Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con ordinanza in data 1.2.2010, emessa nell’ambito di un procedimento cumulativo, il g.i.p. del Tribunale di Salerno applicava – tra gli altri – a S.V. la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di associazione per delinquere dedita al narcotraffico e per tredici connessi reati di detenzione e vendita illecite di sostanze stupefacenti; fatti reato commessi, tutti, a Scafati (Salerno) dall’aprile all’ottobre 2007 ed in epoche prossime. L’ordinanza era eseguita l’8.2.2010 con l’arresto dell’indagato S..
Su richiesta del procedente p.m., ai sensi dall’art. 305 c.p.p., comma 2, con successiva ordinanza del 4.2.2011 il g.i.p. del Tribunale campano ha prorogato i termini di durata della custodia cautelare (pari ad un anno) per un periodo di tre mesi, dal 7.2.2011 al 6.5.2011, limitatamente al contestato reato associativo di cui all’art. 74 LS. Per tale unico reato il g.i.p. ha ritenuto, nella previa rilevata persistenza di "gravi esigenze cautelari", indispensabile lo svolgimento di accertamenti di peculiare complessità, integrati dall’esame, con coeva ricerca e verifica dei dati di riscontro delle sue dichiarazioni, del collaboratore di giustizia F.F., in grado di riferire sia sull’organigramma del sodalizio criminoso, sia sulle posizione in esso ricoperte da più coindagati, ivi incluso lo S. (come da chiamate in reità del F. versate in separato procedimento nel novembre e nel dicembre 2010, in epoca vicina al decorso del termine ordinario delle indagini e della custodia cautelare degli indagati).
2. S.V. ha appellato l’ordinanza di proroga dei termini custodiali. Giudicando sul gravame ai sensi dell’art. 310 c.p.p., il Tribunale distrettuale di Salerno con la pronuncia del 18.4.2011, indicata in epigrafe, ha accolto l’impugnazione e annullato l’ordinanza di proroga dei termini cautelari emessa dal g.i.p.. I giudici di secondo grado hanno ritenuto insussistenti, ad eccezione del presupposto della gravita delle perduranti esigenze cautelari sottese alla oggettiva gravita del reato associativo, gli altri necessari e concomitanti requisiti giustificanti la proroga, costituiti dalla particolare complessità dell’accertamento (tale non potendosi qualificare l’esame del collaboratore F., le cui propalazioni erano note al p.m. fin dal novembre 2010) e dalla sua effettiva indispensabilità (avendo il procedente p.m. chiesto il rinvio a giudizio degli indagati già il 7.2.211, cioè prima di escutere il F.).
Per l’effetto il Tribunale ha disposto la liberazione dello S., se non altrimenti detenuto, nel contempo applicando allo stesso, ai sensi dell’art. 307 c.p.p., comma 1 bis, le congiunte misure cautelari dell’obbligo di dimora nel comune di residenza e dell’obbligo di presentazione trisettimanale alla locale polizia giudiziaria.
Sotto quest’ultimo profilo il Tribunale ha specificamente argomentato il rispetto sostanziale della regola della "domanda cautelare" del rappresentante della pubblica accusa, operante – secondo la giurisprudenza di legittimità – anche per l’applicazione delle misure previste dall’art. 307 c.p.p., in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini custodialcautelari. Ad avviso del Tribunale deve ritenersi che il p.m., nel chiedere – a fronte della gravità delle esigenze cautelari legittimanti il persistere della cautela inframurale – la proroga dei termini custodiali, abbia inteso, per implicito e in gradato subordine, sollecitare l’applicazione – in virtù di un principio di "continenza logica" – di una misura cautelare "anche minore", idonea a contenere il pericolo di recidività criminosa specifica ("sicchè, in concreto, la domanda può ritenersi formulata").
3. Con il ministero del difensore l’indagato (rectius imputato) S.V. ha impugnato per cassazione l’illustrato provvedimento del Tribunale di Salerno, nella parte in cui ha disposto – pur in assenza di una espressa richiesta del p.m. – le indicate misure cautelari "minori" ex art. 307 c.p.p..
Con il ricorso si prospetta un unitario motivo di censura per violazione di legge (art. 291 c.p.p., art. 307 c.p.p., comma 1 bis e art. 74 LS) e per carenza ed illogicità della motivazione.
In tutta evidenza il Tribunale ha eluso il disposto dell’art. 291 c.p.p., che prevede, quale regola generale in materia cautelare, l’applicazione delle misure cautelari soltanto su specifica richiesta del p.m. Tale regola, cosiddetta della domanda cautelare del p.m., deve ritenersi senz’altro valevole anche per le misure cautelari minori previste dall’art. 307 c.p.p., comma 1 bis, come statuito dalla S.C. anche di recente con decisione richiamata dallo stesso Tribunale (Cass. Sez. 6, 10.7.2008 n. 33858, P.M. in proc. Maazouzi, rv. 240799). Nel caso di specie il Tribunale ha sottoposto lo S. all’obbligo di dimora nel comune di residenza e all’obbligo di presentazione alla p.g. in assenza di qualsiasi richiesta del procedente p.m. Il principio fissato dall’ari 291 c.p.p. non può essere derogato neanche in virtù del criterio di continenza logica evocato dal Tribunale, vale a dire in virtù di una impropria interpretazione estensiva della norma, includente anche presunte richieste "implicite" del p.m. Per altro nel caso di specie il p.m. non ha neppure partecipato all’udienza camerale di discussione dell’appello cautelare, nella quale avrebbe potuto formulare la richiesta di applicazione di misura cautelare non restrittiva per il caso di eventuale accoglimento del gravame. Tale acquiescente contegno del p.m. impedisce di desumere una sua implicita domanda cautelare. Domanda che, va aggiunto, il p.m. avrebbe ben potuto formulare anche dopo la pronuncia con cui il Tribunale ha annullato l’ordinanza del g.i.p. prorogante la durata dei termini cautelari.
4. Il ricorso proposto nell’interesse di S.V. è assistito da fondamento.
Come non manca di precisare lo stesso Tribunale di Salerno, il canone della domanda cautelare del p.m. esplica la sua efficacia sia nella fase delle indagini preliminari in senso stretto, sia nelle fasi successive del giudizio ovvero in ogni altra fase incidentale (cfr.:
Cass. Sez. 6 n. 33858/2008, cit; Cass. Sez. 6, 4.12.2008 n. 2948/09.
Martucci, rv. 242857; Cass. Sez. Fer., 25.8.2009 n. 34201, Trovato, rv. 244905). Di tal che anche le misure cautelari gradate previste dagli artt. 281, 282 e 283 c.p.p. applicabili ("anche cumulativamente", come recita la norma), ai sensi dell’art. 307 c.p.p., comma 1 bis, in caso di scarcerazione dell’indagato o imputato per intervenuto decorso dei termini (ordinari o prorogati) di custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p., debbono essere necessariamente precedute da una espressa richiesta del p.m..
Pur non sottacendosi l’esistenza di una isolata e risalente decisione di segno contrario per l’ipotesi delle misure applicate ex art. 307 c.p.p. (Cass. Sez. 6,19.12.1997 n. 5179, Recchia, rv. 210675), decisione che tuttavia non pone in dubbio il principio della domanda cautelare, occorre ribadire che nella vigente disciplina processuale le misure cautelari (ogni misura cautelare coercitiva o interdittiva) non possono essere disposte dal giudice se non previa richiesta del p.m., tenuto a prospettare al giudice gli elementi sui quali la richiesta, anche di eventuale natura subordinata (misure meno afflittive), si basa, profilandosi come necessaria per ragioni probatorie ovvero socialpreventive.
Con l’ovvia conseguenza che l’omessa previa enunciazione/acquisizione della domanda cautelare del p.m. infirma il provvedimento applicativo della misura cautelare disposto ex officio dal giudice, determinandone la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. b), rilevabile in ogni stato e grado del processo ai sensi dell’art. 179 c.p.p., comma 1.
Affatto erroneo e logicamente contraddittorio (il Tribunale riconosce la cogenza della regola della domanda cautelare anche per l’adozione di misure cautelari indotte dalla decorrenza dei termini di custodia inframurale) deve, allora, valutarsi l’assunto del Tribunale, che ritiene legittimo applicare misure cautelari "implicitamente" richieste o – meglio – prevedibilmente "volute" in subordine dal p.m., interpretandone la sottintesa volontà cautelare, se così può dirsi, sulla base di un non meglio chiarito criterio di continenza logica. Criterio che dissimula l’abnorme e illegittima esegesi estensiva del precetto dettato dall’art. 291 c.p.p.. Norma di stretta interpretazione, per le sue immediate incidenze sul bene della libertà personale, che non tollera applicazioni analogiche od estensive, impropriamente surrogatone di una volontà del procedente p.m. ("domanda"), che deve essere enunciata expressis verbis ed in assenza della quale non possono offrirsene, per supposta continenza logica, sincopate letture retrospettive.
Per tanto l’ordinanza impugnata va annullata senza rinvio, dichiarandosi cessate le due misure cautelari dell’obbligo di dimora e dell’obbligo di presentazione alla p.g. applicate a S. V..
La cancelleria curerà gli adempimenti informativi previsto dall’art. 626 c.p.p..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata. Dichiara la cessazione delle misure cautelari in atto.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 c.p.p..
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