Cass. pen., sez. II 31-03-2008 (13-03-2008), n. 13505 Reato di turbata libertà degli incanti – Concorso formale – Ammissibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
1.1. Con ordinanza in data 2-11-2007, il Tribunale di Milano, in sede di riesame, confermava l’ordinanza del G.I.P. di Lecco, applicativa della misura della custodia in carcere nei confronti di G. C., in relazione a diversi reati di corruzione, turbativa d’asta, nonchè estorsione, compiuti nella qualità di cancelliere in servizio presso la sezione fallimentare del Tribunale e quindi, quale pubblico ufficiale e, precisamente: capo 2) artt. 81, 110 e 319 c.p.:
per avere ricevuto, a titolo di corruzione, da B.F. (già giudicato separatamente) un telefono cellulare e, comunque, per avere accettato la promessa di danaro e altre utilità, per compiere atti contrari al suo ufficio (in particolare nell’aggiudicazione di un appartamento alla figlia B.G. turbando la gara ovvero fornendogli altre informazioni "privilegiate"); capo 3) art. 61 c.p., n. 9, artt. 81, 110, 629 c.p., per avere costretto R. M. – indicandole l’avv. CE.Wa. per recuperare all’asta l’abitazione di famiglia e prospettandole che, in caso contrario, avrebbe perso l’appartamento e che alla prossima asta avrebbero partecipato dei "falchi" – a versare la somma di Euro 10.000,00, materialmente consegnata al CE., in concorso con il predetto avv. CE. e con M.G., imprenditore presentatosi come interessato all’immobile; capo 4), artt. 81 e 319 c.p. per avere ricevuto, a titolo di corruzione, danaro, beni o altra utilità o, comunque, per avere accettato la relativa promessa dall’imprenditore C.P. per compiere atti contrari al suo ufficio e, in particolare, per sistematicamente favorire il suddetto imprenditore nelle vendite giudiziarie, sia fornendogli in anticipo notizie "privilegiate", sia dissuadendo altri soggetti dal partecipare alle aste di interesse del C., sia ancora agevolando il medesimo imprenditore sulle modalità di presentazione delle offerte, segnatamente negli episodi indicati nel capo di incolpazione; capo 6) artt. 81, 110 e 353 c.p., per avere, in concorso con l’imprenditore C.P., turbato la libertà di pubblici incanti precisati nel capo di incolpazione; capo 8) art. 319 c.p., per avere ricevuto da COLOMBO Pietro, a titolo di tangente, la somma di Euro 10.000,00, costituente quota parte di quella di Euro 15.000,00, promessa e consegnata al C. da MU.Vi. e T.E. per compiere atti contrari al proprio ufficio al fine di favorire all’asta il MU. nella vendita di un immobile della fallita soc. Moviter, aggiudicato alla Edil Nord (società rappresentata dal figlio del MU.) ad un prezzo vantaggiosissimo dopo due rilanci minimi concordati e fatti dal C.; capo 10) artt. 110 e 353 c.p., per avere, in concorso con MU.Vi. e C.P., turbato la libertà nel pubblico incanto, in particolare in occasione dell’asta dell’immobile appartenente alla soc. Moviter; capo 16) art. 319 c.p., per avere accettato la promessa e ricevuto da M.M., M. G., N.C.A. e P.A. e altri in via di identificazione, a titolo di corruzione, denaro, beni o altra utilità per compiere atti contrari al proprio ufficio, favorendo i suddetti imprenditori e alterando la libera concorrenza dell’incanto sia fornendogli in anticipo notizie "privilegiate", sia dissuadendo altri soggetti dal partecipare alle aste di interesse del C., sia ancora agevolando i medesimi imprenditori sulle modalità di presentazione delle offerte.
Il Tribunale – precisato che eventuali ragioni di astensione da parte del G.I.P., dedotte dal ricorrente, non avrebbero comportato la nullità del provvedimento – rigettava l’eccezione di nullità ex art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c-bis e comma 2 ter; quindi, richiamata la motivazione del provvedimento genetico e rammentati i principi giurisprudenziali in materia di dichiarazioni delle persone offese e degli indagati in procedimento connesso, evidenziava che a carico dell’odierno ricorrente figuravano convergenti dichiarazioni auto ed etero-accusatorie, che avevano trovato riscontro sia nelle dichiarazioni delle persone offese e di testimoni indifferenti, sia nella documentazione rinvenuta a seguito delle perquisizioni; in particolare, esaminava i vari capi di imputazione, avuto riguardo alle deduzioni dell’impugnante, rinvenendo per ogni contestazione il requisito della gravità indiziaria. Individuava, infine, le esigenze cautelari, sia nel pericolo di inquinamento probatorio, che in quello di reiterazione del reato.
1.2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione G. C., chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato. Il ricorrente – premesse alcune considerazioni ad colorandum sulla pretesa mancanza di "serenità" del G.I.P. e sull’esigenza dell’astensione – formula i seguenti motivi.
– Nullità dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere ai sensi dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c-bis e comma 2 ter ed inosservanza da parte del Tribunale delle norme processuali stabilite a pena di nullità ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c). – Con il primo motivo si reitera l’eccezione di nullità dell’ordinanza genetica per omessa motivazione sugli elementi "favorevoli" alla difesa, il cui esame risulterebbe limitato dal G.I.P. ad "una sola pagina" e, per il resto, risolto in maniera acritica, addirittura riportando i contenuti di altra ordinanza emessa in tema di sequestro dal Tribunale di Lecco.
– Insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 c.p.p., comma 1 e nullità dell’ordinanza impugnata ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) – mancata applicazione della legge penale – carenza, manifesta illogicità della motivazione e travisamento del fatto. – Con il secondo motivo si lamenta che le deposizioni delle persone offese non siano state sottoposte a rigoroso riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva; in particolare si deduce:
quanto al capo 2) l’illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) per la carenza di riscontri individualizzati delle dichiarazione del CO., nonchè per la mancanza di qualsiasi indicazione nel capo di imputazione della contrarietà della condotta del G. ai doveri di ufficio; si deduce, altresì, che, nelle more, sarebbe intervenuta l’assoluzione del corruttore, il che conforterebbe la tesi difensiva in ordine all’inattendibilità dei dichiaranti;
quanto al capo 3) il travisamento del fatto: ciò in quanto il Tribunale avrebbe riconosciuto illogicamente una "patente di credibilità assoluta" alle dichiarazioni della persona offesa R.M., senza considerare che la pregressa conoscenza da parte di quest’ultima dell’avv. CE. avrebbe dovuto determinare "qualche ragionevole dubbio" sulla credibilità del narrato; secondo l’assunto difensivo l’indagato non avrebbe dato alcun consiglio illecito e, al più, si sarebbe limitato a evidenziare una situazione obiettiva; l’invito (e non la minaccia) sarebbe scaturito dalla maturata esperienza dell’indagato che lasciavano prevedere una futura possibile vendita dell’immobile all’asta; non sarebbe, dunque ravvisabile il concorso del G. e la fattispecie, attesa l’iniziativa della R.M., integrerebbe l’ipotesi della turbativa d’asta ex art. 353 c.p.. quanto ai capi 4) e 6) l’assoluta carenza di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per non avere dato risposta alle argomentazioni svolte dalla difesa nella memoria del 2-11-2007, con cui si deduceva l’inverosimiglianza delle dichiarazioni del C. e del D.N.; vengono, dunque, ritrascritti i contenuti della memoria e in particolare si deduce che mancherebbero i riscontri estrinseci individualizzanti in ordine ai fatti di causa, non potendo essere considerati tali le dichiarazioni etero-accusatorie del D.N.; inoltre, almeno in due casi, il G. non avrebbe avuto alcuna possibilità di ingerenza, trattandosi di vendita a trattativa privata, affidata a professionisti esterni;
quanto ai capi 8) e 10) l’illogicità della motivazione e travisamento del fatto ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per avere rinvenuto l’elemento di riscontro nelle dichiarazioni del teste A., che, invece, costituirebbero la prova della correttezza del comportamento del prevenuto;
quanto al capo 16) l’illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e). per aver posto a sostegno della decisione unicamente le dichiarazioni delle testimoni Ga. e Po., senza pronunciarsi sui rilevati profili di assenza di riscontri estrinseci e sulla non dimostrata contrarietà degli atti che sarebbero stati posti in essere dal G..
Da ultimo si denuncia la carenza di motivazione anche sulle esigenze cautelari e si deduce l’impossibilità della recidiva per essere stato il prevenuto sospeso dall’ufficio.
2.1. Relativamente al primo motivo di ricorso si osserva, in conformità al costante orientamento di questa S.C., che la disposizione di cui all’art. 292 c.p.p., comma 2 ter, (in base alla quale l’ordinanza cautelare deve contenere, a pena di nullità, anche la valutazione degli elementi a favore dell’imputato) non impone al giudice, in sede di applicazione della misura, l’indicazione di qualsiasi elemento che sia ritenuto favorevole dal difensore, nè tantomeno gli prescrive, in sede di riesame della cautela, la confutazione, punto per punto, di qualsivoglia argomento difensivo di cui appaia manifesta l’irrilevanza o la non pertinenza, restando circoscritto l’obbligo motivazionale alla disamina delle specifiche allegazioni difensive contrastanti obbiettivamente con gli elementi accusatori (Cass. sez. 6, 6 luglio 2004, n, 35675). Invero nella nozione di "elementi di favore", di cui alla norma indicata, rientrano solo gli elementi di natura oggettiva e di fatto aventi rilievo concludente, mentre ne restano escluse le mere posizioni difensive negatone, le prospettazioni di tesi alternative sugli elementi indiziari e gli assunti assertori e defatigatori; giacchè questi ultimi elementi restano assorbiti nell’apprezzamento complessivo che il giudice de liberiate opera quando qualifica un quadro indiziario come grave e in base a tale valutazione applica la misura cautelare (explurimis: Cass. sez. 4, 10 giugno 2003 n. 34911).
Ciò posto, nel caso di specie, il motivo di ricorso si rivela generico e, comunque, manifestamente infondato. Invero il Tribunale – dopo avere precisato che "gli elementi favorevoli" dedotti dal ricorrente attenevano alla situazione patrimoniale del G. (riguardando atti che erano stati depositati in relazione alla misura cautelare reale) – ha rilevato che il G.I.P. aveva trattato gli argomenti svolti dalla difesa "non solo a pagina 117 e, ciò sarebbe già di per se sufficiente a respingere l’eccezione di nullità per mancanza assoluta di motivazione, ma anche, sostanzialmente, nel resto dell’ordinanza e in particolare ogni qualvolta menziona la situazione patrimoniale del G., citando passi dell’ordinanza con cui il Tribunale del riesame di Lecco ha confermato il decreto di sequestro preventivo".
E’ il caso di osservare che la notazione, per così dire di ordine "quantitativo", svolta dal ricorrente (per avere il G.I.P. dedicato "una sola pagina" agli argomenti difensivi), non spiega per quale motivo siffatta motivazione debba considerarsi meramente apparente (come tale equiparabile all’omessa motivazione); per altro verso proprio la circostanza che una motivazione sul punto vi sia stata (precisamente individuata dal Tribunale a pag. 117 dell’ordinanza genetica), esclude che il G.I.P. si sia appiattito sulle considerazione espresse dall’organo del riesame della cautela reale.
2.2. Per quanto riguarda le doglianze afferenti alla ritenuta gravità indiziaria dei singoli reati contestati, va premesso che, in materia di misure cautelari personali, allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di legittimità spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non è possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (Cass. pen., Sez. 2, 17/12/2004, n. 3240).
Va, altresì, considerato che per l’emissione di una misura cautelare è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli. Ne consegue che allorquando il convincimento della gravità indiziaria si fonda su un dato, costituito dalle dichiarazioni della persona offesa, la verifica del Giudice (soprattutto in sede cautelare) non può andare oltre il vaglio di attendibilità delle dichiarazioni stesse. E’ qui applicabile il costante insegnamento di questa Corte secondo cui le dichiarazioni della parte offesa, in tema di valutazione della prova, possono essere poste a base del convincimento del giudice anche se rappresentano l’unica fonte di accertamento del fatto e manchino di riscontri esterni. A tali dichiarazioni, invero, non si applicano le regole di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 che riguardano le propalazioni dei coimputati del medesimo reato o di imputati in procedimenti connessi o di persone imputate di un reato collegato e che presuppongono l’esistenza di altri elementi di prova unitamente ai quali le dichiarazioni devono essere valutate per verificarne l’attendibilità.
Qui, a ben vedere, il Tribunale ha rispettato i suddetti principi, sottoponendo ad un adeguato vaglio di credibilità le deposizioni delle persone offese (plurime e tutte ritenute convergenti), estendendo la valutazione anche ad altri elementi (in primo luogo, le altre deposizioni testimoniali) che, pur se giuridicamente non necessari (come si è accennato la deposizione della persona offesa non necessita di riscontri esterni), è stato ritenuto corroborassero ab externo il contenuto delle propalazioni accusatone. E’ il caso di osservare che la particolare cautela suggerita dalla giurisprudenza di questa Corte nell’apprezzamento della dichiarazioni della parte offesa muove dalla considerazione che la stessa è, normalmente, portatrice di contrapposti interessi, laddove il Tribunale ha evidenziato come, nel caso specifico, non vi sia questa preoccupazione: ciò per le particolari modalità di "emersione" delle dichiarazioni delle parti offese, che sono state sollecitate dagli inquirenti, donde il fondato convincimento che le stesse non siano motivate dalla finalità di conseguire benefici economici.
Per quanto attiene, poi, alle dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie di indagati per il medesimo o per reati connessi è noto che tale tipo di dichiarazione, in considerazione della pluralità di motivi che possono muovere il collaborante, per valere come prova o anche come indizio, richiede una serie di garanzie che si compendiano nel contenuto normativo dell’art. 292 c.p.p., comma 3 richiamato dall’art. 273 c.p.p., comma 1 bis. Resta fermo però che la relativa valutazione, avvenendo nel contesto incidentale del procedimento de liberiate e, quindi, allo stato degli atti, cioè sulla base di materiale conoscitivo ancora in itinere, deve essere orientata ad acquisire non la certezza, ma la elevata probabilità di colpevolezza del chiamato. Si rammenta che l’elemento di riscontro individualizzante deve confermare non necessariamente in via diretta la condotta illecita ascritta all’accusato, ma le dichiarazioni del propalante e quindi la loro attendibilità, nella parte di riferimento. Peraltro, ai fini cautelari, il dato esterno di riscontro, pur dovendo attingere la persona del chiamato, può essere meno consistente di quello richiesto per il giudizio di merito, proprio perchè, come si è innanzi osservato, diversa è la prospettiva in cui si muovono le due decisioni e diversi sono gli obiettivi rispettivamente perseguiti (Cass. pen., Sez. Unite, 30/05/2006, n. 36267 in motivazione).
E poichè, nel caso all’esame, il Tribunale ha verificato la coerenza intrinseca, almeno nelle linee essenziali, delle dichiarazioni rese da indagati in procedimenti connessi e indicato la presenza di positivi riscontri esterni (nelle dichiarazioni di testimoni estranei ovvero, anche nell’esame della documentazione attinente ai singoli fatti), il sindacato di questa Corte deve arrestarsi alla positiva verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento degli indizi gravi di colpevolezza prescritti dell’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.
2.3. Passando all’esame delle contestazioni svolte in maniera specifica con riguardo ai singoli capi di imputazione, si osserva quanto segue.
Capo 2): La descrizione del fatto è sufficientemente esposta nel capo di incolpazione che individua le condotte assunte in violazione del dovere di ufficio (in particolare: "le informazioni privilegiate", la turbativa della libera concorrenza in sede d’asta), circoscrivendo, altresì, ad uno specifico episodio il fatto contestato.
Orbene il Tribunale non si è limitato a ribadire i contenuti dell’ordinanza genetica, ma ha dato conto con articolata motivazione delle ragioni della propria decisione, basata sull’esame dettagliato delle risultanze investigative, in armonia con i criteri che nel procedimento de libertate devono presiedere alla valutazione della gravità indiziaria, segnatamente evidenziando: a) la marginalità di talune incongruenze rilevate dalla difesa nel narrato del CO., tanto più che si trattava di un episodio che non riguardava direttamente il collaborante, che si era limitato ad assistervi; b) il riscontro delle dichiarazioni del collaborante in quelle rese dal D.N.; c) il tenore della intercettazione ambientale in carcere tra il B. e il figlio F. (apprezzata per il significativo riferimento a "quello della casa" e all’altra figlia G.).
Orbene non è consentito a questa Corte di sovrapporre la propria valutazione a quella operata dai Giudici del merito; in particolare va esclusa, pur dopo la modifica apportata dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 al testo dell’art. 606 c.p.p., qualsivoglia rilettura filologica delle concrete acquisizioni processuali, la cui disamina valutativa è esclusivamente riservata al giudice di merito.
E’ appena il caso di osservare che l’esito dell’altro giudizio nei confronti del soggetto indicato come corruttore costituisce una mera affermazione difensiva ed è, comunque, indifferente ai fini della valutazione, che qui rileva, della originaria legittimità della cautela, costituendo i fatti sopravvenuti (se del caso) motivo di revoca.
Capo 3): Il delitto è configurato in danno di R.M. (debitrice esecutata insieme alla madre Ri.Di. e ai fratelli R.R., Ri.Ma. e R.I.), la quale, nell’indicata qualità, non avrebbe potuto partecipare all’asta a norma dell’art. 571 c.p.p. e alla quale, con la minaccia della partecipazione all’asta di "falchi" (minaccia, espressa in maniera concreta dal concorrente M.G. con una preventiva visita nell’immobile), viene estorta la somma di Euro 10.000,00, somma consegnata all’avv. CE. sia pure al fine ultimo di alterare l’asta.
Orbene il Tribunale non ha affatto riconosciuto una "patente di credibilità assoluta" alla parte offesa R.M., ma, al contrario, ha sottoposto le relative dichiarazioni ad un prudente vaglio, evidenziando come le stesse non solo non risultavano strumentali al conseguimento di benefici economici, ma erano, altresì, riscontrate dalle dichiarazioni di altri testimoni ( R.I. e T.M.A.) e del coindagato D.N., nonchè dall’esame degli atti relativi all’asta (da cui risulta la partecipazione all’asta del M., esattamente nei termini rappresentati dal CE. alla parte offesa, nonchè l’incongruo rilancio di poco più di mille euro da parte dello stesso M. e la successiva desistenza dall’asta, giustificabili solo nell’ottica dell’ipotesi accusatoria formulata). Gli elementi emersi a carico del prevenuto, per avere creato le condizioni favorevoli all’estorsione e, in specie, la sintonia del suo comportamento con quello degli altri soggetti individuati come concorrenti nel reato (la cautela e l’omertà con cui il G. si muove; l’analoga condotta del concorrente CE., che evoca anch’egli "i falchi" e si raccomanda di consegnare danaro "non segnato"; la visita del M., che smuove ogni resistenza della vittima, concretando il patentato pericolo della presenza dei "falchi"; la partecipazione all’asta del medesimo M., esattamente nei termini rappresentati dal CE. alla parte offesa, nonchè l’incongruo rilancio di poco più di mille euro da parte dello stesso, per poi desistere dall’asta) risultano collegati in termini logici e consequenziali, idonei a configurare, allo stato, una seria piattaforma indiziaria, insuscettibile di essere elisa dalle assertive deduzioni del ricorrente o, comunque, di essere "rivista" in questa sede. In particolare la circostanza che la R.M. conoscesse già l’avv. CE. non incide sulla tenuta logica del ragionamento, risultando, anzi, espressamente considerata dal Tribunale (pag. 13).
Per quanto attiene alla qualificazione giuridica della condotta va precisato che il Collegio condivide l’indirizzo, decisamente prevalente nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui i delitti di estorsione e di turbata libertà degli incanti possono concorrere formalmente nel caso in cui la condotta materiale e l’elemento soggettivo abbiano in concreto realizzato entrambi i fatti puniti dagli artt. 353 e 629 cod. pen., dal momento che l’estorsione si caratterizza per una coartazione dell’altrui volontà con lo specifico fine del conseguimento di un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, ed il delitto di turbata libertà degli incanti si connota invece per il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di impedire, turbare la gara o allontanare gli offerenti, e per essere reato di pericolo che si consuma nel momento e nel luogo in cui si è impedita o turbata la gara, senza che occorra nè la produzione di un danno nè il conseguimento di un profitto. (Cass. pen., Sez. 2, 26/01/2006, n. 4925; Cass. pen., Sez. 2, 25/09/2003, n. 45625). La condotta che realizzi un’estorsione non può, dunque, in nessun caso ritenersi "assorbita" nel reato di turbativa d’asta, nè quest’ultimo può ritenersi consumato nel primo, perchè diversi sono "i perimetri" di offensività che le due previsioni (diverse sia per quanto attiene all’elemento soggettivo, sia per quanto riguardo l’evento) mirano a delineare.
E’ stato, altresì, osservato, da questa stessa sezione, che il delitto di turbata libertà degli incanti concorre materialmente con il delitto di tentata estorsione allorchè le minacce dirette a limitare la libertà di partecipazione alla gara siano rivolte ad un soggetto diverso dal destinatario delle minacce in cui si sostanzia il delitto di tentata estorsione (sentenza 28-10-2005, n. 46200).
Tanto premesso, il Collegio rileva che la qualificazione giuridica della condotta contestata nel caso all’esame è conforme ai principi indicati. Invero ciò che connota la fattispecie è l’elemento intenzionale della condotta minacciosa (il che esclude anche la configurabilità del diverso reato di cui all’art. 354 c.p., che presuppone un accordo fraudolento) consistita nel rappresentare di essere in condizioni di impedire il successo di qualsiasi offerta diversa da quella che, per il tramite del CE., avrebbe consentito alla R.M. (la quale non avrebbe potuto partecipare all’asta) di conservare la disponibilità dell’immobile staggito; il fine ultimo perseguito è non tanto (o non solo) quello di turbare la gara pubblica, quanto quello di coartare la volontà della R.M., indotta a versare la somma indicata in forza di tale minaccia. Inoltre la minaccia si è estrinsecata in una condotta che non si è limitata a rappresentare una situazione oggettiva estranea all’influenza dei soggetti agenti, giacchè – per come è ricostruita la vicenda in termini qui non sindacabili – i protagonisti sono gli indagati, dimostratisi in grado di rendere concreto il pericolo minacciato e, cioè, di vanificare l’intento dei R. di riacquistare l’immobile, ancorchè non consentito dalla legge.
Capi 4) e 6). Le deduzioni formulate sul punto costituiscono reiterazione delle difese di merito, peraltro congruamente disattese dai Giudici del riesame, oltre che censure in punto di fatto dell’ordinanza impugnata, non consentite in questa sede inerendo esclusivamente alla valutazione degli elementi indiziali. In particolare la denuncia di assoluta carenza di motivazione, deve ascriversi ad una frettolosa lettura del provvedimento impugnato il quale – contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente – ha preso in esame le deduzioni della difesa, osservando (a pag. 15) che apparivano irrilevanti particolari marginali, quali il tipo di macchina comprato dal C. o il numero di tagliandi effettuati gratis e, nel contempo, ha evidenziato come le dichiarazioni auto ed etero-accusatorie risultavano confermate da testi "estranei" quali la Ga. e la Po..
Capi 8) e 10) – Il provvedimento impugnato ha individuato in modo puntuale gli elementi emersi a carico del ricorrente in ordine ai reati in questione, individuate nelle dichiarazioni del MU., del TE. (che ha riscontrato le dichiarazioni del primo) e del C. (che, dopo l’iniziale reticenza, ha confermato la consegna al G. e al M.M. del danaro ricevuto dal MU.), indicando gli elementi di riscontro esterno nella documentazione relativa alla gara e nelle dichiarazioni del teste A.. L’apprezzamento della gravità indiziaria costituisce valutazione di merito, congruamente motivata e qui non sindacabile;
le censure, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da dai Giudici del merito.
Capo 16). Anche in questo caso viene svolta una rilettura riduttiva e addomesticata delle risultanze indiziarie, che – come emerge dal testo del provvedimento impugnato – è ben più vasto di quello cui fa riferimento il ricorrente. In particolare il Tribunale ha precisato che le dichiarazioni della Ga., oltre a riscontrare le dichiarazioni della collega Po., riscontravano pienamente la chiamata in correità del C., del D.N. e di CO. circa la corruzione dell’indagato e le sue condotte illecite.
2.4. L’adeguatezza e puntualità motivazionale rende insindacabile il presente provvedimento anche per quanto attiene all’individuazione dei presupposti di fatto idonei a concretare le esigenze cautelari di cui alle lett. a) e c) dell’art. 274 c.p.p., essendosi rilevato, sotto il primo profilo, che dalle intercettazioni telefoniche emergeva la presenza di una "fonte interna" al Palazzo di giustizia di Lecco, che aveva fornito indicazioni al G. sullo stato delle indagini e, sotto il secondo profilo, che le concrete modalità della condotta, nonchè il comportamento tenuto dal prevenuto, anche dopo il trasferimento alla cancelleria della volontaria giurisdizione, apparivano tali da svelare un vero e proprio "sistema" di corruzione. E’ appena il caso di aggiungere che un eventuale provvedimento di sospensione dal servizio, cui fa riferimento il ricorrente, rispondendo ad esigenze di natura disciplinare, non può interferire sull’apprezzamento di quelle cautelari.
In definitiva, per la prevalenza delle ragioni di infondatezza su quelle di inammissibilità, il ricorso va rigettato, con i consequenziali provvedimenti in ordine alle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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