Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-02-2011) 08-07-2011, n. 26763Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Brescia confermò la sentenza emessa il 30.12.2007 dal tribunale di Brescia, che aveva dichiarato A.B. colpevole del reato di cui all’art. 609 bis cod. pen. per avere con violenza costretto G.I. a subire atti sessuali, consistiti in baci sulla bocca, palpeggiamenti del petto e delle parti intime e nel tentativo di spogliarla, e l’aveva condannato, con le attenuanti generiche, alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, oltre pene accessorie ed al risarcimento del danno in favore della parte civile, liquidato in Euro 30.000,00.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione di legge in relazione alla inammissibilità della lista testi per genericità delle circostanze.

2) violazione dell’art. 495 c.p.p., comma 2, per mancata assunzione delle prove testimoniali indicate dalla difesa anche a discarico, anche nel dibattimento ed anche in relazione alla effettuazione di perizia sulla capacità a testimoniare della querelante.

3) violazione dell’art. 609 bis c.p. per mancato riconoscimento della relativa attenuante. Lamenta che la corte d’appello non ha concesso l’attenuante del fatto di minore gravità per il motivo che vi era stato un tentativo di penetrazione, mentre questa circostanza non è stata assolutamente indicata nel capo di imputazione, ma è stata raccontata per la prima volta in dibattimento ed è anzi tale da inficiare la credibilità della deposizione.

4) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sulle circostanze relative allo spostamento dell’imputato dal posto di lavoro, all’esistenza di motivi di malanimo della querelante, alla ipotesi di un malore epilettico il giorno del fatto ed alla motivazione sulla gravità del danno anche con liquidazione dell’importo risarcitorio.

5) mancanza di motivazione sul punto della contrapposizione della versione della querelante con quella dell’imputato che ha reso dichiarazioni spontanee nel dibattimento in appello.

Il 7.2.2011 la parte civile ha depositato memoria difensiva.

Motivi della decisione

Il ricorso va accolto per le ragioni che seguono.

Innanzitutto erroneamente la sentenza impugnata si è fondata sul principio che la rinnovazione in appello è evenienza eccezionale, subordinata ad una valutazione di assoluta necessità della prova. Ed invero, l’imputato con l’atto di impugnazione non aveva chiesto l’ammissione di una nuova prova, ma aveva eccepito la illegittimità della statuizione con la quale il giudice di primo grado non aveva ammesso le prove tempestivamente richieste dalla difesa, ed in particolare della statuizione con la quale era stata ritenuta inammissibile per genericità la lista testi della difesa per mancanza di una specifica capitolazione. La corte d’appello, quindi, non doveva applicare l’art. 603 c.p.p. ma doveva giudicare se era o meno esatto il motivo per il quale la richiesta era stata rigettata in primo grado e, in caso di risposta negativa, procedere all’assunzione della prova.

La corte d’appello ha comunque confermato la motivazione del tribunale per la ragione che i capitoli facevano riferimento "ai fatti per cui è processo" e quindi erano generici, non consentendo al giudice di valutare la rilevanza e la pertinenza della prova formulata nè alle altre parti di svolgere efficacemente il controesame.

Risulta che la difesa effettivamente aveva richiesto prova per testi "su quanto hanno potuto vedere e sentire in ordine ai fatti di cui è processo".

Sennonchè, sul punto, la giurisprudenza di questa Corte è assolutamente costante e concorde nell’affermare i seguenti principi:

"E’ ammissibile la prova testimoniale, quando il pubblico ministero in luogo di una articolata formulazione dei capitoli faccia espresso riferimento ai fatti di cui all’imputazione, essendo in tal caso ampiamente assicurata la cosiddetta discovery ed esclusa qualsiasi sorpresa" (Sez. 3, 7.12.1992, n. 521, PM e. Longo, m. 192741);

"E ammissibile la prova testimoniale, quando il pubblico ministero in luogo di una articolata formulazione dei capitoli faccia espresso riferimento ai fatti di cui all’imputazione, essendo in tal caso ampiamente assicurata la cosiddetta discovery ed esclusa qualsiasi sorpresa" (Sez. 1, 25.6.1999, n. 10795, Gusinu, m. 214108; Sez. 1, 12.4.2002, n. 15418, La Valle, m. 221940);

"L’obbligo dell’indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame dei testimoni, imposto dall’art. 468 c.p.p., comma 1, è necessario solo quando le circostanze si discostino dal capo di imputazione, ampliandosi così la tematica che si intende proporre nell’istruttoria dibattimentale. Detto obbligo deve ritenersi rispettato non soltanto quando nella lista testimoniale le circostanze sono indicate con richiamo diretto al capo di imputazione, ma anche quando sia possibile dedurre per relationem che la persona indicata è tra i protagonisti dei fatti articolati nel capo di imputazione e le circostanze sulle quali è chiamata a deporre sono ricomprese in esso o in altri atti che debbono essere noti alle parti. Infatti la finalità dell’art. 468 è quella di tutelare le parti del processo contro la introduzione di eventuali prove a sorpresa e di consentire loro la tempestiva predisposizione di proprie controdeduzioni" (Sez. 3, 30.6.1999, n. 10504, Cola, m.

214444);

"L’obbligo della indicazione delle circostanze sulle quali deve vertere l’esame testimoniale, imposto dall’art. 468 c.p.p., è necessario soltanto allorchè le circostanze si discostino dal fatto descritto nel capo di imputazione. Pertanto, l’obbligo deve intendersi rispettato allorchè sia possibile dedurre per relationem che il soggetto indicato è in grado di riferire i fatti articolati nel capo di imputazione e le circostanze sulle quali è chiamato a deporre sono ricomprese nello stesso o in altri atti noti alle parti, stante la finalità del citato art. 468 di impedire la introduzione di prove a sorpresa consentendo alle altre parti la tempestiva predisposizione di proprie controdeduzioni" (Sez. 3, 19.10.2005, n. 41691, Latini, m. 232369);

"La violazione dell’obbligo della indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame testimoniale, previsto dall’art. 648 c.p.p., comma 1, comporta l’inutilizzabilità di tale fonte di prova solo quando dal teste si richiede un contributo di conoscenza contenente un quid pluris rispetto a quanto descritto nel capo di imputazione, ma non quando questi è chiamato a confermare la sussistenza del fatto storico ivi enunciato" (Sez. 5, 5.10.2005, n. 43361, Grispo, m.

232978; Sez. 4, 10.5.2007, n. 25523, Boldrini, m. 236990);

"L’obbligo di indicare nella lista testimoniale le circostanze su cui deve vertere l’esame è adempiuto se i temi che la parte intende proporre nell’istruzione dibattimentale possono inequivocamente individuarsi e, quindi, anche se tale individuazione è consentita dall’inserimento della lista nel decreto di citazione, in modo da rendere chiaro che i fatti su cui i testimoni devono essere esaminati sono quelli oggetto dell’imputazione" (Sez. 2, 23.9.2008, n. 38526, Scaccianoce, m. 241114).

E’ vero che, per la gran parte, le massime riportate si riferiscono a richieste di prova avanzate dal pubblico ministero, ma è anche vero che gli esatti principi affermati non possono essere applicati elasticamente in modo diverso a seconda che la richiesta di prova provenga dall’accusa o dalla difesa.

Nella specie, pertanto, non avendo applicato i suddetti principi, è erronea la statuizione con la quale i giudici del merito hanno dichiarato inammissibili per genericità i capitoli di prova dell’imputato. Le statuizioni relative alla ammissione dei capitoli di prova per testi della difesa devono, quindi, essere annullate e, nel giudizio di rinvio, la corte d’appello dovrà tenere conto: – che i capitoli stessi sono stati (erroneamente) ritenuti generici, ma non irrilevanti; – che il M. non aveva dichiarato di avere visto l’imputato scendere al piano inferiore, ma solo che egli stava nel suo ufficio e non poteva vedere che cosa faceva l’ A.; – che la valutazione in ordine all’assunzione del Mo. è stata fatta dalla corte d’appello in termini di assoluta necessità ai fini della decisione, ai sensi dell’art. 507 c.p.p., mentre avrebbe dovuto e dovrà essere fatta secondo i normali canoni di valutazione della rilevanza della prova, in quanto il Mo. era stato tempestivamente indicato nella lista testi; – che comunque la motivazione relativa al Mo. non può valere anche per il complesso dei testi indicati. La rilevanza della prova testimoniale richiesta dovrà essere valutata considerando che essa tende a provare che l’ A. quel pomeriggio non si era potuto allontanare dall’ufficio per circa mezzora e quindi ad inficiare la credibilità del racconto della persona offesa, secondo la quale, invece, mentre si era recata al piano sottostante, era stata raggiunta dall’ A. ed era stata oggetto di attenzioni sessuali da parte di questi per circa 20-30 minuti. Sotto questo profilo, anzi, la motivazione è manifestamente illogica anche in relazione alla valutazione sulla richiesta di esame del teste Mo., perchè la compatibilità temporale della presenza dell’imputato in ufficio con le dichiarazioni della donna va valutata non in relazione ad un singolo teste, ma appunto al complesso delle deposizioni dei soggetti indicati nella lista testi, che quel pomeriggio avevano potuto vedere l’ A. in ufficio.

E’ invece infondata la censura relativa al rigetto della richiesta di perizia sulla capacità a testimoniare della persona offesa. La corte d’appello ha invero fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto superfluo un accertamento tecnico, rilevando che la piena capacità a testimoniare della G. si ricavava dalla semplicità della forma espositiva, dalla precisione del racconto, dallo stato di vergogna che lo aveva accompagnato, dalla mancanza di espressioni suggestive, dal fatto che i due medici esaminati in dibattimento avevano escluso la presenza di elementi che potessero provare una incapacità della donna di rendere l’esame testimoniale. Questa valutazione, pertanto, non è sindacabile in sede di legittimità.

La motivazione è invece manifestamente illogica nella parte in cui pone in evidenza la circostanza che le dichiarazioni accusatorie non avevano trovato alcuna smentita da parte dell’imputato, il quale era rimasto contumace. Risulta, infatti, che l’imputato in appello ha invece reso dichiarazioni spontanee ed ha anche depositato una memoria scritta. La corte d’appello ha totalmente omesso di esaminare queste dichiarazioni difensive e di motivare sulla loro eventuale ininfluenza.

E’ ancora ravvisabile un vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della ipotesi lieve (peraltro richiesta anche dal Procuratore generale di udienza) per la ragione che gli atti sessuali erano stati invasivi, essendo giunti ad un tentativo di penetrazione, ed al fatto che l’imputato era a conoscenza che la persona offesa era affetta da epilessia. Ora, quanto alla prima circostanza, effettivamente la stessa non era stata contestata dal momento che il capo di imputazione parlava solo di baci sulla bocca, palpeggiamenti del petto di altre parti intime e di tentativo di spogliare la donna.

La circostanza era stata peraltro raccontata dalla persona offesa per la prima volta in dibattimento, il che però – anche a prescindere da ogni considerazione circa il rispetto del principio di corrispondenza tra contestazione e sentenza – avrebbe reso necessario che la stessa fosse stata previamente valutata ai fini del globale giudizio di credibilità del racconto della donna, che non ne aveva mai parlato in precedenza. Su questo aspetto manca qualsiasi motivazione. Quanto alla seconda circostanza, manca la motivazione sulle ragioni per le quali la corte d’appello ha ritenuto che l’imputato fosse a conoscenza della malattia della G., motivazione necessaria perchè poco prima la stessa sentenza impugnata aveva affermato che praticamente i due non si conoscevano.

La sentenza impugnata deve dunque essere annullata per vizio di motivazione sui punti dianzi indicati, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte d’appello di Brescia.

Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti, ma non preclusi.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Brescia per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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