Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza 9.12.2010, il tribunale di Bologna, investito ex art. 309 c.p.p., rigettava la richiesta di riesame avanzata da G.G., sottoposto a misura di custodia cautelare in carcere per i reato di incendio, violazione di domicilio e minaccia grave, in danno della ex convivente O.A., nonchè per resistenza a p.u..
Il compendio probatorio veniva ritenuto integrato da: 1) dichiarazioni della persona offesa di essere stata seriamente minacciata dal prevenuto nella notte tra il (OMISSIS), con la frase "prima o poi ti rovino"; 2) testimonianza dell’amica della O., B.A., che nell’occasione venne presa per un braccio dall’imputato; 3) accertato incendio presso la casa della O. nelle ore successive a detto episodio, ad opera di soggetto che si era introdotto clandestinamente all’interno dell’alloggio, arrampicandosi su per il pluviale; 4) rinvenimento dell’imputato poche ore dopo, presso la sua abitazione nell’atto di dormire vestito su un divano; 5) rilevamento di tracce di ossido di rame sia sui pantaloni che sulle giacca indossati dal medesimo la sera del fatto; 6) accertamento di un vistoso arrossamento riportato su entrambe le braccia dal prevenuto; 7) sequestro di materiale incendiario preso l’imputato quale diavolina, accendino e tanica di benzina; 8) accertato tentativo esperito dall’imputato, nella notte in questione di mettersi in contatto con la donna, alle ore 5,27.
Venivano ritenute insussistenti cause di giustificazione, neppure putative, in relazione al reato di resistenza opposta dall’indagato, al momento dei rilievi fotografici, poichè secondo il Tribunale non aveva alcun diritto in detta sede il prevenuto di farsi assistere da un difensore, nè potrebbe essere giustificata l’ignoranza di norme processuali integrative del precetto penale.
Venivano ritenute sussistenti ragioni di ordine cautelare, sotto il profilo della prevenzione sociale, avendo rappresentato la parte offesa ripetuti atti di minaccia e violazioni di domicilio subiti nel tempo; non solo, ma l’azione incendiaria veniva ritenuta ad alto tasso di pericolosità, la tendenza all’abuso di alcool e l’incapacità di autocontrollo davano ragione di un giudizio negativo sulla personalità dell’indagato, già gravato da precedenti penali e che registrava numerose pendenze. Unica misura adeguata veniva ritenuta quella più rigorosa, considerata la assoluta insufficienza, sotto il profilo preventivo della misura della custodia domestica.
2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione la difesa dell’indagato, che ha dedotto e sviluppato quattro motivi di ricorso.
2.1 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in relazione ai reati di incendio e di violazione di domicilio. Secondo la difesa sarebbe stato omesso di trattare i rilievi critici evidenziati sul giudizio di credibilità intrinseca della persona offesa, posto che la stessa avrebbe offerto indicazioni rivelatesi non compatibili con altre emergenze, con il che il vaglio di credibilità non sarebbe stato serrato come si impone. Inoltre la difesa obietta che è impossibile rilevare e classificare la presenza di macchie sui pantaloni dell’indagato, in base a rilievi fotografici che non consentono detta percezione ed in assenza di perizia sul punto. Le tracce biancastre rinvenute sulla giacca sarebbero incompatibili con la dinamica dello sfregamento, in ragione delle caratteristiche morfologiche del pluviale, ma sul punto il tribunale ha concluso sull’infondatezza del rilievo, atteso che le immagini in atti non sono policromatiche. Vien quindi messa in discussione l’attitudine dimostrativa degli indizi e contestata la mancanza di motivazione specifica, avendo il tribunale fatto ricorso a postulati fallaci, in base a dettami di regole di comune conoscenza empirica, contrastanti con la logica. Tanto più a fronte della differente tipologia cromatica delle macchie rinvenute sugli indumenti sequestrati (rosse sui pantaloni, bianche sulla giacca), il che denota tutta l’incongruenza del dato empirico con l’ipotesi accusatoria di produzione delle macchie in un’azione di ascesa singola ed unitaria e del mancato deterioramento della giacca nell’azione di arrampicamento lungo il pluviale.
2.2 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine all’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, quanto al reato di cui all’art. 337 c.p.: l’ipotesi delittuosa non sussisterebbe, in primis perchè manca l’elemento psicologico ed in secundis perchè sarebbe configurabile la causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di difesa. Il tribunale avrebbe omesso di valutare la peculiare condizione soggettiva in cui si trovava il prevenuto che non era compatibile con i requisiti costitutivi di consapevolezza e volontà della condotta antigiuridica richiesti dall’art. 337 c.p..
2.3 violazione dell’art. 291 c.p.p., atteso che la richiesta di misura cautelare avanzata dal pm non contemplava tra i reati giustificativi della cattura anche quello in oggetto, con il che la misura sarebbe stata emessa senza domanda.
2.4 mancanza di motivazione sui criteri che condussero alla scelta della misura cautelare più rigorosa: sarebbe stato omesso il vaglio sui rilievi difensivi a supporto della richiesta di sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari. Non sarebbe stata data adeguata risposta alla eccepita inosservanza del principio del minore sacrificio necessario per la libertà personale.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile, a causa della genericità dei motivi che riformulano censure già avanzate in sede di riesame, su cui è intervenuta corretta ed esauriente motivazione. Il tessuto motivazionale conta, come è stato detto, su una solida trama costituita dalla testimonianza della persona offesa, confortata dal contributo rappresentativo di B.A. – quanto ad un’attività di persecuzione ad opera del G. a danno della O. e di pesanti minacce a suo danno- , nonchè da taluni dati oggettivi, quali le tracce di arrossamento sulle braccia del prevenuto che lo stesso cercò di nascondere, tracce di sfregamento sui suoi indumenti e dall’accertata disponibilità di materiale incendiario. Elementi questi che fungono da solida base inferenziale che ha consentito di ritenere con alto grado di probabilità il G. quale autore dell’azione incendiaria. Detta azione del resto rappresentava l’epilogo di una serie di interventi vessatori a danno della donna e la concreta attuazione di pesanti minacce profferite poche ore prima ed udite dalla testimone. Non poteva portare ad opinare diversamente il fatto che allo stato siano carenti gli accertamenti di natura tecnico-scientifica sulle tracce rinvenute e sulla loro cromaticità, la cui attuazione è in corso. Neppure le sbavature nel racconto della vittima potevano essere in detta sede più di tanto valorizzate come vorrebbe la difesa, considerato che trattasi di elementi correttamente valutati dal giudice a quo come non dotati di incidenza valutativa in grado di scompensare il quadro indiziario suddetto, tanto più che è certo che l’indagato cercò di mettersi in contatto con la donna per via telefonica alle ore 5,27, dato questo che comprova l’impulso ossessivo che spingeva l’indagato verso la sua vittima. Ancora del tutto plausibilmente sono stati ritenuti non decisivi i contributi testimoniali dei familiari dell’indagato, connotati da imprecisione sui tempi e di per sè non idonei ad escludere la partecipazione al fatto a lui contestato, poichè diversamente opinando si dovrebbe ipotizzare – come correttamente rilevato dal tribunale – che dopo le pesanti minacce lanciate dal G. alla donna, sia intervenuto un terzo soggetto animato a sua volta da acredine nei confronti della stessa che agì a suo danno senza soluzione di continuità. Pertanto la motivazione dell’ordinanza impugnata si sottrae alle pesanti critiche di carenza ed illogicità, che sono state avanzate.
Anche i motivi sub 2 e 3 sono del tutto inconsistenti e ripetitivi di doglianze già affrontate con lucidità dal tribunale, atteso che la misura cautelare venne emessa anche per il reato di resistenza, poichè in tale senso fu l’istanza formulata dal pm, con il che nessuna violazione del principio della domanda ebbe a verificarsi.
Inoltre, è stato correttamente messo in evidenza che la resistenza venne opposta dall’indagato del tutto consapevolmente e strumentalmente, onde evitare che venisse rilevata traccia sensibile dell’arrossamento sulle braccia, traccia con attitudine dimostrativa dell’intervenuta arrampicata lungo il pluviale, ragione per cui il tribunale ha ritenuto non aderente alle emergenze disponibili la rappresentazione della difesa, secondo cui l’indagato era convinto di aver diritto di farsi assistere da un difensore per le attività di cui all’art. 354 c.p.p..
Quanto infine al motivo sub 4, relativo alle esigenze cautelari, il tribunale ha fornito adeguata motivazione facendo espresso richiamo alla gravità della condotta collocantesi a conclusione di una sequenza di atti vessatori a danno della vittima, alla difficoltà manifestata dal prevenuto all’autocontrollo, alla spregiudicatezza manifestata, alla conclamata tendenza di abusare di sostanze alcooliche, alla riottosità manifestata nei confronti dei tutori dell’ordine. Quadro che ha condotto i giudice della cautela a ritenere con fondatezza che ogni altra misura di minore rigore non si profila adeguata a fronteggiare le stringenti esigenze di prevenzione sociale, alla luce del crescendo di azioni poste in essere dal prevenuto. E’ stato dato atto che per quanto la misura sia greve, si profila allo stato come l’unica in grado di impedire la reiterazione di condotte delittuose a danno della persona offesa, le cui ragioni allo stato debbono esser fatte prevalere sulle esigenze dell’indagato. Nessun deficit motivazionale è dunque apprezzabile neppure sotto questo profilo.
Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle Ammende.
Dispone trasmettersi a cura della Cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto Penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.