Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente deduce vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello attribuito ad essa un grave inadempimento che aveva dato corso alla lite, per avere fatto decorrere il calcolo degli interessi dal momento in cui sarebbero giunti a scadenza i pagamenti contrattualmente concordati, per avere determinato l’entità del risarcimento ad essa spettante in misura tale da non tener conto delle risultanze della prova testimoniale e della consulenza tecnica d’ufficio. In particolare, osserva la ricorrente, la sentenza sarebbe viziata in quanto, pur avendo riconosciuto che la fornitura effettuata da R.D.B. era affetta da vizi, i giudici hanno tuttavia affermato che il mancato pagamento del saldo costituiva grave inadempimento; affermazione, quest’ultima, incompatibile con il riconosciuto fondamento dell’actio quanti minoris, non assumendo comunque rilievo scriminante la circostanza che le contestazioni mosse da essa ricorrente fossero state accolte solo in parte.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1460 cod. civ., sostenendo che l’accoglimento, sia pure parziale, della sua domanda, avrebbe dovuto valere ad attribuire legittimità alla sospensione dei pagamenti, posta in essere in applicazione della citata disposizione. Gli interessi, dunque, non avrebbero potuto essere computati da un momento anteriore a quello della sopravvenienza delle condizioni di esigibilità della prestazione. In sostanza, la misura della prestazione dovuta a R.D.B. era stata determinata dalla sentenza, sicché era essa a fungere da condizione di esigibilità dell’obbligazione di pagamento.
La sentenza impugnata, ad avviso della ricorrente, sarebbe pertanto viziata sia nella parte in cui ha posto a suo carico le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito, supponendo un grave inadempimento in realtà escluso dalla stessa sentenza; sia nella parte in cui ha disposto la condanna al pagamento degli interessi nella misura convenzionale dalle singole scadenze anziché dalla data della sentenza che ha determinato la somma dovuta.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta omessa e contraddittoria motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha accertato che essa ricorrente avrebbe accettato con ritardo la consegna dei materiali forniti da R.D.B., trattandosi di affermazione in realtà sprovvista di alcuna motivazione e per di più contrastante con le risultanze della prova testimoniale.
I primi due motivi di ricorso, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, sono ammissibili e fondati.
Come si è visto, la Corte d’appello, sulla scorta delle valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio, ha riconosciuto la sussistenza dei vizi denunciati dall’appellante principale; e mentre per quelli individuati come fessurazione dei pannelli ha ritenuto che gli stessi non dessero luogo a diminuzione del valore dei materiali forniti da R.D.B. s.p.a., per il vizio concernente l’altezza dei pali del capannone ha provveduto a ridurre l’importo della prestazione ancora dovuta da X. s.r.l.
Risulta dunque evidente, come esattamente denunciato dalla ricorrente, che la Corte d’appello, nel riconoscere la sussistenza dei vizi e nel ritenere comunque dovuti gli interessi nella misura contrattualmente dovuta e con la decorrenza contrattualmente prevista sulla residua somma dovuta dall’acquirente, si è posta in contrasto con il principio secondo cui “la parte che si avvale legittimamente del suo diritto di sospendere l’adempimento della propria obbligazione pecuniaria a causa dell’inadempimento dell’altra non può essere considerata in mora e non è, perciò, tenuta al pagamento degli interessi moratori e degli eventuali maggiori danni subiti dall’altra parte per il mancato adempimento, nei termini previsti dal contratto, di quanto a lei dovuto, non essendo applicabile l’art. 1224 cod. civ., che ricollega alla mora del debitore il diritto del creditore al pagamento degli interessi di mora e dei maggiori danni conseguenti all’omesso pagamento della prestazione pecuniaria (nel caso concreto si trattava del mancato pagamento del corrispettivo dell’appalto giustificato dalle difformità e dei vizi dell’opera)” (Cass., n. 8567 del 1996).
È vero che “in tema di responsabilità contrattuale, l’exceptio non rite adimpleti contractus di cui all’art. 1460, secondo comma, cod. civ. postula la proporzionalità in relazione all’inadempimento della controparte, da valutarsi non già in rapporto alla rappresentazione soggettiva della parte bensì in termini oggettivi, con riferimento all’intero equilibrio del contratto ed alla buona fede (Cass., n. 58 del 2004). Nei contratti con prestazioni corrispettive, dunque, “quando una delle parti giustifica il proprio inadempimento con l’inadempimento dell’altra ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., occorre procedere alla valutazione comparativa del comportamento dei contraenti con riferimento non solo all’elemento cronologico delle rispettive inadempienze, ma altresì ai rapporti di causalità e di proporzionalità delle stesse rispetto alla funzione economico – sociale del contratto al fine di stabilire se effettivamente il comportamento di una parte giustifichi il rifiuto dell’altra di eseguire la prestazione dovuta, tenendo presente il principio che quando l’inadempimento di una parte non sia grave, il rifiuto dell’altra non è di buona fede e quindi non è giustificato” (Cass., n. 699 del 2000). In proposito, si è ulteriormente chiarito che “la salvaguardia del nesso sinallagmatico tra prestazioni corrispettive da adempiere simultaneamente, riconosciuta a ciascun contraente dall’art. 1460 cod. civ. mediante la facoltà di sospendere l’adempimento della propria obbligazione fino a quando l’altra parte non adempia, o non offra di adempiere, la propria, non legittima il rigetto delle domande di adempimento del contratto hic et inde proposte se entrambe le parti sollevano l’eccezione inadimplenti non est adimplendum, dovendo invece il giudice valutare, secondo il principio di buona fede e correttezza, in senso oggettivo, quale tra le due condotte, in relazione non soltanto alla relativa successione temporale, ma anche avuto riguardo all’incidenza sulla funzione economico – sociale del contratto, abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all’interesse perseguito da ciascuna parte, e perciò abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell’adempimento dell’altra parte (Cass., n. 16822 del 2003).
Orbene, la Corte d’appello di Bologna, dopo aver accertato la fondatezza della denuncia dei vizi e della domanda di riduzione del prezzo proposta in via principale dalla X. s.r.l., ha del tutto omesso di considerare l’incidenza di tale accertamento sulla determinazione del contenuto della residua prestazione dovuta dalla medesima società e, per tale aspetto, la sentenza risulta viziata e va quindi cassata.
Si deve solo aggiungere che l’accoglimento per questo aspetto dei due motivi di ricorso assorbe la censura relativa alle spese processuali.
Il terzo motivo è infondato.
La Corte d’appello ha adeguatamente motivato le ragioni per le quali ha ritenuto integrata la fattispecie disciplinata dal contratto con la previsione della penale nella misura del 2% mensile del valore delle merci prodotte e non potute consegnare. In proposito, ha osservato che “la R.D.B. ha soddisfatto l’onere della prova che le incombeva: la documentazione in atti e la prova testimoniale dimostrano l’entità del ritardo nella consegna del materiale e la imputabilità del fatto alla X. (data di rilascio della concessione Xizia, bolle di consegna, testimonianze rese da Roberto Sangermani, Luigi Berti e Stefano Assirelli)”.
A fronte di tale motivata conclusione, la ricorrente oppone generiche contestazioni, prive per di più del requisito dell’autosufficienza, e sostanzialmente volte a censurare l’apprezzamento di fatto svolto dal giudice del merito. Ma è noto che il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione; tali vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (Cass., n. 15489 del 2007).
In conclusione, accolti il primo e il secondo motivo di ricorso e rigettato il terzo, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, per nuovo esame, a una diversa sezione della Corte d’appello di Bologna.
Al giudice del rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso; rigetta il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, a una diversa sezione della Corte d’appello di Bologna.
Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.