Cons. Stato Sez. IV, Sent., 13-07-2011, n. 4243 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con due separati specifici gravami, il Comune di Altopascio e la Provincia di Lucca, hanno impugnato, sotto diverse rubriche di gravame, la sentenza del Tar della Toscana di cui in epigrafe con la quale sono stati annullate rispettivamente:

– con riferimento al Ric. n. 10029 del 2005: la deliberazione del consiglio comunale n. 87/1996 di adozione della variante di adeguamento al vigente PRG; e la conseguente reiezione della domanda di concessione edilizia per la realizzazione di un impianto per la produzione di conglomerati bituminosi e cementizi.

– con riferimento al Ric. n. 10435 del 2005 la determinazione del dirigente del settore ecologia dalla Provincia di Lucca n. 290/1999 adottato in relazione al parere negativo espresso dal comune sotto il profilo urbanistico.

L’impresa appellata si è costituita in entrambi giudizi e con specifiche memorie per i due ricorsi, ha sottolineato l’infondatezza delle censure di entrambi gli appelli ed insistito per il loro rigetto.

A sua volta l’amministrazione comunale ha sottolineato le argomentazioni a sostegno delle proprie ragioni.

Chiamata all’udienza pubblica,uditi i patrocinatori delle parti, le cause sono state ritenute in decisione.

L’appello è infondato.

– 1.Par.. Ai sensi dell’art. 70 del c.p.a. deve disporsi la riunione degli appelli di cui in epigrafe, essendo evidente la connessione oggettiva e soggettiva di entrambi i gravami.

– 2.Par.. Il ricorso del Comune di Altopascio deve essere esaminato secondo il presente ordine logico.

– 2.1. Con il secondo motivo si lamenta l’erroneità della sentenza che aderisce all’impostazione dell’impresa ricorrente in primo grado.

Al contrario, la comunicazione della commissione edilizia del parere sfavorevole al rilascio della concessione edilizia per lo stabilimento di conglomerati bituminosi ai sensi delle norme dell’art. 27 della NTA, non sarebbe un provvedimento finale di diniego ma una mera comunicazione all’interessato di un parere endoprocedimentale.

Al riguardo sarebbe irrilevante sia l’espressione "diniego" nell’oggetto dell’atto impugnato in questione e sia la firma dall’assessore all’urbanistica su delega del sindaco. Ciò sarebbe provato dal fatto che nell’ottobre 1999 risultava ancora aperto il procedimento volto ad ottenere l’autorizzazione ex articolo n. 7 del d.p.r. 24 maggio 1988 n.203.

L’assunto va respinto.

La nota del responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di Altopascio n. 2069, del 19 ottobre 1999, con la quale era stato comunicato il parere negativo rilasciato dalla Commissione edilizia nella seduta del 10 settembre 1996, aveva forma ed il contenuto di provvedimento definitivo.

Quanto alla forma dell’atto, come esattamente rilevato dalla difesa dell’appellato, la nota non è mera comunicazione di attività istruttorie della Commissione Edilizia, in quanto non né è firmata dal Presidente della stessa, e neppure è una trasmissione d’atti effettuata (come di diceva una volta "per debito d’ufficio") dalla relativa segreteria.

Si tratta invece di un provvedimento di rigetto debitamente sottoscritto dal Responsabile, specificamente compente al riguardo, vale a dire da un soggetto differente dall’organo consultivo.

Per ciò che concerne poi la portata sostanziale dell’atto non vi sono dubbi che l’assunto per cui "…essendo l’impianto destinato alla produzione di conglomerati bitumosi e cementizi e quindi classificabile, ai sensi del D.M. 5 settembre 1994, come industria insalubre di 1° classe — la sua realizzazione non sarebbe compatibile con la zona industriale" esprima il giudizio finale del Comune sulla richiesta dell’impresa, che definisce il procedimento edilizio in senso contrario alla realizzazione dell’impianto.

Sotto altro profilo, deve osservarsi che (come sarà meglio evidente in seguito) la pendenza della richiesta di autorizzazione ex articolo n. 7 del d.p.r. 24 maggio 1988 n.203 era un elemento del tutto estraneo, come tale non condizionato dalla definitività del provvedimento conclusivo del segmento edilizio del procedimento.

Il motivo va dunque respinto.

– 2.2. Con il primo motivo l’amministrazione comunale assume l’erroneità della sentenza — che non avrebbe recepito l’eccezione, espressamente formulata dalla difesa dell’appellante, di improcedibilità del ricorso n. 3809/1996 per il sopravvenire di una modifica del testo dell’art.27 della NTA. In sede di definitiva approvazione della variante, il Comune avrebbe modificato il predetto articolo stabilendo, per le zone di uno, che "… deve intendersi possibile l’insediamento di nuove attività classificati insalubri di prima classe solo ed esclusivamente nei lotti dove sono già presenti, ed eventuale sostituzione delle stesse…" (comma 3). Pertanto il testo sarebbe cambiato e non sarebbe più corrispondente a verità l’affermazione della sentenza secondo cui si sarebbe vietato l’insediamento di industrie insalubri di prima classe in tutte le parti del territorio comunale. Il Tar avrebbe dunque annullato una norma inesistente e non più operante da oltre otto anni.

Sulla scia delle considerazioni che precedono, l’assunto è infondato oltre che inconferente.

E’ infondato perché il provvedimento di diniego del Comune era stato adottato 19 ottobre 1999, e quindi era successivo alla delibera consiliare n. 87 del 30 luglio 1996 di modifica delle disposizioni di cui agli artt. 27 e 28 delle norme tecniche di attuazione, che a detta dell’appellante avrebbero determinato l’improcedibilità del ricorso n. 3809/1996.

La censura avverso il diniego di concessione edilizia incideva direttamente sul portata sostanziale del merito del diniego, che era basato su una norma che, sia pure con una diversa circonlocuzione, finiva comunque per escludere di fatto i nuovi insediamenti in linea di principio su tutto il territorio comunale come esattamente denunciato dall’appellato in primo grado.

Il diniego impugnato in primo grado è stato adottato in relazione alla "nuova" versione dell’art. 27 delle NTA la quale in sostanza non permetteva nuovi insediamenti ma autorizzava solo la permanenza delle industrie insalubri di prima classe dal D.M. 5 settembre 1994, che fossero già presenti nelle zone D1 "Aree con insediamenti recenti a prevalente uso produttivo secondario consolidato" e nelle D2 "Aree di espansione a prevalente uso produttivo secondario".

La ritenuta incompatibilità dell’intervento in zona industriale era quindi collegata, temporalmente e funzionalmente, all’art.27 delle NTA vigenti al momento della sua adozione.

Pertanto il ricorso avverso l’atto finale successivo e l’atto presupposto costituito dalla detta normativa certamente non implicavano affatto l’improcedibilità del gravame.

– 2.3. Con il terzo motivo si assume che, anche a voler prescindere dalle precedenti considerazioni, del tutto legittimamente l’ente locale può escludere, in via generale e preventiva, la realizzabilità di industrie in una determinata zona (cfr Consiglio di Stato, Sezione IV n. 547/1992; Tar Brescia n. 2/2000). Nel caso di specie, in considerazione della presenza da anni sul territorio di numerose industrie insalubri di prima classe anche in zona B1 onde evitare l’aggravio delle condizioni igienico ambientali non più sostenibile, l’articolo 27 delle NTA adottate non ammettevano l’insediamento di nuove industrie insalubri.

La zona che interessava l’impresa B., era peraltro posta nelle immediate vicinanze dell’abitato e che quindi non avrebbe più avuto i requisiti di cui all’articolo 216,2° e 5° co del r.d. n. 1265/1934 in base al quale le industrie devono essere isolate nelle campagne e tenute lontano dalle abitazioni salvo che non provi di aver introdotto nuovi metodi e speciali cautele.

Nel caso di specie la domanda della controinteressata concerneva un impianto da installarsi a poco più di 100 m dall’abitato, per cui, anche volendo ritenere illegittima la previsione dell’articolo 27 delle NTA, certamente l’area di interesse dell’impresa non era compatibile con l’articolo 216, comma secondo, di cui sopra.

L’assunto non convince.

La Sezione ritiene che, come esattamente affermato da TAR, in linea di principio non possa considerarsi legittima l’esclusione a priori per tutto il territorio comunale della possibilità di "insediamento di nuove attività classificate insalubri di prima classe dal D.M. 5 settembre 1994", in base ad una norma di pianificazione generale.

Se infatti, per ipotesi, si volesse ammettere una tale possibilità per tutti i comuni d’Italia si finirebbe, in via di fatto, per impedire la realizzazione di industrie insalubri di prima classe in tutto il territorio nazionale con gravi danni al sistema produttivo nazionale, sotto il profilo economico, occupazionale, ed anche ambientale perché impedirebbe lo sviluppo di una moderna industria (connotata cioè dalla progressiva applicazione delle migliori tecniche disponibili, c.d. BAT, peraltro attualmente in corso di aggiornamento da parte della Commissione Europea ai sensi dell’Art.13, 3 par. lett. c) e d) della Direttiva sulle Emissioni Industriali n.2010/75/EU).

In tale contesto l’art. 216 r.d. 27 luglio 1934 n. 1265, mantiene comunque intatta l’attualità in quanto:

– pone, con il secondo comma, il canone della preclusione relativa per l’insediamento di tali lavorazioni nocive all’interno degli abitati a salvaguardia e tutela delle buone condizioni di vita e di salute per la popolazione residenziale (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 07 settembre 2004, n. 5854);

– in deroga al precedente principio, il quinto comma consente tuttavia al gestore dell’impianto di dimostrare l’esclusione di qualsiasi rischio di compromissione della salute e dell’incolumità del vicinato, attraverso il ricorso a nuovi metodi produttivi o di peculiari cautele concretamente efficaci.

Ciò premesso si deve ancora annotare che l’art. 216, t.u. n. 1265 del 1934 non costituisce in realtà un limite all’attività edilizia, ma opera sul distinto versante della tutela sanitaria della popolazione.

Pertanto posto che, in linea generale, l’indicazione generale programmatica per la pianificazione urbanistica impone di allocare le industrie in aree non residenziali, per cui nell’esercizio dei propri poteri di gestione del territorio, lo strumento urbanistico comunale può escludere, in via preventiva, a tutela della salute e dell’igiene della popolazione, la realizzabilità di industrie insalubri nondimeno tale facoltà può essere esercitata solamente in determinate zone del territorio comunale di carattere prettamente storico o residenziale, ovvero in considerazione di aree che siano già in condizioni particolarmente difficili sul piano ambientale (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 26 marzo 2001, n. 1719).

In ogni caso dunque le prescrizioni limitative all’insediamento di determinate tipologie industriali in zone non possono però ricomprendere l’intero territorio (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 22 marzo 2005, n. 1190).

Ciò posto, se in molte realtà la progressiva scomparsa di aree non antropizzate rende la disposizione di non semplice applicazione pratica, nondimeno la norma implica non già un divieto assoluto di svolgere lavorazioni insalubri, ma impone la verifica caso per caso delle situazioni e delle condizioni perché esse si possano svolgano senza pregiudizio per la salute pubblica.

In conseguenza, nell’ambito della destinazione di un’area del territorio comunale a zona industriale non possono essere aprioristicamente ed astrattamente inibite particolari tipologie di insediamenti produttivi posto che una simile scelta di PRG non rientrerebbe nell’ambito della disciplina urbanistica, ma concreterebbe un illegittimo esercizio delle ben diverse funzioni di igiene pubblica da parte del Consiglio comunale, in luogo di altri soggetti istituzionalmente competenti.

Il PRG deve identificare le zone industriali nelle quali è astrattamente possibile l’insediamento di industrie insalubri di prima classe fermo restando che le sue emissioni siano autorizzabili e non siano concretamente incompatibili, sul piano del rischio di incidente rilevante, con quelli già esistenti.

Il carattere dichiaratamente insalubre dell’impianto industriale, di per sé solo, non può costituire un motivo sufficiente per emettere – in sede di compatibilità urbanistica — un parere negativo ai sensi dell’art. 7 secondo comma del cit. D.P.R. n. 203/1988, adottato senza procedere ad una istruttoria ed ad una valutazione in concreto di tutte le diverse problematiche di competenza comunale coinvolte dalla domanda, relative all’impatto territoriale per rumori e vibrazioni, fumi e vapori; ai profili paesistico e paesaggistici, alle conseguenze sul traffico, ed alle disponibilità idriche, ecc..

Il motivo è dunque infondato.

– 2.4. In conclusione l’appello 10029 del 2005 del Comune di Altopascio è infondato e deve essere respinto, facendo salvi gli ulteriori provvedimenti del Comune.

– 3.Par.. Sulla scia logica delle precedenti considerazioni deve parimenti essere disatteso l’appello alla Provincia di Lucca.

Le due rubriche di censura, per ragioni di sostanziale coincidenza argomentativa, possono essere esaminate congiuntamente.

– 3.1. Con la prima rubrica la Provincia lamenta l’error in iudicando per la violazione del d.p.r. n. 213/1988 e l’illogicità della decisione. Secondo il Tar, la Provincia non avrebbe potuto fondare il diniego esclusivamente sul parere contrario alla realizzazione dell’impianto emesso dal Comune, per cui sarebbe inesatta l’affermazione del TAR per cui la Provincia non poteva emanare il suddetto diniego di autorizzazione, sulla scorta del solo parere urbanistico negativo del comune, senza fare uso dei poteri tipici riconosciuti dell’articolo 7 del d.p.r. n.213/1988, di verificare la compatibilità dell’impianto sotto l’aspetto delle emissioni atmosferiche. Per l’appellante il provvedimento della Provincia ai sensi dell’articolo 6, non poteva prescindere dal parere negativo urbanistico edilizia del Comune, che è l’ente istituzionalmente competente in materia di pianificazione e governo del territorio: in sostanza mentre un parere comunale favorevole non potrebbe vincolare la Provincia al rilascio delle autorizzazioni alle emissioni atmosferiche in relazione all’adeguatezza delle misure previste per la prevenzione inquinamento e per il rispetto dei limiti di emissione consentiti, la valutazione negativa urbanistico edilizia escluderebbe a priori la possibilità di realizzare l’impianto. L’articolo 27 della NTA approvato in variante, che tra l’altro non sarebbe mai stata impugnata dalla società appellata, avrebbe impedito il rilascio dell’autorizzazione per cui la Provincia non poteva sovrapporre le proprie valutazioni urbanistiche alle competenze comunali in quanto il parere comunale previsto dall’articolo 7 formalmente facoltativo, sarebbe stato sostanzialmente vincolante.

– 3.2. Con una seconda rubrica si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui si afferma che il parere comunale di non compatibilità urbanistica non avrebbe dovuto impedire alla Provincia di effettuare le valutazioni riservatele in materia di emissioni atmosferiche.

Tale assunto comporterebbe onerosissime conseguenze per l’attività degli uffici, in quanto obbligherebbe l’amministrazione a condurre istruttorie estremamente complicate, difficili e dispendiose in termini di tempi e di risorse impiegate per la valutazione dei progetti incompatibili sotto il profilo edilizio. Il parere urbanistico sarebbe dunque un prerequisito sostanziale che impedirebbe a priori anche l’astratta possibilità di un’autorizzazione dell’impianto, per cui l’affermazione della sentenza sarebbe contraria al principio di economicità dell’azione amministrativa ricordato anche dalla L. n. 241/1990.

L’assunto è destituito di ogni fondamento giuridico.

Si deve rilevare che l "art. 6 del D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, concernente norme in materia di qualità dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali:

– al primo comma, prevedeva che la domanda di autorizzazione per un impianto industriale andava inoltrata all’Autorità competente (nel caso della Toscana la Regione delegata) "….corredata dal progetto nel quale sono comunque indicati il ciclo produttivo, le tecnologie adottate per prevenire l’inquinamento, la quantità e la qualità delle emissioni, nonché il termine per la messa a regime degli impianti ".

– al secondo comma, la norma di preoccupava di precisare che "copia della domanda di cui al comma 1 deve essere trasmessa al Ministro dell’ambiente, nonché allegata alla domanda di concessione edilizia rivolta al sindaco ".

La predetta disciplina (peraltro definitivamente abrogata dall’articolo 21 del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 155, fatte salve solo le disposizioni di cui il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152) strutturava dunque due procedimenti certamente paralleli, ma in realtà sostanzialmente disgiunti ed autonomi tra loro.

Il procedimento di autorizzazione alle emissioni in atmosfera concerne profili del tutto differenti ed indipendenti dalle problematiche di tipo ediliziourbanistico, che attengono alla specifica valutazione dei metodi e delle cautele prospettati nell’istanza ed implica la verifica, da parte dall’Autorità preposta all’autorizzazione delle emissioni, della certezza della nonnocività dell’impianto, con riferimento ai limiti di emissione fissati dalle migliori tecnologie di settore disponibili (c.d. BREF).

Per questo, contrariamente a quanto afferma la Provincia con il suo primo motivo, nello schema dell’abrogato D.P.R., la richiesta di concessione edilizia del gestore non ne costituiva affatto un prius necessario proprio perché è procedimentalmente disgiunta dall’autorizzazione alle emissioni.

Il Comune interveniva sia all’emissione del parere previsto dall’art. 7 secondo comma del cit. D.P.R. n. 203, concernente tutti i profili di sua competenza coinvolti dall’impianto (sanitari, circolazione, paesaggistici, idrici, ed anche urbanistico, ecc.); e sia a definire l’istanza del privato di concessione edilizia.

Ma, contrariamente a quanto erroneamente sostenuto con il secondo motivo, il parere comunale di noncompatibilità urbanistica non legittima affatto la Provincia ad sospendere automaticamente l’effettuazioni delle specifiche valutazioni riservatele in materia di emissioni atmosferiche.

Di nessun rilievo giuridico avevano dunque i lamentati oneri per gli uffici della Provincia delegata.

La valutazione dei metodi e delle cautele prospettati dal gestore da parte dell’amministrazione competente all’emissione deve essere svolta analizzando le informazioni fornite dal gestore sulle strutture e sui cicli produttivi per verificare la nonnocività dell’industria, facendo salvi ed a prescindere dagli aspetti urbanistici.

L’autorizzazione amministrativa per l’esercizio di un’industria classificata insalubre può infatti essere concessa solo a condizione che il suo esercizio non superi i limiti della più stretta tollerabilità prescritti nell’autorizzazione medesima, e che siano adottate tutte le misure, secondo la specificità delle lavorazioni, per evitare esalazioni "moleste"(cfr. Consiglio Stato, sez. V, 15 febbraio 2001, n. 766), non potendo del tutto essere esclusa una richiesta al gestore di una nuova e differente localizzazione.

In ogni caso, senza un esame complessivo dell’istanza e senza l’accertamento dell’impossibilità di insediamento senza danni per la salute degli insediamenti limitrofi, l’ente non può vietare l’allocazione sulla sola base della norma di Piano regolatore.

E’ dunque illegittimo il diniego di ubicazione di un’industria insalubre di prima classe senza che l’autorità competente all’autorizzazione dell’emissione abbia previamente proceduto alla specifica istruttoria ed abbia valutato adeguatamente, per gli specifici profili ambientali, l’istanza dell’impresa, anche al fine di prospettare eventuali proposte per escludere la pericolosità dell’impianto e per eliminare le possibili immissioni nocive delle relative lavorazioni per gli abitanti.

In definitiva entrambi i motivi sono dunque infondati e vanno respinti. facendo salvi gli ulteriori provvedimenti della Provincia.

– 4.Par.. In conclusione entrambi gli appelli vanno respinti.

Le spese del doppio grado possono, per entrambi i gravami, essere tuttavia integralmente compensate tra le parti, in relazione alla complessità delle questioni dedotte.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:

– 1. Dispone, ai sensi dell’art. 70 del c.p.a. la riunione dei gravami n. 10029 del 2005 e n. 10435 del 2005.

– 2. Respinge entrambi gli appelli nei sensi di cui in motivazione,

– 3. Spese compensate per entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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