Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Col ricorso in epigrafe, notificato il 9 novembre 2006 e depositato il 6 dicembre 2006, C.M.R. impugnava, chiedendone l’annullamento, i seguenti atti: -provvedimento del 19 luglio 2006, prot. n. 13348, col quale il responsabile del Settore tecnico Pianificazione e uso del territorio, Servizio Abusivismo edilizio, del Comune di Montesarchio, aveva determinato e irrogato sanzioni pecuniarie ex artt. 33, commi 2, 3 e 4, del d.p.r. n. 380/2001 e 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004; – pareri della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio, per il patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico per le Province di Caserta e Benevento, prot. n. 28564, del 29 dicembre 2004 e prot. n. 3261, del 14 febbraio 2006; – verbali di sopralluogo, prot. n. 16097, del 3 agosto 2004 e prot. n. 345/SUE, dell’11 ottobre 2005; – relazione istruttoria del 7 dicembre 2005, prot. n. 414/SUE; – art. 6.4 delle norme tecniche di attuazione del piano di recupero del Comune di Montesarchio.
Richiedeva, altresì, il risarcimento del danno per equivalente monetario, derivante dall’operato asseritamente illegittimo del Comune di Montesarchio.
2. Alla luce delle allegazioni e delle produzioni documentali di parte ricorrente, la vicenda dedotta in giudizio è la seguente.
2.1. Sui lotti in proprietà della C., ubicati in Montesarchio, tra via Borgo San Francesco, vico Ercolano e vico Annunziata, censiti in catasto al foglio 39, particelle 362 e 363, nonché ricadenti in zona A (centro storico) del piano regolatore generale, r.u.a. (recupero urbanistico edilizio e restauro paesisticoambientale) del piano territoriale paesistico – ambito Taburno e C (area di riserva controllata) del piano del Parco regionale del Taburno – Camposauro, insistevano due fabbricati in parte crollati e in parte demoliti a seguito del sisma del 23 novembre 1980 e del 14 febbraio 1981.
Con riferimento a tali immobili, era stata presentata domanda concessione edilizia per ricostruzione ai sensi dell’art. 6.7 delle norme tecniche di attuazione del piano di recupero del Comune di Montesarchio, la quale era stata accolta con atto del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, previo rilascio del parere favorevole della Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici di Caserta e Benevento (nota del 7 dicembre 1998, prot. n. 29085) e della commissione edilizia integrata (seduta del 18 novembre 2000), nonché emissione del relativo visto sindacale ai fini della compatibilità ambientale del progetto.
2.2. In data 8 giugno 2004, la C. aveva presentato al Comune di Montesarchio d.i.a. (prot. n. 11323) avente per oggetto il mutamento di destinazione d’uso del sottotetto e la diversa distribuzione dei vani interni al fabbricato assentito con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570.
Tale d.i.a. era stata declinata dall’amministrazione comunale con nota del 22 giugno 2004, prot. n. 12777.
2.3. Successivamente, alla luce delle risultanze del sopralluogo effettuato il 3 agosto 2004 (cfr. verbale in pari data, prot. n. 16097), il responsabile dello Sportello unico per l’edilizia del Comune di Montesarchio aveva emesso l’ordinanza di demolizione n. 275 del 5 agosto 2004, concernente la realizzazione, in difformità dal progetto assentito con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, di una scala esterna, di uno sbalzo sul prospetto principale e di un piano sottotetto, nonché l’inosservanza delle prescrizioni imposte dalla Soprintendenza di Caserta e Benevento.
Le opere abusive contestate avevano formato oggetto di istanza di sanatoria rassegnata il 6 settembre 2004 (prot. n. 16436), nonché integrata il 13 gennaio 2005 (prot. n. 449) e il 18 novembre 2005 (prot. n. 19887), sulla quale la Soprintendenza di Caserta e Benevento, con nota del 29 dicembre 2004, prot. n. 28564, aveva espresso parere sfavorevole, avendo ravvisato "la sostanziale modifica di un immobile tipico per il tessuto urbano nel quale è inserito", in quanto "il contenuto numero di piani e le finiture esterne dell’immobile originario sono stati annullati dall’eseguito intervento", mentre il responsabile del procedimento preposto dall’amministrazione comunale (nota del 3 gennaio 2005, prot. n. 389/SUE), la commissione edilizia integrata (seduta del 10 febbraio 2005) e l’ente Parco regionale del Taburno Camposauro (nulla osta del 15 marzo 2005, prot. n. 126) si erano pronunciati in senso favorevole.
2.4. Onde acclarare la consistenza delle difformità riscontrate rispetto al progetto assentito con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, il Comune di Montesarchio aveva effettuato, in data 26 settembre 2005, un sopralluogo congiunto con i tecnici incaricati dalla ricorrente.
Dette difformità risultavano così descritte nel verbale dell’11 ottobre 2005, prot. n. 345/SUE:
"a) al piano terra: – modificazioni delle tramezzature interne con conseguente diversa distribuzione degli ambienti; – rappresentazione inesistente della finestra su vico Annunziata (locale ripostiglio), la stessa riportata nel grafico del piano terra mentre risulta non riportata nel prospetto; – larghezza prospetto su cortile interno m 4,25 circa in luogo di m 4,60 riportato in progetto, con conseguente variazione della larghezza della prima rampa scoperta della scala di accesso al piano primo; b) al piano primo: – modificazioni delle tramezzature interne con conseguente diversa distribuzione degli ambienti; c) al piano secondo: – modificazioni delle tramezzature interne con conseguente diversa distribuzione degli ambienti; d) al piano sottotetto: – modificazioni delle tramezzature interne con conseguente diversa distribuzione degli ambienti; – omessa rappresentazione in pianta della finestra prospiciente via Borgo San Francesco, riportata sul prospetto; e) modifiche altezze interne nette: – piano terra m 2,85 (progetto 3,35); – piano primo m 2,85 (progetto 3,15); – piano secondo m 2,85 (progetto 3,15); – piano sottotetto m 2,20 – lato via Borgo San Francesco (progetto 2,10)".
Esse risultavano, altresì, così illustrate nella successiva nota del 7 dicembre 2005, prot. n. 414 SUE:
"1)… aumento di superficie utile abitabile attraverso la variazione abusiva di destinazione d’uso del piano di copertura (precedentemente volume tecnico non utilizzabile e non accessibile), eseguita mediante l’abbassamento dei solai e la completa realizzazione degli impianti tecnici e igienicosanitari; 2)… diversa disposizione interna delle tramezzature dell’intero edificio; 3)… leggera modifica della sagoma esterna del fabbricato; 4)… realizzazione di un corpo scala esterno anziché interno come autorizzato con la c.e. 5570/2000".
Sulla base di tali rilievi, il responsabile dello Sportello unico per l’edilizia del Comune di Montesarchio aveva ravvisato gli estremi dell’abuso ex art. 33 del d.p.r. n. 380/2001, consistente in interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, e, avendo ritenuto l’impossibilità di demolire i solai e la scala senza compromettere l’intera struttura dell’immobile, aveva proposto l’applicazione della sanzione alternativa pecuniaria. Proposta sulla quale avevano espresso parere sfavorevole sia la Soprintendenza di Caserta e Benevento, con nota del 14 febbraio 2006, prot. n. 3261, sia l’ente Parco regionale del Taburno Camposauro, con nota del 24 fabbraio 2006, prot. n. 84.
2.5. Con nota del 13 marzo 2006, prot. n. 4929, il Comune di Montesarchio aveva richiesto alla C. di presentare una perizia giurata di stima, recante il calcolo della sanzione pecuniaria per danno ambientale ai sensi dell’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004, in conformità alla deliberazione consiliare n. 29 del 18 giugno 2004.
In data 4 aprile 2006, la ricorrente aveva rassegnato la perizia giurata di stima, con la quale aveva evidenziato l’impossibilità di quantificare la sanzione pecuniaria applicabile, non avendo ravvisato alcun danno ambientale.
La presentazione della perizia giurata di stima era stata nuovamente sollecitata dal Comune di Montesarchio con nota del 19 aprile 2006, prot. n. 7557, in base alla quale la comminata sanzione pecuniaria avrebbe dovuto essere determinata nella misura del 3% della rendita catastale presunta.
2.6. Successivamente, a fronte del negativo riscontro fornito dalla ricorrente, l’amministrazione comunale intimata, con provvedimento del 19 luglio 2006, prot. n. 13348, aveva irrogato la sanzione pecuniaria alternativa a quella demolitoria, sul rilievo della impossibilità di ripristinare lo stato dei luoghi senza compromettere l’intera struttura dell’immobile, nonché sulla scorta dei pareri della Soprintendenza di Caserta e Benevento, prot. n. 28564, 29 dicembre 2004, e prot. n. 3261, del 14 febbraio 2006, della commissione edilizia integrata del 10 febbraio 2005 (verbale n. 6328), dell’ente Parco regionale del Taburno Camposauro, prot. n. 84, del 24 febbraio 2006.
L’abuso contestato era consistito nella totale difformità dalla concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570.
Più in dettaglio, le difformità riscontrate risultavano così descritte nel citato provvedimento del 19 luglio 2006, prot. n. 13348:
– "mutamento della destinazione d’uso da soffitto a destinazione per civile abitazione con conseguente variazione degli standards previsti dal d.m. n. 1444/1968 (per un totale di mq 71,99)"; – "aumento consistente della cubatura e della superficie in relazione al progetto approvato in quanto con l’abbassamento dei solai di tutti i livelli (I, II e III livello) si è reso abitabile il volume dell’ultimo piano… infatti l’altezza media dello stesso è diventata maggiore di m 2,40, altezza minima consentita dalla legge regionale n. 15/2000 per il recupero dei sottotetti… nonché lo stesso sottotetto è stato reso anche conforme al piano di recupero che pone come condizione per l’abitabilità un’altezza minima di 2,10 m e media di m 2,70"; – "incremento del numero di piani che da n. 3 del progetto approvato sono divenuti n. 4, in contrasto con il punto 9 dell’art. 6.4 delle n.t.a. del vigente p.d.r."; – "mutamento dei prospetti e realizzazione di una pensilina con copertura in coppi di argilla"; – "realizzazione corpo fabbrica (scala), esterno, atto a collegare i diversi piani".
L’importo della sanzione pecuniaria era stato così determinato: – Euro 88.883,87, ai sensi dell’art. 33, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001; – Euro 1.548,00, ai sensi dell’art. 33, commi 3 e 4, del d.p.r. n. 380/2001; – Euro 4.978,15, ai sensi dell’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004; – Euro 1.034,06, a titolo di contributo di costruzione.
3. Avverso la disposta misura sanzionatoria venivano dedotte, col ricorso in epigrafe le seguenti censure.
3.1. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Difetto di presupposto. Difetto di istruttoria. Difetto di motivazione. Eccesso di potere per travisamento.
Il provvedimento impugnato configurerebbe erroneamente le opere contestate in termini di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione, sebbene nessuna demolizione sarebbe stata effettuata dalla C. rispetto a edifici da tempo inesistenti.
3.23.3. Falsa ed erronea applicazione dell’art. 6.4. Mancata applicazione dell’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r. del Comune di Montesarchio. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Difetto di istruttoria ed eccesso di potere per travisamento del presupposto. Difetto di motivazione.
La sanzione pecuniaria sarebbe stata irrogata alla C. sull’erroneo presupposto dell’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 6.4 delle n.t.a. del p.d.r. del Comune di Montesarchio, senza considerare che l’insussistenza di manufatti nell’area di intervento impediva la configurabilità del risanamento conservativo e che la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, era stata rilasciata e le opere con essa assentite erano state realizzate in conformità all’art. 6.7 delle n.t.a. cit. (interventi di demolizione e ricostruzione con vincolo parziale).
3.4. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Difetto di istruttoria. Eccesso di potere per contraddittorietà.
Il rilievo circa il notevole interesse pubblico dell’area di intervento sarebbe da intendersi recessivo di fronte al parere favorevole espresso dalla Soprintendenza di Caserta e Benevento, con nota del 17 dicembre 1998, prot. 29085, in riferimento alla concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570.
3.5. Falsa ed erronea applicazione dell’art. 33 del d.p.r. n. 380/2001. Mancata applicazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990.
Le difformità riscontrate col provvedimento impugnato non sarebbero totali, bensì parziali rispetto al progetto assentito con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, il quale non avrebbe subito lo stravolgimento complessivo postulato dall’art. 33 del d.p.r. n. 380/2001. Peraltro, dette difformità sarebbero state sanzionabili col ripristino dello status quo ante (segnatamente, mediante rinuncia alla destinazione del sottotetto ad uso abitativo), se l’interessata fosse stata posta in condizioni di rappresentare siffatta possibilità in sede procedimentale.
3.6. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Difetto di istruttoria. Eccesso di potere per contraddittorietà tra provvedimenti.
I pareri della Soprintendenza di Caserta e Benevento, prot. n. 28564, del 29 dicembre 2004, e prot. n. 3261, del 14 febbraio 2006 sarebbero in contraddizione con quello del 17 dicembre 1998, prot. 29085, in quanto espressi sull’erroneo presupposto che i lavori da realizzare fossero riconducibili alla tipologia di cui all’art. 6.4 delle n.t.a. del p.d.r. del Comune di Montesarchio (risanamento conservativo di un immobile preesistente), e non alla tipologia di cui all’art. 6.7 delle n.t.a. cit. (ricostruzione di un immobile demolito tempo addietro).
3.73.15. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Mancata applicazione dell’art. 65 del regolamento edilizio comunale di Montesarchio. Mancata applicazione dell’art. 49 del d.p.r. n. 380/2001. Difetto di motivazione. Travisamento del presupposto.
L’amministrazione comunale intimata avrebbe erroneamente assunto l’impossibilità di ripristinare lo status quo ante e, sulla base di tale rilievo, illegittimamente irrogato la sanzione alternativa pecuniaria, anziché disporre l’eliminazione degli interventi abusivi (tra cui, segnatamente, la destinazione del sottotetto ad uso abitativo).
3.8. Violazione dell’art. 21 nonies della l. n. 241/1990. Mancato esercizio del potere di autotutela.
Sia il Comune di Montesarchio sia la Soprintendenza di Caserta e Benevento avrebbero dovuto, rispettivamente, annullare in via di autotutela la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, e il parere del 17 dicembre 1998, prot. 29085, con cui sarebbero state regolarmente assentite, in conformità all’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r., le opere contestate.
3.9. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Difetto di istruttoria.
Alla irrogata sanzione pecuniaria non avrebbe fatto riscontro la sanatoria degli interventi abusivi.
3.10. Falsa ed erronea applicazione dell’art. 33, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001. Eccesso di potere per contraddittorietà del provvedimento.
Ai fini del calcolo dell’irrogata sanzione pecuniaria, il provvedimento impugnato avrebbe erroneamente applicato il criterio (doppio del costo di produzione) proprio degli interventi edilizi eseguiti in parziale difformità, anziché quello (doppio del’aumento di valore dell’immobile) proprio degli interventi edilizi eseguiti in totale difformità dal titolo abilitativo rilasciato, ossia proprio degli abusi contestati nella specie.
3.11. Violazione degli artt. 2 e 3 della l. n. 241/1990. Difetto di istruttoria per mancata conclusione del procedimento di sanatoria e di motivazione del diniego della stessa. Eccesso di potere per sviamento.
Illegittimamente il Comune di Montesarchio avrebbe disposto la gravata misura sanzionatoria, senza essersi preventivamente pronunciato sulla domanda di sanatoria presentata il 6 settembre 2004 (prot. n. 16436) e integrata il 18 novembre 2005 (prot. n. 19887).
3.12. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Difetto di istruttoria. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà del provvedimento.
L’amministrazione comunale intimata, nell’irrogare la sanzione alternativa pecuniaria, non avrebbe tenuto conto del parere favorevole espresso il 10 febbraio 2005 sulla cennata domanda di sanatoria dalla commissione edilizia integrata.
3.13. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Difetto di istruttoria.
Le lacune del progetto assentito con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, avrebbero reso inevitabili variazioni dettate da esigenze di ordine tecnico e non riconducibili al novero delle difformità totali.
3.14. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Difetto del presupposto.
Le differenze di altezze evidenziate nel verbale dell’11 ottobre 2005, prot. n. 345/SUE, sarebbero stemperate dalla circostanza che, da un lato, il progetto assentito con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, contemplerebbe le misure calcolate al lordo dei solai e che, d’altro lato, il progetto presentato in sede di domanda di sanatoria riporterebbe scostamenti ridotti rispetto alla struttura realizzata.
4. Si costituivano in giudizio per resistere al gravame esperito ex adverso il Comune di Montesarchio e il Ministero per i beni e le attività culturali.
5. Alla camera di consiglio del 26 febbraio 2007, la proposta istanza cautelare veniva accolta, ai fini del riesame del provvedimento impugnato, con ord. n. 649/2007.
6. A seguito di un prolungato e complesso contraddittorio procedimentale con l’interessata, volto ad espletare il riesame disposto con la citata ord. n. 649/2007, il responsabile del Settore tecnico del Comune di Montesarchio comunicava, con nota del 27 maggio 2008, prot. n. 11339, i motivi ostativi all’invocato ritiro o modifica della gravata misura sanzionatoria. Comunicazione in ordine alla quale la C. rassegnava osservazioni con nota del 6 giugno 2008 (prot. n. 11961), integrate con note del 22 ottobre 2008 (prot. n. 21671) e del 27 novembre 2008 (prot. n. 24474).
7. Infine, con provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982, il responsabile del Settore tecnico del Comune di Montesarchio, nel declinare le osservazioni formulate dalla ricorrente, confermava le determinazioni già assunte col provvedimento del 19 luglio 2006, prot. n. 13348.
A fondamento dell’adottato provvedimento confermativo, l’ente locale intimato argomentava che:
– gli abusi contestati si erano sostanziati nella violazione dell’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r., "in quanto non è stata conservata la volumetria urbanistica originaria del fabbricato, non sono stati rispettati gli allineamenti… inoltre, secondo il parere della Soprintendenza, l’intervento non è stato inserito in modo armonico nel contesto ambientale con particolare riguardo all’aspetto sul fronte stradale";
– la C. non si era resa disponibile ad un effettivo ripristino dello stato dei luoghi, incompatibile col divisato mantenimento della struttura del sottotetto, ossia di un nuovo piano utile e del relativo incremento di superficie e volumetria rispetto al progetto assentito;
– nonostante il vincolo ambientale gravante sull’immobile ai sensi del d.m. 28 marzo 1985, non risultava mai rilasciata l’autorizzazione paesaggistica in ordine al progetto assentito con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570;
– gli interventi abusivi de quibus, soprattutto tenuto conto della loro incidenza su un immobile sottoposto a vincolo ambientale, erano da considerarsi in totale difformità rispetto al progetto assentito con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, avendo la C. "realizzato un intero piano abitabile rispetto al preesistente volume tecnico, ottenuto con l’abbassamento dei solai interpiano, prevedendo un terrazzo con relativo accesso, diverse finestre, comportando anche modificazioni dei prospetti, della sagoma, della cubatura e della superficie abitabile dell’edificio preesistente, con conseguente aumento del carico urbanistico";
– la sanzione pecuniaria ex art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004 era stata determinata in conformità ai criteri dettati dal d.m. 26 settembre 1997, ossia nella misura del 3% del valore di stima dell’immobile, risultato maggiore dell’entità del danno ambientale, quantificato pari a zero dal tecnico all’uopo incaricato dalla ricorrente.
7. Avverso le determinazioni dianzi illustrate, oltre ad essere reiterate le doglianze contenute nel ricorso originario, venivano proposti, con atto notificato il 14 febbraio 2009 e depositato il 9 marzo 2009, i seguenti motivi aggiunti.
7.1. Falsa applicazione dell’art. 118 Cost. Falsa applicazione della l. r. Campania n. 54/1980. Falsa applicazione della l. r. Campania n. 65/1981. Falsa applicazione della l. r. Campania n. 10/1982 e relativo annesso A. Falsa applicazione dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004. Difetto di istruttoria. Violazione dell’art. 21 nonies della l. n. 241/1990.
La rilevata mancanza della necessaria autorizzazione paesaggistica avrebbe dovuto reputarsi sopperita dall’apposizione del visto sindacale sulla concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570. Non senza considerare che, in ogni caso, l’omissione in parola avrebbe dovuto indurre l’amministrazione comunale ad annullare in autotutela titolo abilitativo edilizio rilasciato, e non già a disporre l’irrogata sanzione pecuniaria, e che, peraltro, un ipotetico annullamento d’ufficio non avrebbe trovato giustificazione rispetto al significativo arco temporale trascorso dall’emissione del predetto titolo abilitativo edilizio.
7.27.6. Violazione, falsa e mancata applicazione degli artt. 31, 33, 34 e 36 del d.p.r. n. 380/2001. Mancata e falsa applicazione dell’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r. del Comune di Montesarchio. Falsa applicazione dell’art. 6.4 delle n.t.a. del p.d.r. del Comune di Montesarchio. Violazione degli artt. 1, 3, 7 ss. della l. n. 241/1990. Difetto di istruttoria, di motivazione e del presupposto. Eccesso di potere per sviamento.
Le difformità riscontrate col provvedimento impugnato non sarebbero totali, bensì parziali rispetto al progetto assentito con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, il quale non avrebbe subito lo stravolgimento complessivo postulato dall’art. 33 del d.p.r. n. 380/2001. La dimensione parziale delle difformità in parola e la compatibilità con l’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r. avrebbe dovuto, quindi, comportare l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 34 o dell’oblazione ex art. 36 del d.p.r. n. 380/2001. In ogni caso, dette difformità sarebbero state sanzionabili col ripristino dello status quo ante (segnatamente, mediante rinuncia alla destinazione del sottotetto ad uso abitativo), se l’interessata fosse stata posta in condizioni di rappresentare siffatta possibilità in sede procedimentale.
7.3. Mancata applicazione degli artt. 1, 2, 7 e 8 della l. n. 241/1990. Violazione del principio di partecipazione al procedimento amministrativo. Difetto di istruttoria. Violazione del diritto di difesa.
La ricorrente sarebbe stata illegittimamente esautorata dall’esame congiunto della questione, avvenuto il 15 maggio 2008 tra il Comune di Montesarchio e la Soprintendenza di Caserta e Benevento (cfr. nota del Comune di Montesarchio, prot. n. 10192, del 12 maggio 2008), con conseguente violazione delle garanzie partecipative apprestatele dall’ordinamento.
7.4. Violazione degli artt. 1, 3, 7 ss. della l. n. 241/1990. Difetto di istruttoria e di motivazione. Eccesso di potere per sviamento e contraddittorietà.
Dopo aver sostenuto l’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 6.4 delle n.t.a. del p.d.r., contraddittoriamente l’amministrazione comunale intimata avrebbe predicato l’applicabilità del successivo art. 6.7, senza, peraltro, considerare che le opere contestate alla C. avrebbero inerito non già alla ristrutturazione edilizia, bensì alla mera ricostruzione dell’edificio preesistente e che le stesse sarebbero state, in quanto tali, compatibili col disposto dell’art. 6.7 cit.
7.5. Violazione e falsa applicazione della l. r. Campania n. 15/2000.
Il provvedimento impugnato non avrebbe tenuto conto della recuperabilità del sottotetto esistente alla data del 17 ottobre 2000, così come sancita dalla l. r. Campania n. 15/2000.
7.7. Violazione, falsa e mancata applicazione dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004. Falsa applicazione del d.m. 26 settembre 1997 e dell’art. 2, comma 46, della l. n. 662/1996. Falsa applicazione della deliberazione consiliare n. 29 del 18 giugno 2004.
Il d.m. 26 settembre 1997, richiamato dall’amministrazione comunale intimata, sarebbe stato annullato da TAR Lazio, Roma, sez. II bis, 21 giugno 1999, n. 1521 e, quale atto normativo secondario illegittimo, andrebbe disapplicato, con conseguente non irrogabilità della sanzione pecuniaria nell’ipotesi – verificatasi nella specie – di danno ambientale pari a zero. La sanzione pecuniaria in parola avrebbe dovuto, peraltro, escludersi o, comunque, sensibilmente ridursi in rapporto alla non vagliata possibilità di ripristinare lo status quo ante e, quindi, di eliminare, per tal via, il danno ambientale arrecato dalle opere abusive.
8. Alla camera di consiglio del 6 aprile 2009, l’avanzata domanda incidentale di sospensione del provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982, veniva accolta con ord. n. 852/2009.
9. Successivamente, all’udienza pubblica del 23 marzo 2011, il Collegio tratteneva la causa in decisione.
Motivi della decisione
1. In rito, deve rilevarsi l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse con riguardo alle censure rassegnate col ricorso introduttivo del presente giudizio e riportate retro, in narrativa, sub n. 3.1, 3.2, 3.3, 3.4, 3.5, 3.7, 3.8, 3.11, 3.12, 3.14, 3.15.
In particolare, al provvedimento del 19 luglio 2006, prot. n. 13348, impugnato col ricorso originario, si è sovrapposto il provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982, gravato con i motivi aggiunti notificati il 14 febbraio 2009 e depositati il 9 marzo 2009.
Tale ultimo provvedimento è stato adottato all’esito del riesame provocato dall’ord. n. 649/2007 e, reiterandola in termini non meramente confermativi, ha assorbito e sostituito la misura sanzionatoria già disposta mediante il precedente provvedimento. Con la conseguenza che, da un lato, l’assorbimento e la sostituzione prefigurati renderebbero privo di oggetto il ricorso originario e che, d’altro lato, la C. potrebbe trarre una concreta utilità – identificabile nell’ambita rimozione della sanzione pecuniaria – non più dall’accoglimento del predetto gravame introduttivo, bensì soltanto dall’accoglimento dell’impugnazione e dal connesso annullamento giurisdizionale del sopravvenuto provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982; donde la carenza di interesse ad aggredire la misura sanzionatoria di cui al provvedimento del 19 luglio 2006, prot. n. 13348.
Peraltro, è appena il caso di soggiungere che i profili censurati con i motivi di ricorso originario rubricati retro, in narrativa, sub n. 3.1, 3.2, 3.3, 3.4, 3.5, 3.7, 3.8, 3.12, 3.14, 3.15 non solo risultano nuovamente vagliati in sede di riesame (all’esito del quale l’amministrazione intimata si è rideterminata in senso confermativo), o comunque, inerendo all’iter procedimentale conclusosi con l’adozione del provvedimento del 19 luglio 2006, prot. n. 13348, devono intendersi superati dal provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982, ma si ritrovano, altresì, sostanzialmente replicati nel gravame aggiuntivo notificato il 14 febbraio 2009 e depositato il 9 marzo 2009.
Quanto al motivo di ricorso introduttivo riportato retro, in narrativa, sub n. 3.11, esso deve considerarsi, del pari, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, atteso che, col provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982, il Comune di Montesarchio si è espressamente pronunciato nel senso della insanabilità degli abusi contestati e, sulla base di tale presupposto, ha reiterato la sanzione pecuniaria già applicata.
2. Venendo ora al merito della controversia, occorre, innanzitutto, scrutinare congiuntamente i motivi aggiunti rubricati retro, in narrativa, sub n. 7.2, 7.4 e 7.6 (sostanzialmente omologhi a quelli di ricorso originario rubricati retro, in narrativa, sub n. 3.1, 3.2, 3.3, 3.5, 3.7, 3.14, 3.15), stante la loro interrelazione reciproca e la loro centralità rispetto al thema decidendum.
In estrema sintesi, con tali doglianze la C. lamenta che:
– le opere abusive contestate, inerendo alla mera ricostruzione di un edificio abbattuto tempo addietro in conseguenza di eventi sismici, sarebbero compatibili con la previsione dell’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r., applicabile all’area di intervento;
– esse comporterebbero, in ogni caso, difformità non già totali, bensì parziali rispetto al progetto autorizzato con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, e, quindi, se non sanabili ai sensi dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001, sanzionabili, al più, ai sensi del precedente art. 34;
– dette difformità sarebbero state, peraltro, sanzionabili col ripristino dello status quo ante (segnatamente, mediante rinuncia alla destinazione del sottotetto ad uso abitativo), se l’interessata fosse stata posta in condizioni di rappresentare siffatta possibilità in sede procedimentale.
2.1. A questo punto, giova, in primis, rammentare che, ai sensi dell’art. 6.7 (Interventi di demolizione e di ricostruzione con vincolo parziale) delle n.t.a. del p.d.r., "gli interventi di demolizione e di ricostruzione con vincolo parziale riguardano edifici demoliti a seguito dei danni riportati dai terremoti del novembre 1980 e del febbraio 1981 o da demolire, ma che, per la loro posizione, si ritiene debbano conservare la volumetria originaria ed essere inseriti in modo armonico nel contesto ambientale con particolare riguardo all’aspetto sul fronte stradale e su corti con caratteri architettonici unitari… dovranno essere, pertanto, ripristinati e conservati gli allineamenti esterni e la posizione dei collegamenti orizzontali (atri, passaggi, portici) e dovranno essere usati materiali adeguati alle caratteristiche storicoambientali dell’abitato. E’ possibile utilizzare per scopi residenziali soffitti e sottotetti purché: – ciò non comporti la modifica delle quote del preesistente solaio di copertura a tetto; – i vani abitabili abbiano un’altezza minima di m 2,10 e media di m 2,70; – i vani destinati a vani corridoi o disimpegni abbiano un’altezza minima di m 2,10 e media di m 2,40; – le eventuali finestrature siano piane… con qualsiasi esclusione di qualunque tipo di abbaino o falda aggiunta o sfalsata o lucernai convessi in alcun modo; – l’isolamento termico, l’omogeneità delle temperature e la ventilazione del solaio di copertura e dei suoi rivestimenti siano tali da garantire un "k" inferiore a 0,70 w/m 2h°C, un fattore di temperatura superficiale "f’, ecc…. Gli interventi non dovranno comportare l’aumento del numero dei piani".
2.2. Nella specie – come desumibile, segnatamente, dagli elaborati progettuali (sezioni longitudinali) assentiti con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570 – il preesistente edificio, abbattuto a seguito degli eventi sismici, presentava un’altezza complessiva, alla quota di imposta della falda di copertura, pari a m 3,30 (piano terra) + 3,55 (primo piano) + 3,50 (secondo piano) + 0,80 (sottotetto) + (0,35 x 3) (solai) = 12,20. La medesima altezza di m 12,20 riveniva, nella rappresentazione grafica del fabbricato autorizzato col citato titolo abilitativo edilizio, dalla seguente sommatoria: m 3,20 (piano terra) + 3,15 (primo piano) + 3,15 (secondo piano) + 1,95 (sottotetto) + (0,35 + 0,20 + 0,20) (solai).
Alla stregua del progetto (sezione longitudinale) rassegnato in sede di integrazione dell’istanza di sanatoria il 13 gennaio 2005 (prot. n. 449), l’edificio realizzato avrebbe raggiunto un’altezza complessiva pari a m 12,10, di cui m 3,15 per il piano terra, m 2,95 per il primo e il secondo piano, m 2,10 per il sottotetto. Mentre, alla stregua del progetto (sezione longitudinale) rassegnato in sede di integrazione dell’istanza di sanatoria il 18 novembre 2005 (prot. n. 19887), l’edificio realizzato avrebbe raggiunto un’altezza complessiva pari a m 12, di cui m 2,85 per il piano terra, il primo e il secondo piano, m 2,20 per il sottotetto.
Ancora, stando al verbale di sopralluogo, prot. n. 345/SUE, dell’11 ottobre 2005, l’edificio realizzato dalla C. denotava le seguenti differenze di altezze rispetto a quello assentito con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570: "- piano terra m 2,85 (progetto 3,35); – piano primo m 2,85 (progetto 3,15); – piano secondo m 2,85 (progetto 3,15); – piano sottotetto m 2,20 – lato via Borgo San Francesco (progetto 2,10)".
Ora, va chiarito che – a differenza di quanto prospettato da parte ricorrente – le misure relative alle altezze dei piani indicate nel progetto autorizzato con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, e quelle (inferiori) determinate in sede di integrazione dell’istanza di sanatoria e di sopralluogo sono tra loro omogenee, risultando, in entrambi i casi, inequivocabilmente al netto dello spessore dei solai, necessario a ragguagliare l’altezza complessiva (m 1212,20) dell’edificio.
Ebbene, dal raffronto tra tali misure omogenee emerge un rilevante scostamento verificatosi in sede di ricostruzione del fabbricato rispetto al progetto autorizzato con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570 (da m 3,20 a m 2,85 del piano terra; da m 3,15 a m 2,85 del primo e secondo piano; da m 1,95 a m 2,20 del sottotetto). Scostamento che ha comportato l’abbassamento delle quote dei solai interpiano e che ha consentito, in questo modo, di recuperare altezza a vantaggio del sottotetto, onde adeguarlo ai parametri fissati dall’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r., nonché dalla l. r. Campania, n. 15/2000, e, quindi, renderlo abitabile.
Una simile variazione collide con la enunciata disciplina di cui all’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r., che – come visto – impone il mantenimento della volumetria originaria e vieta l’aumento del numero dei piani negli interventi di demolizione e di ricostruzione con vincolo parziale.
Ed invero, essa ha dato luogo alla trasformazione di un originario sottotetto non abitabile in sottotetto abitabile (mansarda), ossia ad un incremento della volumetria e della superficie residenziale, con conseguente aggravio del carico urbanistico, nonché alla creazione di un piano ulteriore rispetto ai preesistenti tre fuori terra.
2.3. A quanto sopra si aggiunga che, a fronte delle apodittiche contestazioni di parte ricorrente, l’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r. risulta violato anche sotto il profilo dei valori ambientali da esso tutelati (armonico inserimento nel contesto paesaggistico e utilizzo di materiali adeguati alle caratteristiche storicoambientali dell’abitato): la Soprintendenza di Caserta e Benevento, con nota del 29 dicembre 2004, prot. n. 28564, ha, infatti, espresso parere sfavorevole, avendo ravvisato "la sostanziale modifica di un immobile tipico per il tessuto urbano nel quale è inserito", in quanto "il contenuto numero di piani e le finiture esterne dell’immobile originario sono stati annullati dall’eseguito intervento".
2.4. L’accertamento di incompatibilità delle opere de quibus con la disciplina dettata dall’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r. non risulta, poi, inficiato dalla circostanza – denunciata dalla C. – che l’amministrazione comunale intimata è addivenuta a tale conclusione dopo aver sostenuto l’applicabilità alla fattispecie in esame del precedente 6.4 delle n.t.a. del p.d.r.
Ciò, in quanto il modificato inquadramento degli interventi eseguiti dalla ricorrente in forza della concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, discende legittimamente non già da un arbitrario e ingiustificato revirement, bensì dal ponderato riesame della questione, provocato dall’ord. n. 649/2007 e svolto in contraddittorio con l’interessata.
2.5. Di qui anche la sopravvenuta carenza di interesse a dolersi del mancato annullamento d’ufficio della concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, e del parere della Soprintendenza di Caserta e Benevento, prot. n. 29085, del 17 dicembre 1998 (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.8).
Infatti, se, da un lato, i citati atti autorizzativi risultano emessi in conformità dell’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r., d’altro lato, l’amministrazione intimata ha chiarito di aver reputato le opere contestate contrastanti con la medesima norma urbanistica, così predicando l’abusività, e non già l’illegittimità e la connessa removibilità in autotutela dei secondi
2.6. Nella prospettiva delineata retro, sub n. 2.2 – di inconfigurabilità della ricostruzione postsismica ex art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r. – correttamente il Comune di Montesarchio ha, dunque, rapportato la sussistenza degli abusi commessi all’ipotesi di totale difformità rispetto all’assentito progetto di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione; ipotesi sanzionabile ai sensi dell’art. 33 del d.p.r. n. 380/2001.
L’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r. deve essere, infatti, comunque interpretato ed applicato in conformità al dettato comma 1, lett. d, dell’art. 3 del d.p.r. n. 380/2001, secondo cui rientrano tra gli interventi di ristrutturazione "quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica"; e ciò, in forza del disposto del successivo comma 2, in base al quale "le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi".
Conseguentemente, nell’autorizzare i richiesti interventi di ristrutturazione, giammai avrebbe potuto prescindersi dal nesso di corrispondenza dimensionale e morfologica, prescritto dall’art. 3, comma 1, lett. d, cit., tra l’immobile abbattuto – sia pure a causa di non recenti eventi sismici – e quello riedificato.
D’altronde, predicare la mera ricostruzione senza previa demolizione di un fabbricato già abbattuto molto tempo addietro – come adombra la C. – indurrebbe a ricollegare, in sostanza, la fattispecie in esame all’ipotesi di nuova costruzione (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 2967/2001; TAR Napoli, sez. IV, n. 1055/2006), che, in caso di totale difformità rispetto al progetto assentito, sarebbe più gravemente sanzionabile ai sensi dell’art. 31 del d.p.r. n. 380/2001.
2.7. Che, poi, a dispetto degli assunti della ricorrente, le difformità riscontrate fossero totali in rapporto al progetto assentito concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, emerge univocamente già solo dall’incremento di volumetria e di superficie residenziale, nonché dalla creazione di un nuovo piano abitabile, ottenuta tramite abbassamento dei solai interpiano e corrispettivo innalzamento del sottotetto, trasformato in mansarda abitabile. Ed emerge, vieppiù, in considerazione anche del mutamento dei prospetti e della sagoma esterna del fabbricato preesistente, così come rilevati nel verbale di sopralluogo, prot. n. 345/SUE, dell’11 ottobre 2005, nella nota del 7 dicembre 2005, prot. n. 414 SUE, nel provvedimento del 19 luglio 2006, prot. n. 13348, e nel provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982.
Simili difformità, dacché incidenti sulla volumetria e sulla sagoma dell’immobile preesistente, e, quindi, comportanti la realizzazione di un organismo edilizio sostanzialmente diverso per caratteristiche morfologiche e planovolumetriche rispetto al precedente, impedivano, dunque, di ricondurre le opere eseguite alla categoria della ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione, riveniente dall’art. 3, comma 1, lett. d, del d.p.r. n. 380/2001 (cfr. TAR Milano, sez. II, n. 2107/2010); categoria la quale include la possibilità di ottenere un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, purché, però, la diversità sia dovuta a interventi di ripristino del fabbricato preesistente e all’inserimento al suo interno di nuovi elementi e impianti, e non già alla realizzazione di nuovi volumi e alla modificazione della sagoma precedente (Cons. Stato, sez. IV, n. 1276/2007; n. 5214/2007; n. 1177/2008; TAR Bari, sez. III, n. 5030/2005; TAR Napoli, sez. IV, n. 25190/2010).
In altri termini, affinché potesse aversi ristrutturazione previa demolizione, avrebbe dovuto verificarsi la condizione indispensabile che il nuovo fabbricato risultasse sostanzialmente identico nella forma, nell’altezza e nel volume rispetto a quello preesistente, in modo da integrare la fedele ricostruzione (cfr. TAR Napoli, sez. II, n. 16667/2005; TAR Umbria, n. 476/2005). In mancanza di tale condizione, e ferma restando l’accertata inapplicabilità dell’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r., la difformità tra l’assentito progetto di ristrutturazione (mediante demolizione e fedele ricostruzione) e il fabbricato realizzato con differente volumetria e sagoma non poteva non qualificarsi totale e, pertanto, assoggettata al regime sanzionatorio di cui all’art. 33 del d.p.r. n. 380/2001.
2.8. Deve, infine, escludersi che gli abusi riscontrati fossero assoggettabili al ripristino dello status quo ante, senza compromettere l’integrità della struttura realizzata.
La riduzione in pristino, nei termini invocati dalla C., e cioè ottenuta tramite regressione della destinazione d’uso del sottotetto da abitativa a non abitativa, non è, infatti, configurabile.
In questo senso, occorre rimarcare che la destinazione d’uso residenziale richiesta con la d.i.a. dell’8 giugno 2004 (prot. n. 11323) era stata declinata dal Comune di Montesarchio con nota del 22 giugno 2004, prot. n. 12777.
Pertanto, essa riflette, allo stato dei fatti, unicamente l’assetto sostanziale (ossia strutturale, dimensionale e morfologico) impresso all’immobile attraverso i lavori eseguiti dalla ricorrente. Assetto che restituisce innegabilmente ed oggettivamente una configurazione del sottotetto mirata in termini di mansarda abitabile ai sensi dell’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r. e della l. r. Campania n. 15/2000, e che, quindi, considerata anche l’insussistenza di titoli abilitativi ad una simile destinazione d’uso, sarebbe rimuovibile non già sulla base di una operazione fittizia e nominalistica di classificazione come volume e superficie non residenziale, bensì soltanto mediante interventi edilizi di materiale trasformazione del fabbricato (segnatamente, di traslazione dei solai interpiano), tali, per complessità e consistenza, da incidere sulla stabilità di quest’ultimo.
Applicare, nella specie, la sanzione reale tramite la mera classificazione formale del sottotetto de quo come destinato ad uso non abitativo avrebbe comportato una sostanziale elusione della disciplina urbanistica dettata dall’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r., che impone il mantenimento della volumetria (residenziale) originaria e vieta l’aumento del numero dei piani negli interventi di demolizione e di ricostruzione con vincolo parziale.
3. La superiore conclusione vale, peraltro, anche ad elidere l’assunto di parte ricorrente, secondo cui la sanzione pecuniaria ex art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004 avrebbe dovuto escludersi o, comunque, sensibilmente ridursi in rapporto alla non vagliata possibilità di ripristinare lo status quo ante e, quindi, di eliminare, per tal via, il danno ambientale arrecato dalle opere abusive (cfr. motivi aggiunti rubricati retro, in narrativa, sub n. 7.7).
4. Passando ora al quinto dei motivi aggiunti (riportato retro, in narrativa, sub n. 7.5), con esso si lamenta che provvedimento impugnato non avrebbe tenuto conto della recuperabilità del sottotetto esistente alla data del 17 ottobre 2000, così come sancita dalla l. r. Campania n. 15/2000.
In senso contrario a un simile assunto, il Collegio rileva che, alla data del 17 ottobre 2000, il sottotetto dell’edificio ricostruito in forza della concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, non poteva dirsi esistente, in quanto realizzato in epoca successiva – ossia tra il 2 luglio 2001 (cfr. comunicazione di inizio lavori in pari data) e il 13 novembre 2003 (cfr. certificato di collaudo del 14 gennaio 2004) -, mentre il sottotetto del fabbricato originario risultava demolito unitamente a quest’ultimo molto tempo addietro e, comunque, non presentava le caratteristiche dimensionali previste dall’art. 3, comma 1, lett. c, della l. r. Campania n. 15/2000 (cfr. elaborato progettuale – sezione longitudinali – stato di fatto, allegato alla concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570)
5. La complessa e prolungata vicenda procedimentale conclusasi con l’adozione del provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982, risulta pienamente integrata dagli apporti partecipativi della C., la quale è stata posta in condizioni di rappresentare le proprie ragioni all’amministrazione intimata.
Al riguardo, giova rammentare che la ricorrente:
– è stata regolarmente destinataria di molteplici comunicazioni di avvio dei procedimenti relativi all’accertamento degli abusi contestati (nota del Comune di Montesarchio, prot. n. 12908, del 1° luglio 2004), alla sanatoria richiesta con istanza del 6 settembre 2004 (prot. n. 16436) (note del Comune di Montesarchio, prot. n. 16795, del 10 settembre 2004 e prot. n. 20674, del 30 novembre 2005), al riesame del provvedimento del 19 luglio 2006, prot. n. 13348 (note del Comune di Montesarchio, prot. n. 12430, del 20 giugno 2007, prot. n. 22426, del 15 novembre 2007, prot. n. 6755, del 27 marzo 2008 e prot. n. 7940, del 4 aprile 2008, prot. n. 10193, del 12 maggio 2008);
– ha avuto ampio modo di rassegnare solleciti, osservazioni e repliche rispetto ai ritardi, ai rilievi ed alle determinazioni dell’amministrazione intimata (cfr. note del 12 maggio 2006, del 22 maggio 2007, del 17 ottobre 2007, del 6 marzo 2008, del 28 marzo 2008, del 14 maggio 2008, del 22 ottobre 2008 e del 24 novembre 2008);
– con nota del 27 maggio 2008, prot. n. 1339, ha ricevuto il preavviso di rigetto dell’istanza di ritiro del provvedimento del 19 luglio 2006, prot. n. 13348 (nota del 22 maggio 2007) ed ha replicato ad esso con nota del 6 giugno 2008, dettagliatamente confutata nel gravato provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982;
– tramite il tecnico da lei incaricato, ha partecipato al sopralluogo congiunto con l’amministrazione comunale, svoltosi il 26 settembre 2005 (cfr. verbale dell’11 ottobre 2005, prot. n. 345/SUE);
– come si evince dalla nota del 22 ottobre 2008 e dal provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982, ha presenziato a un incontro tenutosi l’11 settembre 2008 con la Soprintendenza di Caserta e Benevento e il Comune di Montesarchio e, in tale occasione, ha potuto esaminare la documentazione resa disponibile.
Alla luce degli illustrati elementi fattuali, non è, dunque, fondatamente sostenibile che la C. non sarebbe stata posta in condizioni di rappresentare in sede procedimentale la possibilità di ripristino dello status quo ante (cfr. motivi di ricorso originario e motivi aggiunti rubricati retro, in narrativa, sub n. 3.5 e 7.2), atteso che una simile soluzione sanzionatoria figura da essa specificamente prospettata nelle note del 22 maggio 2007 e del 6 giugno 2008, nonché confutata dall’amministrazione comunale nel gravato provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982.
Così come non è fondatamente sostenibile che la ricorrente sarebbe stata illegittimamente esautorata dall’esame congiunto della questione, avvenuto il 15 maggio 2008 tra il Comune di Montesarchio e la Soprintendenza di Caserta e Benevento (cfr. motivi aggiunti rubricati retro, in narrativa, sub n. 7.3).
A tale ultimo riguardo, occorre rimarcare che le garanzie partecipative contemplate dagli artt. 7 ss. della l. n. 241/1990 non impongono un coinvolgimento (anche fisico) continuativo dell’interessato in tutte le fasi del procedimento, e, segnatamente, anche in quelle che prevedono l’apporto consultivo di un organo diverso da quello competente a provvedere, ma consentono all’interessato di informarsi e di far valere le proprie ragioni, a fini difensivi e collaborativi, mediante accesso agli atti e presentazione di documenti e deduzioni (cfr. artt. 10 e 10 bis della l. n. 241/1990), prima che l’amministrazione assuma una determinazione definitiva incidente sulla propria posizione soggettiva. Presidi che – come dianzi evidenziato – risultano appieno osservati nei confronti della C.
Ed è appena il caso di soggiungere che, dopo l’esame congiunto della questione, avvenuto il 15 maggio 2008 tra il Comune di Montesarchio e la Soprintendenza di Caserta e Benevento, la ricorrente ha, comunque, presenziato a un incontro tenutosi l’11 settembre 2008 con le due predette autorità amministrative e che, in tale occasione, ha potuto esaminare la documentazione resa disponibile, così soddisfacendo adeguatamente le proprie pretese partecipative.
6. Priva di pregio è anche la censura formulata col primo dei motivi aggiunti (rubricata retro, in narrativa, sub n. 7.1).
6.1. Secondo la C., la rilevata mancanza della necessaria autorizzazione paesaggistica avrebbe dovuto reputarsi sopperita dall’apposizione del visto sindacale sulla concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570.
In proposito, deve osservarsi che, in virtù del principio di tipicità degli atti amministrativi, il visto sindacale sulla concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, non avrebbe potuto surrogare l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 151 del d.lgs. n. 490/1999 (autonoma, nonché propedeutica al rilascio del titolo abilitativo edilizio: cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I quater, 4 settembre 2009, n. 8380).
6.2. Ancora stando alla prospettazione di parte ricorrente, l’omissione in parola avrebbe dovuto indurre l’amministrazione comunale ad annullare in autotutela il titolo abilitativo edilizio rilasciato, e non già a disporre l’irrogata sanzione pecuniaria; laddove, poi, un ipotetico annullamento d’ufficio non avrebbe trovato giustificazione rispetto al significativo arco temporale trascorso dall’emissione del predetto titolo abilitativo edilizio.
Innanzitutto, inconferente si appalesa il riferimento all’autotutela, in quanto il rilievo circa l’insussistenza dell’autorizzazione paesaggistica è sotteso a giustificare l’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004.
Per di più, tale rilievo si rivela incidentale e ininfluente rispetto al nucleo argomentativo posto a fondamento dell’accertata insanabilità degli abusi contestati, della inapplicabilità della misura repressivoripristinatoria e della conseguente irrogazione della sanzione alternativa pecuniaria.
7. Destituito di fondamento è, poi, l’assunto secondo cui illegittima sarebbe stata l’irrogazione della sanzione pecuniaria, disposta ai sensi dell’art. 4, comma 1, del d.m. 26 settembre 1997, nell’ipotesi – verificatasi nella specie – di danno ambientale pari a zero (cfr. motivi aggiunti rubricati retro, in narrativa, sub n. 7.7).
Al riguardo, il Collegio ritiene di non dover condividere la tesi accreditata da TAR Lazio, Roma, sez. II bis, 21 giugno 1999, n. 1521.
A tenore della decisione invocata da parte ricorrente, l’irrogazione della misura in parola presupporrebbe comunque l’esistenza e il conseguente accertamento del danno ambientale, seppure non avente gravità tale da richiedere la demolizione delle opere realizzate. Danno ambientale che costituirebbe lo specifico presupposto ontologico della misura definita, appunto, dall’art. 15 della l. n. 1497/1939 "indennità", mirando la norma a colpire l’illecito sostanziale, e non quello meramente formale.
A smentire il superiore approdo, depone, già sul piano lessicale, la circostanza che la vigente previsione dell’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004 ha sostituito il termine "indennità" con l’espressione "sanzione pecuniaria".
Ed invero, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale il Collegio non intende discostarsi: a) quella prevista dall’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004 è una vera e propria sanzione amministrativa, e non una misura riparatoriorisarcitoria; b) come tale, si concreta in un atto dovuto e prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale; c) il danno ambientale e il profitto conseguiti rilevano solo come parametri alternativi per la commisurazione del quantum della sanzione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 2 giugno 2000, n. 3184; 8 novembre 2000, n. 6007; sez. IV, 12 novembre 2002, n. 6279; sez. VI, 3 aprile 2003, n. 1729; 15 maggio 2003, n. 2653; 17 ottobre 2003, n. 6348; sez. IV, 3 novembre 2003, n. 7047; 25 novembre 2003, n. 7765; 4 febbraio 2004, n. 395; sez. II; 27 febbraio 2008, n. 1807/2005; sez. II, 9 aprile 2008, n. 708/2005; sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1464; sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2083; Cons. giust. amm. sic., sez. giur., 21 settembre 2010, n. 1221).
In considerazione di ciò, non può reputarsi illegittimo il citato art. 4, comma 1, del d.m. 26 settembre 1997, nella parte in cui prevede l’applicabilità della sanzione pecuniaria anche in caso di danno ambientale pari a zero. Così come non può reputarsi illegittima, in via consequenziale, la determinazione del Comune di Montesarchio, il quale, a fronte della perizia di stima giurata presentata dalla C., declinatoria della richiesta quantificazione della sanzione pecuniaria (cfr. retro, in narrativa, sub n. 2.5), ha, comunque, reputato irrogabile la misura punitiva prevista dall’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004.
8. Passando ora a scrutinare i motivi di gravame originario non ritenuti improcedibili (cfr. retro, sub n. 1), col sesto di essi (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.6) la ricorrente lamenta che i pareri della Soprintendenza di Caserta e Benevento, prot. n. 28564, del 29 dicembre 2004, e prot. n. 3261, del 14 febbraio 2006 sarebbero in contraddizione con quello del 17 dicembre 1998, prot. 29085, in quanto espressi sull’erroneo presupposto che i lavori da realizzare fossero riconducibili alla tipologia di cui all’art. 6.4 delle n.t.a. del p.d.r. del Comune di Montesarchio (risanamento conservativo di un immobile preesistente), e non alla tipologia di cui all’art. 6.7 delle n.t.a. cit. (ricostruzione di un immobile demolito tempo addietro).
Una simile argomentazione prova troppo.
In realtà, i censurati pareri della Soprintendenza di Caserta e Benevento, prot. n. 28564, del 29 dicembre 2004, e prot. n. 3261, del 14 febbraio 2006 non si rinviene alcun riferimento all’art. 6.4 in luogo dell’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r. del Comune di Montesarchio.
In particolare, il parere del 29 dicembre 2004, prot. n. 28564, aveva ravvisato "la sostanziale modifica di un immobile tipico per il tessuto urbano nel quale è inserito", in quanto "il contenuto numero di piani e le finiture esterne dell’immobile originario sono stati annullati dall’eseguito intervento".
A dispetto delle proposizioni di parte ricorrente, tale rilievo deve intendersi formulato proprio in funzione dell’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r., il quale, per gli interventi di demolizione e di ricostruzione con vincolo parziale, impone, da un lato, l’armonico inserimento nel contesto paesaggistico e l’utilizzo di materiali adeguati alle caratteristiche storicoambientali dell’abitato e vieta, d’altro lato, l’aumento del numero dei piani (cfr. retro, sub n. 2.1, 2.2 e 2.3).
In questo senso, la stessa Soprintendenza di Caserta e Benevento, con nota del 29 dicembre 2006, depositata in giudizio il 22 gennaio 2007, ha chiarito di aver reputato le opere abusive de quibus incompatibili con la previsione dell’art. 18 delle n.a. del p.t.p. – ambito Taburno, la quale, nella zona r.u.a., ammette l’esecuzione di interventi di ristrutturazione edilizia parziale o integrale, ossia di interventi omogenei alla categoria contemplata dall’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r.
Ciò posto, nessuna contraddizione è ravvisabile tra il parere favorevole del 17 dicembre 1998, prot. 29085, e i successivi pareri sfavorevoli del 29 dicembre 2004, prot. n. 28564, e del 14 febbraio 2006, prot. n. 3261.
Infatti, mentre il primo parere era stato espresso in ordine a un progetto ritenuto conforme all’art. 6.7 delle n.t.a. del p.d.r., dacché avente per oggetto la fedele ricostruzione dell’originario edificio abbattuto, gli altri due pareri erano stati espressi in ordine alla richiesta sanatoria di opere risultate in totale difformità dal predetto progetto e, quindi, in contrasto con le regole dettate dall’art. 6.7 cit.
9. Con la nona censura si lamenta che alla irrogata sanzione pecuniaria non avrebbe fatto riscontro la sanatoria degli interventi abusivi (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.9).
In questo modo, si finisce per confondere gli effetti sananti, propri dell’oblazione ex art. 36, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001, con quelli afflittivi, propri della sanzione alternativa pecuniaria ex art. 33, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 (cfr., sia pure con riferimento all’art. 34, comma 2, anziché all’art. 33, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001, Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1474; cfr. anche TAR Toscana, Firenze, sez. II, 19 settembre 2006, n. 3984).
E si omette di considerare che, comunque, se il rilascio del permesso di costruire in sanatoria è subordinato al pagamento dell’oblazione, il consolidarsi dello stato di fatto ingenerato da interventi di ristrutturazione in totale difformità è da intendersi, vieppiù, subordinato al pagamento della sanzione alternativa pecuniaria, che, nella specie, non risulta effettuato dalla ricorrente.
Pertanto, correttamente il Comune di Montesarchio, nell’impugnato provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982, ha evidenziato che l’invocata legittimazione delle opere abusive contestate avrebbe potuto essere ottenuta dalla C. a seguito del pagamento della sanzione alternativa pecuniaria.
10. In base al tredicesimo motivo di ricorso, le lacune del progetto assentito con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, avrebbero reso inevitabili variazioni dettate da esigenze di ordine tecnico e non riconducibili al novero delle difformità totali (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.13).
Al riguardo, deve, in primis, obiettarsi che la C. indica in maniera del tutto generica le asserite lacune progettuali e non dimostra puntualmente il loro nesso eziologico con le variazioni apportate in sede esecutiva.
Quanto alle altezze dei solai interpiano, gli elaborati grafici assentiti con la concessione edilizia del 2 agosto 2000, prot. n. 5570, si presentano, anzi, tanto dettagliati nel riportare le relative misure da far escludere la pretesa indeterminatezza del progetto.
Occorre, poi, soggiungere che, in ogni caso, la prospettata insufficienza progettuale avrebbe potuto, al più, comportare la necessità di predisporre varianti in corso d’opera (peraltro, non richieste dalla ricorrente né, tanto meno, autorizzate dall’amministrazione comunale), ma giammai avrebbe potuto giustificare l’esecuzione dei riscontrati interventi in totale difformità, dacché incidenti sulla volumetria e sulla sagoma dell’immobile preesistente, e, quindi, implicanti la realizzazione di un organismo edilizio sostanzialmente diverso per caratteristiche morfologiche e planovolumetriche rispetto al precedente (sul punto, cfr. retro, sub n. 2.6).
Ed invero, possono definirsi varianti in corso d’opera i soli interventi edilizi in lieve difformità dal progetto assentito, che si rendano necessari nel corso dell’edificazione per ragioni tecniche non previste o prevedibili al momento della redazione di esso, mentre non possono ricondursi a tale categoria gli interventi edilizi implicanti – come nella fattispecie in esame – una radicale modifica dell’originario progetto di ristrutturazione nel senso della nuova costruzione (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 9 marzo 2011, n. 642).
11. A questo punto, resta da scrutinare il decimo motivo di impugnazione introduttiva, secondo cui, ai fini del calcolo dell’irrogata sanzione pecuniaria, il Comune di Montesarchio avrebbe erroneamente applicato il criterio (doppio del costo di produzione) proprio degli interventi edilizi eseguiti in parziale difformità, anziché quello (doppio del’aumento di valore dell’immobile) proprio degli interventi edilizi eseguiti in totale difformità dal titolo abilitativo rilasciato, ossia proprio degli abusi contestati nella specie (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.10).
Ora, a norma dell’art. 33, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001, "qualora, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla l. 27 luglio 1978, n. 392, e con riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non tenuti all’applicazione della legge medesima, del parametro relativo all’ubicazione e con l’equiparazione alla categoria A/1 delle categorie non comprese nell’articolo 16 della medesima legge".
Ai sensi del successivo art. 34, comma 2, "quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla l. 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale".
Ebbene, il provvedimento del 19 luglio 2006, prot. n. 13348, confermato dal provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982, pur richiamando l’art. 33, comma 2, cit., risulta aver espressamente commisurato la sanzione pecuniaria applicata al costo di produzione della parte difforme, calcolato in base ai parametri della l. n. 392/1978, anziché all’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere abusive, calcolato avendo riguardo all’ultimo costo di produzione.
Il criterio di calcolo adottato dall’amministrazione comunale è, pertanto, illegittimo, in quanto non corrispondente a quello normativamente previsto per la fattispecie sanzionata (interventi edilizi eseguiti in totale difformità dal titolo abilitativo alla ristrutturazione).
12. In conclusione, stante la rilevata fondatezza del decimo motivo di originario gravame, nonché la ravvisata improcedibilità o infondatezza di tutte le restanti censure, il ricorso in epigrafe deve essere accolto in parte qua, con conseguente annullamento del provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982, limitatamente alla determinazione della sanzione pecuniaria ex art. 33, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001.
13. L’avanzata domanda di risarcimento del danno derivante dalla condotta asseritamente illegittima dell’amministrazione comunale intimata deve essere respinta.
In proposito, deve osservarsi che, in disparte l’erronea applicazione del criterio di calcolo della irrogata sanzione alternativa pecuniaria, gli atti posti in essere dal Comune di Montesarchio si sono rivelati immuni dai vizi denunciati da parte ricorrente con riguardo all’applicabilità della misura adottata, alla insanabilità degli abusi contestati ed alla correttezza dell’iter procedimentale seguito. Cosicché non è predicabile alcun nesso eziologico tra l’operato dell’amministrazione intimata e il danno lamentato in termini di mancato utilizzo e di deterioramento dell’immobile controverso, di spese sostenute e di aggravio esistenziale in relazione alla complessa vicenda definita col provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982.
14. Considerata la parziale soccombenza della ricorrente, sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese, i diritti e gli onorari di lite.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, accoglie in parte qua il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla provvedimento del 17 dicembre 2008, prot. n. 25982, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Respinge la connessa domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario.
Compensa interamente tra le parti le spese, i diritti e gli onorari di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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