Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
D.S.M., tramite il difensore ricorre per Cassazione avverso la sentenza 13.5.2010 con la quale la Corte d’Appello di Venezia ha cosi statuito: "visto l’art. 605 c.p.p., in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Venezia in composizione monocratica in data 20.7.2004, appellata dal D.S.M., assolve l’imputato dal reato di cui al capo a) relativo alla emissione di assegni bancari di importo pari a L. 16.000.000 e L. 200.00 perchè il fatto non sussiste e riduce la pena per il delitto di cui all’art. 643 c.p. a un anno e quattro mesi di reclusione e 400,00 Euro di multa. Riduce la provvisionale a 35. Milioni e conferma la condanna generica al risarcimento dei danni. Condanna l’imputato alla rifusione alla parte civile delle spese di rappresentanza del presente grado di giudizio che liquida in Euro 1033,25 comprensivo di rimborso forfettario oltre iva e cpa. Conferma nel resto".
L’imputato è stato sottoposto a giudizio penale per la violazione dell’art. 643 e 81 cpv c.p., art. 61 c.p., n. 11 "perchè, alfine di procurarsi un ingiusto profitto, abusando dello stato di deficienza psichica di Z.L. la induceva a compiere una pluralità di atti di disposizione patrimoniale comportanti per la stessa effetti giuridici a lei sfavorevoli e favorevoli al D.S. ed in particolare in data 1.4.1999 le faceva versare l’intero controvalore di una compravendita immobiliare, comprese le spese notarili della quale la Parte offesa acquistava il mero usufrutto, riservandone la nuda proprietà all’imputato, le faceva sostenere spese di ristrutturazione del predetto immobile pari a L. 14.416.700 e le faceva sottoscrivere in data 29.4.1999 una dichiarazione con la quale la p.o. si riconosceva debitrice della somma di L. 150.000.000, le faceva altresì emettere negli anni 1995-96 tre assegni bancari di importo pari a L. 16.000.000, 200.000, 2.400.000, incassati dal D. S. ed apparentemente emessi dalla Z. in proprio favore (il primo e il terzo, mentre il secondo emesso direttamente a favore dell’imputato), facendosi comunque consegnare dalla parte offesa assegni bancari firmati in bianco che lo stesso provvedeva successivamente a compilare, commettendo altresì il fatto con abuso della relazione di prestazione d’opera o comunque di ufficio che la legava alla parte lesa quale impiegato del Banco di Sicilia ove la predetta aveva il proprio conto corrente, offrendole di seguire personalmente le operazioni bancarie e amministrative. In Mestre e Venezia nelle date sopra indicate".
Condannato in entrambi i giudizi di merito in relazione alla suddetta imputazione (essendo stato dichiarato il non doversi procedere, per sopravvenuta prescrizione in riferimento ai reati di cui agli artt. 485, 491 e 81 cpv. c.p.) ed assolto in relazione ai soli episodi relativi agli assegni indicati nella detta imputazione, l’imputato ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia deducendo, dopo una articolata illustrazione della vicenda in fatto, i seguenti motivi:
p.1) Ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) l’erronea applicazione dell’art. 157 c.p.. sostenendo che la motivazione della sentenza di primo grado, pronunciata in data 20.7.2004, è stata depositata in data 6.3.2006, vigente ormai la nuova disciplina in materia di prescrizione introdotta con L. n. 251 del 2005, da applicarsi nel presente caso, perchè il diritto e la possibilità di appellare la sentenza sarebbe maturato sotto la vigenza della nuova legge. p.2) Ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), d) ed e) in relazione agli artt. 192, 220, 221 e 222 c.p.p. e art. 111 Cost. perchè, la consulenza del Pubblico Ministero essendo inidonea a dimostrare le minorate condizioni psichiche della Z.L. e la sua condizione di circonvenibilità, la Corte territoriale non ha disposto una perizia di ufficio sul punto. p.3) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), d) ed e) in relazione agli artt. 192, 220, 221 e 222 c.p.p. e all’art. 111 Cost., perchè la Corte d’Appello, benchè espressamente richiesta non ha disposto una consulenza tecnico contabile con la quale rilevare tanto le movimentazioni avvenute sul conto corrente della parte offesa, quanto quelle del connesso conto titoli. p.4) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’art. 192 c.p.p. con riferimento alla circostanza della sottoscrizione della scrittura privata con la quale la Z. si riconosceva debitrice della somma di L. 150.000.000 a favore dello imputato. p.5) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all’art. 192 c.p.p. e all’art. 61 c.p., n. 11 con riguardo alla suddetta aggravante, sostenendo che il fatto ascritto, non ha connessione con la attività professionale dell’imputato.
Passando alla disamina dei singoli motivi, il collegio osserva quanto segue. p.1) In sede di impugnazione in grado di appello la difesa aveva formulato la richiesta di dichiarazione di estinzione del delitto di cui all’art. 643 c.p. per sopravvenuta prescrizione, invocando l’applicazione della normativa di cui alla L. n. 251 del 2006. La Corte territoriale richiamando il testo della L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, come modificato a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, nonchè la decisione Cass. SU 29.10.2009 n. 47008, ha affermato che la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado determina la pendenza del giudizio di appello, con la conseguenza che tale fatto costituisce la linea di demarcazione circa il regime giuridico da applicarsi in materia di prescrizione. Tenuto conto della data della pronuncia della sentenza di primo grado (20.7.2004) la Corte territoriale è giunta alla conclusione che debba essere applicata la disciplina della prescrizione nella versione antecedente alla riforma introdotta con L. n. 251 del 2005, essendo del tutto ininfluente la circostanza che la motivazione della decisione di primo grado sia stata depositata in epoca successiva all’entrata in vigore di detta legge. Il principio di diritto applicato dalla Corte territoriale è corretto, richiamandosi a consolidata giurisprudenza formatasi sul punto, ed alla quale questo Collegio ritiene di adeguarsi.
La difesa, con il ricorso in esame, ha formulato doglianze di contenuto generico e mere asserzioni legate a contingenti considerazioni di opportunità, senza prospettare temi giuridici che impongano una rimeditazione di quanto già affermato in precedenti pronunce di legittimità; pertanto il motivo è manifestamente infondato. p.2) la difesa lamenta, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), d) ed e), che la Corte territoriale abbia disatteso la richiesta di disporre una perizia di ufficio sulle condizioni psichiche della persona offesa, tale richiesta. La doglianza, in quanto ricondotta alla ipotesi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), è manifestamente infondata, perchè non sono evidenziati aspetti inerenti a violazioni o erronee applicazioni della legge penale sostanziale. La medesima doglianza se riguardata sotto il profilo di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) è manifestamente infondata; infatti la "perizia", per il suo carattere "neutro", è prova sottratta alla disponibilità delle parti ed rimessa alla discrezionalità del giudice, non potendo essere considerata "prova decisiva" (v. in tal senso Cass. Sez. 4^ 22.1.2007, Pastorelli). Di qui consegue che la decisione della Corte territoriale di negare ingresso alla suddetta prova non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., citata lett. d), perchè si tratta di giudizio di fatto, che non è sindacabile in questa sede alla luce anche della articolata motivazione (pp. 9 e 10) con la quale la Corte d’Appello ha esaminato gli aspetti psichici della parte offesa. Va a tal proposito rilevato infine che la difesa del ricorrente non ha posto in evidenza vizi specifici della motivazione sul tema, che siano desumibili dalla lettura del provvedimento impugnato, secondo quanto previsto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), essendosi limitata a formulare, valutazioni soggettive interpolate dalla citazione di verbali e atti processuali, non suscettibili di considerazione nella presente sede. Pertanto il motivo è manifestamente infondato. p.3) la difesa lamenta che la Corte d’Appello, benchè richiesta, non ha disposto una perizia contabile che tenesse in considerazione anche le movimentazioni del conto titoli intestato alla persona offesa. La Corte d’Appello, pur prendendo atto, in sentenza, della richiesta formulata della difesa non l’ha accolta senza peraltro fornire ragioni a tal proposito e la difesa denuncia l’erroneità della decisione alla luce dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), d) ed e), insistendo sulla rilevanza dell’atto per la dimostrazione della correttezza del D.S. nella gestione del conto della parte offesa.
La doglianza non può essere presa in considerazione in riferimento alle ipotesi di cui al citato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e d), per le medesime ragioni già indicate nel paragrafo che precede.
Viene quindi in evidenza la doglianza solo sotto il profilo di cui alla lett. e), dovendosene comunque rilevare la sua manifesta infondatezza. Dalla complessiva lettura della decisione impugnata si evince la totale irrilevanze e superfluità dell’accertamento peritale richiesto, posto che non viene messa in discussione la modalità di gestione del conto titoli della Z. da parte dell’imputato, ma vicende giuridiche che non attengono alle modalità della gestione del conto titoli. Conseguentemente la manifesta infondatezza della richiesta (in relazione alla superfluità dell’accertamento rispetto all’oggetto della decisione) rende incensurabile la carenza di motivazione della sentenza di appello sul punto. La circostanza, sostenuta dalla difesa, per la quale la richiesta perizia avrebbe permesso di verificare la correttezza del comportamento dell’imputato nei suoi rapporti con la Z., appare destituita di qualsiasi fondamento, alla luce della considerazione che tale "correttezza" non vale di per sè ad elidere o a ricondurre a diversa valutazione, gli aspetti fattuali della vicenda portata alla cognizione del giudice dell’appello. p.4) Con il quarto motivo la difesa censura la ricostruzione in fatto dalla Corte territoriale sulla vicenda relativa alla scrittura "ricognizione di debito" (di 150.000.000) sottoscritta dalla parte offesa a favore dell’imputato. La doglianza si articola attraverso il richiamo di atti processuali concludendo che la decisione si pone in contrasto con una diversa verità emergente dalle carte processuali.
La doglianza è manifestamente infondata sia sotto il profilo della lett. b) che quello di cui alla lett. e), art. 606 c.p.p.. In primo luogo la difesa non denuncia alcuna violazione di norme penali sostanziali, ma si duole in modo generico della violazione dell’art. 192 c.p.p. che è conducente alla censura in ordine alla motivazione di cui alla lett. e) ed in tale ambito potrà essere preso in considerazione il motivo che, peraltro, in modo generico si sviluppa in considerazioni orientate ad una alternativa valutazione delle prove, che è sottratta al giudice della legittimità. Infatti, come già affermato in precedenti pronunce, va qui ribadito che "Nell’ipotesi di ricorso per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, il sindacato in sede di legittimità è limitato alla sola verifica della sussistenza dell’esposizione dei fatti probatori e dei criteri adottati al fine di apprezzarne la rilevanza giuridica nonchè della congruità logica del ragionamento sviluppato nel testo del provvedimento impugnato rispetto alle decisioni conclusive; ne consegue che resta esclusa la possibilità di sindacare le scelte compiute dal giudice in ordine aita rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, a meno che le stesse non siano il frutto di affermazioni apodittiche o illogiche" (v. Cass. Sez. 3^ 12.10.2007, Marrazzo).
Nel caso in esame la difesa non ha formulato alcuna valida e specifica censura sulla motivazione non essendo stati indicati i punti della decisione dai quali sarebbero desumibili carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità, vizi questi da desumersi dalla lettura del provvedimento impugnato; nè la difesa ha fornito specifiche indicazioni circa ipotesi di cd. "travisamento" del dato probatorio da dedursi in modo preciso e puntuale secondo quanto affermato in Cass. Sez. 4^ 12.2.2008 in Ced Cass. Rv 239533 ove: "In tema di ricorso per cassazione, la possibilità di dedurre il vizio di motivazione per travisamento della prova è limitata all’ipotesi in cui il giudice del merito abbia fondato il suo convincimento su di una prova inesistente ovvero su di un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello reale con la conseguenza che, qualora la prova che si assume travisata provenga dall’escussione di una fonte dichiarativa, l’oggetto della stessa deve essere del tutto definito o attenere alla proposizione di un dato storico semplice e non opinabile".
Per le suddette ragioni il motivo è manifestamente infondato. p.5) La difesa lamenta la erronea applicazione dell’art. 61 c.p., n. 11, sostenendo che la vicenda integrante il reato contestato si è svolto al di fuori del contesto professionale dell’imputato. La doglianza è manifestamente infondata alla luce della sola considerazione che la parte offesa ha instaurato stretti rapporti fiduciari con l’imputato, proprio in funzione della sua attività (dipendente della banca presso la quale la parte offesa intratteneva i propri conti), con la conseguenza che lo imputato ha avuto modo di "abusare" della relazione di un mandato di fatto instauratosi fra le parti, avendo la persona offesa demandato all’imputato aspetti inerenti alla amministrazione del proprio patrimonio, proprio perchè quest’ultimo svolgeva la sua attività nella banca presso la quale la persona offesa aveva il suo conto; va qui ribadito che "l’aggravante dell’abuso di prestazione d’opera implica un concetto più ampio di quello civilistico di "locazione d’opera", comprendendo tutti i casi nei quali, a qualunque titolo, taluno abbia prestato ad altri la propria opera; infatti, ciò che rileva è l’abuso della relazione fiduciaria da parte dell’autore, il quale profitta di una situazione di minore attenzione della vittima, determinata proprio dall’affidamento che questa ripone nell’opera dell’altro, per commettere un reato a suo danno". (Cass. pen., sez. 2^, 23.9.2005 in Ced Cass. Rv 232894 e nello stesso senso Cass. Sez. 2^ 23.10.2003 in Ced Cass. Rv 227248).
Per le suddette ragioni il motivo è manifestamente infondato.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, la pretestuosità delle ragioni del gravame.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
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