Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-05-2011) 01-07-2011, n. 25887 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata in data 16 settembre 2010, depositata in cancelleria il 22 settembre 2010, la Corte di Appello di Napoli, confermava la sentenza 7 marzo 2010 del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Nola che aveva dichiarato M. P. responsabile dei reati di detenzione d’arma clandestina e dei relativi proiettili oltre che di ricettazione della stessa arma.

2. – Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore avv. Impradice Salvatore, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione il M. chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali. a) con il primo motivo veniva contestata la clandestinità dell’arma posto che sul castello dell’arma, nei pressi della tacca di mira, erano visibili sei numeri, circostanza questa che rendeva l’arma identificabile; ne conseguiva anche la caducazione del reato di ricettazione. b) con il secondo motivo veniva altresì contestata la mancata applicazione della diminuente di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 5 e delle attenuanti generiche.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

3.1 – Il primo motivo di ricorso, in particolare, non è fondato e deve essere respinto.

3.1.1 – Occorre per vero rilevare che questa Corte di legittimità ha già ritenuto che, in tema di armi clandestine, poichè la L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 11 (norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi) non fa obbligo di ripetere le indicazioni concernenti sigle, marchio, numeri, su varie parti, è sufficiente che i dati essenziali richiesti figurino comunque anche in una sola parte purchè siano facilmente leggibili senza che alcuna speciale o apposita operazione risulti necessaria per dar loro risalto (derivandone pertanto che se il numero di matricola, abraso in una parte, risulti integro in altra parte non autonoma, l’arma non può essere considerata clandestina perchè immediatamente identificabile) (Sez. 1, 23 aprile 1990, n. 9817, Giuliani, rv. 184800).

Ciò posto deve tuttavia precisarsi che la matricola deve essere completa e non parzialmente abrasa, come avvenuto nella fattispecie, sicchè tale fatto, unitamente alla circostanza che nella vicenda fosse sconosciuta anche la marca della pistola, tale parzialità ne avrebbe impedito l’immatricolazione, rendendo ipso facto clandestina l’arma, con sottrazione della medesima al doveroso controllo da parte degli organi di polizia in relazione agli eventuali trasferimenti delle armi e alla identificazione in ogni momento dei detentori (Cass., Sez. 1,1 marzo 2002, n. 16127, Lattuada, rv. 221328).

3.2 – Anche il secondo motivo di gravame è privo di pregio e va rigettato.

3.2.1 – Va per vero osservato che questo Collegio intende dar continuità al già espresso principio di diritto secondo cui il giudice può legittimamente escludere l’applicazione dell’attenuante del fatto di lieve entità prevista dalla L. 2 ottobre 1967, n. 895, art. 5 sulla base del numero delle armi illegittimamente detenute e delle loro quantità (ad esempio arma con matricola abrasa) prescindendo dall’ulteriore esame della loro potenzialità offensiva (Sez. 1, 5 luglio 1994, n. 9962, La Torre, rv. 199741). In altre parole, in tema di reati concernenti le armi, la clandestinità costituisce una "qualità" dell’arma tale da attribuirle una particolare pericolosità per l’ordine pubblico, attesa non solo l’impossibilità di risalire alla sua provenienza, ma anche per le particolari modalità di acquisizione della res (da fonti necessariamente contigue all’ambiente delinquenziale) e ai trasferimenti di cui ne viene fatta oggetto: ne consegue che la diminuente del fatto di lieve entità, specificamente prevista dalla L. 2 ottobre 1967, n. 895, art. 5, non è applicabile in relazione alle armi clandestine (Cass., Sez. 1, 6 marzo 2008, n. 14624, Cassano M, rv. 239905).

3.3. – Da respingersi sono altresì le censure in punto di applicazione delle richieste attenuanti generiche. La Corte di merito, lungi dal negare apoditticamente la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle attenuanti ex art. 62 bis c.p., ha argomentato il diniego delle stesse e la congruità del trattamento sanzionatorio), da un lato, rilevando l’assenza in atti di un qualsivoglia elemento suscettibile di positiva valutazione a tali fini e, dall’altro lato, sottolineando la valenza ostativa dei precedenti penali del M., sintomatici di una sua spiccata pericolosità sociale e ciò dopo una attenta analisi delle componenti oggettive e soggettive del fatto e delle sue specifiche modalità. E poichè la statuizione in ordine all’applicazione o meno delle circostanze attenuanti generiche deve fondarsi sulla globale valutazione della gravità del fatto e della capacità a delinquere del colpevole ed è censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi in cui essa appaia frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico, deve convenirsi sulla congruità dell’argomentare della Corte di Appello di Napoli, che è privo di vizi logico-giuridici, in linea con i principi enunciati in materia da questa Corte e aderente alle norme di legge.

4. – Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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