Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Brescia, con la sentenza n. 2421 del 1° luglio 2010, in accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti proposti dalla ricorrente in primo grado, ha annullato la deliberazione della giunta comunale n. 334 del 9 dicembre 2008, con la quale il Comune di Desenzano del Garda ha preso atto della sospensione dell’attività di commercio al dettaglio in sede fissa nella grande struttura di vendita di via Mantova, n. 1 dal 27.12.2007 al 27.12.2008 ed espresso parere favorevole alla prosecuzione della sospensione dell’attività sino al 22 dicembre 2009; nonché il permesso di costruire n. 14341 rilasciato ad E. s.p.a. il 18 settembre 2009.
In sintesi, la società ricorrente in primo grado ha agito in quanto titolare di un’autorizzazione per l’esercizio di una grande struttura di vendita, rilasciata dal Comune di Lonato e relativa all’esercizio sito in via Mantova, n. 36, a distanza di poco più di un km dal centro commerciale originariamente autorizzato dal Comune di Desenzano del Garda a favore dell’odierna appellante E., nonché indirettamente esercente l’attività commerciale nel centro "Le vele" in Comune di Desenzano del Garda, sotto l’insegna "UNES".
Il TAR, individuava la questione controversa nella legittimità della sospensione dell’attività di commercio al dettaglio disposta dal 27 dicembre 2007 al 27 dicembre 2008, con proroga alla prosecuzione della sospensione sino al 22 dicembre 2009.
Secondo il TAR la decadenza dell’autorizzazione amministrativa, motivata a causa della sospensione dell’attività commerciale per oltre un anno, è atto di ritiro dovuto, vincolato, espressione di un potere di autotutela ad avvio doveroso, scevro da valutazioni in punto di interesse pubblico: esso rientra nella più generale e tipica categoria della revoca sanzionatoria.
Infatti, sempre secondo il TAR, la natura automatica e sanzionatoria della decadenza conseguente, ex lege, alla scadenza del termine di un anno dall’intervenuta sospensione dell’attività di vendita porta, quindi, ad escludere l’ammissibilità della proroga, che, del resto e diversamente da quanto accade con riferimento all’apertura della nuova attività, non è stata espressamente prevista dal legislatore.
L’appellante I. M. censurava la sentenza chiedendo la correzione di un errore materiale relativo al momento della notifica del ricorso e riproponeva una censura relativa al contrasto del permesso di costruire con le N.T.A. comunali.
L’appellante E. riproponeva le censure preliminari di inammissibilità, respinte in primo grado e sosteneva, nell’atto d’appello, la non imputabilità a sé della causa di sospensione.
All’udienza pubblica del 31 maggio 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
Preliminarmente, è necessario riunire i due ricorsi di cui in epigrafe in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
Sempre in via preliminare, occorre concordare con quanto affermato dal TAR in primo grado, in punto carenza di legittimazione.
Secondo il Collegio, infatti, la legittimazione all’impugnazione nel settore per cui è controversia, va riconosciuta non solo alla società commerciale non necessariamente proprietaria che abbia dimostrato, attraverso concrete iniziative amministrative, di volersi radicare nello stesso bacino d’utenza della concorrente, ma anche nel caso in cui la ricorrente sia soggetto già operante nel medesimo bacino d’utenza e quindi a fortiori interessato a che nessun altro operatore vi si insedi in modo illegittimo, nella specie mediante il subentro in un’autorizzazione alla vendita ormai decaduta per il superamento del termine di un anno di sospensione.
Deve, quindi, concordarsi con il TAR circa l’affermazione della legittimazione ad agire in capo alla ricorrente.
In concreto, le medie strutture di vendita di cui qui si discute, attesa la loro estrema vicinanza e le funzioni commerciali svolte, con l’offerta dei medesimi beni e prodotti al medesimo segmento di mercato, sono in manifesta concorrenza ed intercettano il medesimo bacino di utenza.
Nel caso di specie, infatti, si fronteggiano la struttura di vendita, l’ipermercato di via Mantova n. 1, da un lato, e la struttura di vendita, l’ipermercato di via Mantova n. 36 (in uno con la media struttura di vendita di via Marconi) dall’altro lato: cioè strutture che propongono manifestamente la medesima offerta commerciale, alla medesima utenza, per la soddisfazione dei medesimi bisogni.
Che le strutture di vendita siano in aperta concorrenza sul medesimo bacino lo comprova la stessa appellante E., che descrive la controparte come un operatore che avrebbe goduto per un certo periodo di una "situazione di monopolio" e che oggi vorrebbe impedire la ripresa "dell’attività di un concorrente", opponendosi al "fisiologico riequilibrio dei flussi degli acquirenti".
L’eccezione preliminare deve, pertanto, essere respinta.
Nel merito, invece, l’appello di I. M. è inammissibile, in relazione alla contestata data di notifica del ricorso di cui si chiede la correzione dell’errore materiale, atteso che tale correzione in nulla influenza la decisione e non è sorretta da alcun apprezzabile interesse; così come in relazione alle censure relative al contrasto del permesso di costruire con le N.T.A. comunali che costituiscono un obiter dictum della sentenza di prime cure inidonea al passaggio in giudicato.
Infatti, come è noto, la parte interamente vittoriosa a conclusione del giudizio di primo grado è legittimata ad impugnare la sentenza a lui favorevole al solo fine di ottenere una modifica della motivazione in essa contenuta allorché da questa possa dedursi un’implicita statuizione contraria al suo interesse e quindi un futuro pregiudizio coperto dal giudicato (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 248).
Nel caso di specie, nessun tipo di pregiudizio concreto può derivare all’appellante in questione, atteso che la statuizione della sentenza contestata costituisce affermazione incidentale inidonea ad assumere le vesti di giudicato.
Ritiene il Collegio che l’appello di E. sia invece meritevole di accoglimento.
La vicenda, infatti, riguarda, in sintesi, la sospensione dell’attività commerciale per l’esercizio di grande struttura di vendita, relativa all’ipermercato sito nel Comune di Desenzano del Garda in via Mantova n. 1, originariamente assentita con licenza rilasciata a Standa S.p.A. in data 5 febbraio 1991, per una superficie di vendita di 4010 mq.
In data 3 gennaio 2002 B. A. (A.G.) subentrava a Standa Commerciale S.p.A. nella titolarità dell’autorizzazione e in data 27 dicembre 2006 la medesima società comunicava la sospensione della relativa attività all’Amministrazione comunale, che ne prendeva atto ricordando come l’art. 22, co. 4, lett. b, del D.Lgs. n. 114/1998 fissi in un anno il periodo consentito di sospensione dell’attività già autorizzata; prima del decorso di detto periodo B. presentava istanza al Comune di Desenzano affinché le fosse consentito posticipare al 27 dicembre 2008 il termine per la riattivazione dell’esercizio commerciale.
In particolare, la società istante giustificava la propria richiesta in forza del collocamento in mobilità degli addetti alla vendita, il cui impiego lavorativo avrebbe potuto riprendere in un momento successivo alla scadenza del primo anno di sospensione previsto per il 27 dicembre 2007.
Ricevuta siffatta richiesta, il Comune di Desenzano chiedeva in proposito un parere alla Regione Lombardia, la quale con nota 4 marzo 2008 manifestava il proprio convincimento circa la legittimità della proroga e in data 9 dicembre 2008 la Giunta Comunale approvava la Deliberazione n. 334, con la quale si prendeva atto della sospensione dell’attività dal 27 dicembre 2007 al 27 dicembre 2008, con differimento al 27 dicembre 2009.
Rammenta il Collegio che l’art. 22, co. 4, lett. b, del D.Lgs. n. 114/19984. stabilisce che "L’autorizzazione all’apertura è revocata qualora il titolare: a) non inizia l’attività di una media struttura di vendita entro un anno dalla data del rilascio o entro due anni se trattasi di una grande struttura di vendita, salvo proroga in caso di comprovata necessità; b) sospende l’attività per un periodo superiore ad un anno.
La giurisprudenza amministrativa ha in proposito stabilito che la situazione di sospensione di un’attività commerciale assentita per colpevole negligenza del titolare dell’autorizzazione non può essere assimilata al caso di chi tempestivamente abbia rappresentato all’amministrazione una circostanza oggettiva di giustificazione non imputabile.
Il TAR ha sostenuto che il ritardo nella ripresa dell’attività fosse esclusivamente addebitabile ad una scelta della società titolare.
Secondo il Collegio, al contrario, l’avvio dì una procedura di mobilità dei lavoratori non può includersi nella categoria delle decisioni assunte volontariamente.
Infatti, il termine temporale apposto alla sospensione ha, quale sua intima ratio, la funzione di scoraggiare iniziative emulative da parte di operatori commerciali che, titolari di un’autorizzazione, non la esercitino, chiudendo, quindi, un certo settore di mercato geografico all’ingresso di altri operatori.
Tale ratio visibilmente non sussiste quando, come nella specie, la giustificazione della sospensione riguardi l’avvio di una procedura di mobilità del personale dell’azienda che, indubbiamente, non è legato soltanto ad una scelta imprenditoriale, ma è connesso ad una situazione oggettiva di crisi, che necessita di interventi anche sociali per la salvaguardia dei posti di lavoro.
Infatti, come è noto, le diverse disposizioni in materia di mobilità (leggi 223/91, 236/93), sono state aggiornate attraverso l’emanazione del decreto legge 40/94.
La procedura in materia di mobilità si attua in due ipotesi ben disciplinate.
La prima circostanza riguarda l’impresa che, ammessa al trattamento di cassa integrazione straordinaria, nel corso di attuazione del programma d’intervento, ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere alle misure alternative previste dalla legge (art. 4 legge 223/91).
La seconda, invece, si realizza quando l’impresa, con più di quindici dipendenti, intende effettuare, in conseguenza di una riduzione o di trasformazione di attività o di lavoro, almeno cinque licenziamenti nell’arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive nell’ambito del territorio di una stessa provincia. La stessa disposizione trova applicazione anche nei confronti di quelle imprese che cessano l’attività (art. 24 Legge 223/91).
Si tratta, quindi, di circostanze oggettive, che non dipendono da una scelta o da una negligenza dell’impresa e che, come tali, avrebbero dovuto giustificare la proroga, come infatti era stata originariamente disposta, diversamente da quanto ha opinato il TAR nella sentenza impugnata.
Lo stato di crisi in cui versava la società era, peraltro, inequivocabile, atteso che, come sommariamente descritto, i presupposti per avviare le procedure in esame sono restrittivi e collegati a dati oggettivi, non ad apprezzamenti dell’imprenditore.
Peraltro, la giurisprudenza di questo Consiglio aveva già statuito che non si verifica decadenza dell’autorizzazione commerciale, per mancata tempestiva attivazione dell’esercizio, qualora l’interessato dimostri di non aver potuto iniziare l’attività per cause di forza maggiore a lui non imputabili ed abbia ottenuto dal comune eventuali proroghe, le quali ben possono legittimamente intervenire, a questi fini, in un secondo tempo se l’interessato medesimo abbia prodotto tempestiva istanza di proroga (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13 febbraio 1996, n. 198: fattispecie anteriore al d. lgs. 11498, ma rientrante nella stessa logica di fondo, in quanto espressione di un principio generale in materia di proroghe concesse per cause non imputabili).
Pertanto, conclusivamente, l’appello di I. M. deve esser dichiarato inammissibile. Quello di E. va accolto e, per conseguenza deve essere rigettato il ricorso di primo grado.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
definitivamente pronunciando sugli appelli come in epigrafe proposti, dichiara inammissibile l’appello proposto da I. M.; accoglie l’appello proposto da E. e, per conseguenza, rigetta il ricorso in primo grado.
Compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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