di schegge (Sez. 1, 22.1.2009, n. 6132; Sez. 1, 3.7.2008, n. 29943; Sez. 1 22.2.2001, n. 17218). Ma non è la proiezione di schegge che marca la differenza, come ha sostenuto la difesa, in quanto il dato caratterizzante la condotta in termini di accentuata potenzialità offensiva è il contatto tra la miccia e la benzina (all’interno del contenitore, di vetro o plastica che sia) attraverso cui la fiamma è trasmessa alla benzina e che alimenta con fiammata l’incendio, di consistenti proporzioni, come gli episodi oggetto dell’indagine hanno ampiamente dimostrato.

Nessuna forzatura del dato normativo da parte dei giudici di merito è quindi sostenibile, in quanto più che corretto è stato l’inquadramento della fattispecie. Deve peraltro essere rilevato che la contestazione risulta molto estesa nel tempo, ancorchè i fatti in contestazione risultino connessi ad episodi di incendio occorsi dal 2002 in avanti. Si impone quindi di annullare la sentenza impugnata, limitatamente alle contestazioni di cui alla L. n. 895 del 1967, artt. 1, 2 e 4, per il periodo anteriore al maggio 2002, perchè i fatti non sussistono, con rinvio ad altra sezione della corte d’Appello di Milano per la rideterminazione della pena.

Quanto invece agli altri motivi di ricorso, gli stessi sono palesemente infondati.

Sulla ritenuta ricorrenza del reato di cui all’art. 423 cod. pen., i giudici di merito hanno dato conto di aver saputo differenziare le vari ipotesi, usando come criterio discriminante tra l’ipotesi prevista dall’art. 423 cod. pen e quella prevista dall’art. 424 cod. pen., il dato della diffusività delle fiamme, il dato dell’entità dei danni cagionati e soprattutto il dato dell’Intervenuto o meno uso di abbondante materiale incendiario. La valutazione di volta in volta operata è valutazione di merito che si sottrae alla censura in questa sede, sempre che detta valutazione sia sorretta da motivazione congrua ed immune da manifesta illogicità, come si riscontra essere avvenuto nel caso di specie. Sui fatti di reato di cui ai capi V, K, N, S, T ed U, va sottolineato che già nella sentenza di primo grado veniva dato atto, o della intervenuta distruzione dell’auto (capo T), o dei danni ingenti arrecati (capo U), o della difficoltà di spegnimento delle fiamme (capo S), o dell’abbondante materiale incendiario rinvenuto (capo K ed N), ovvero ancora della manifestata volontà dell’imputato che le fiamme si propagassero alle vetture vicine (capo 5). Il ragionamento che ha portato i giudici di merito a condividere l’ipotesi accusatoria anche per quanto riguarda la qualificazione è ineccepibile, poichè si è basato su dati di fatto oggettivi ad alto valore discriminante le due ipotesi di reato in contestazione e soprattutto significativi di una volontà di incendiare in capo all’imputato, rivelatrice di dolo generico che è proprio della più grave Ipotesi di reato ritenuta. Non ha ricadute rilevabili in sede di legittimità, il fatto che la sentenza di appello abbia fatto propria, richiamandola, la motivazione della sentenza di primo grado, atteso che come è noto, le motivazioni delle due sentenze di merito costituiscono una sola entità logico – giuridica (Cass. 7.11.2002, n. 754, Prestifilippo), con il che la struttura della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso argomentativo.

Per quanto riguarda gli incendi sub D, E, G, J e P, corretta è stata la valutazione in termini di violazione dell’art. 424 cod. pen., a fronte dell’accertata non diffusività delle fiamme: non poteva trovare condivisione la tesi difensiva secondo cui il fatto andava ulteriormente ridimensionamento in termini di semplice danneggiamento, in quanto è principio consolidato quello secondo cui l’elemento differenziale tra i due reati è il pericolo di incendio, che caratterizza l’ipotesi ex art. 424 cod. pen., laddove il pericolo di incendio è la probabilità che esso evolva dal fuoco appiccato dall’autore del danneggiamento, desunta dalla situazione di fatto con riferimento alle dimensioni del fuoco ed all’oggetto del danneggiamento (Sez. sesta, 22.4.2010, n. 35769): l’appiccare il fuoco ad un’autovettura lascia ampiamente prevedere un pericolo di incendio, con il che facendo uso di consolidate massime di esperienza, i fatti sono stati ritenuti non solo offensivi del patrimonio, ma offensivi della pubblica incolumità. I motivi sub 2.2 sono quindi manifestamente infondati.

Stesso giudizio deve essere espresso sui motivi di cui al punto 2.3.

Gli incendi di cui ai capi L, F, M, R e Q non possono essere riqualificati come condotte di danneggiamento seguito da incendio:

nella sentenza di primo grado si legge che il fatto sub L fu connotato da fiamme alte; l’incendio sub F causò danni valutati in 60/70 mila Euro e le vittime del rogo si dovettero rifugiare sul terrazzo della casa; l’incendio sub Q comportò propagazione di fiamme, vetri rotti, distruzione dei macchinari, degli arredi e di buona parte degli abiti all’interno della lavanderia, mentre gli incendi sub H, O, M, R furono caratterizzati dall’uso di abbondante materiale incendiario, quale fu quello rinvenuto dagli investigatori all’atto dei primi accertamenti. La valutazione sulla diffusività dell’incendio è assolutamente corretta, perchè ancorata a dati oggettivi, di talchè la sentenza non sconta alcun deficit logico argomentativo e resiste alle doglianze avanzate.

Parimenti inammissibile è il motivo sub 2.4, atteso non è deducibile con il ricorso per cassazione la questione relativa alla pretesa eccessività della somma di denaro a titolo di provvisionale (Sez. 4^, 23.6.20101, n. 34791).

Quanto al motivo di cui al punto 2.5 va ribadito che non può ritenersi logicamente carente la sentenza impugnata, nei singoli passaggi argomentativi in cui sarebbe stato sottovalutato un argomento difensivo ritenuto di peso, quali sarebbero quelli sopraelencati, tenuto conto che la corte territoriale ha ritenuto, con motivazione compiuta e logica, detti profili difensivi insufficienti a destrutturare l’impalcato accusatorio. Basti ricordare, quanto al dato testimoniale sugli occhi dell’autore del fatto sub J, che i giudici di merito non potevano valutare il dato offerto dalla difesa come risolutivo in senso difensivo, visto che lo stesso imputato aveva confessato il reato alla G. ed alla F., indicando anche le plausibili ragioni di rancore che lo avevano spinto ad incendiare. Parimenti non poteva rivestire portata decisiva il fatto che, sull’episodio sub Q, i vigili del fuoco avessero ipotizzato inizialmente un corto circuito come causa dell’incendio, poichè anche sul punto concorrevano le rivelazioni della G., l’esito di intercettazioni telefoniche, i motivi di rancore tra il F. e la titolare della tintoria. Parimenti dicasi dell’incendio sub F, in relazione al quale nessun peso è stato riconosciuto al dato evidenziato dalla difesa sulle modalità di ingresso all’interno del condominio preso di mira, a fronte di un compendio molto significativo di per sè, integrato dalla rivelazione della G. e dalla sussistenza di motivi di rancore tra il F. ed un condomino del condominio stesso. Non si espone dunque a censure la valutazione operata sulla solidità del quadro probatorio.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle contestazioni di cui alla L. n. 895 del 1967, artt. 1, 2 e 4, per il periodo anteriore al maggio 2002, perchè i fatti non sussistono.

Rinvia ad altra sezione della corte d’appello di Milano per la rideterminazione della pena.

Rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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