Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. E’ impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania 19 marzo 2008 n. 1807 che ha respinto la richiesta risarcitoria proposta dalla odierna appellante S. T. s.r.l. in via consequenziale rispetto all’annullamento giurisdizionale (disposto con sentenza dello stesso Tribunale amministrativo 4 marzo 2005 n. 1608) dell’atto di esclusione di essa ricorrente dalla gara d’appalto bandita dalla C. s.r.l. per l’affidamento dell’indagine per il calcolo del numero dei viaggiatori delle linee della ferrovia C. nonché della stima degli elementi caratterizzanti il trasporto ed il monitoraggio della customer satisfation. A base dell’esclusione la stazione appaltante aveva posto la circostanza che la società appellante aveva proposto istanza di partecipazione alla gara in raggruppamento ancora da costituire con Adacta s.r.l..
Con detta sentenza (confermata dal Consiglio di Stato con decisione del 9 maggio 2006, n. 2556) quel giudice ha ritenuto illegittima l’esclusione, dichiarando tuttavia inammissibile la consequenziale domanda risarcitoria perché proposta per la prima volta in comparsa conclusiva, non ritualmente notificata.
2. A seguito della nuova domanda risarcitoria proposta con autonomo ricorso, lo stesso Tribunale amministrativo ha reso la sentenza qui impugnata, con la quale ha rilevato la carenza probatoria della domanda risarcitoria, sotto il profilo che la società ricorrente non aveva dimostrato di poter restare aggiudicataria dell’appalto e che, in ogni caso, non era stata provata neppure la perdita di chance (per tale dovendosi intendere necessariamente una chance superiore al 50%).
Tale sentenza è stata impugnata con l’appello in esame, con il quale la società ricorrente, nel rilevare l’erroneità della gravata decisione reiettiva, insiste nel ritenere provata in tutti gli elementi la domanda di risarcimento dei danni, quantomeno sotto il profilo della perdita di chance di aggiudicazione cui la illegittima esclusione dalla gara in oggetto avrebbe dato luogo.
Si è costituita la appellata società per resistere all’appello e per chiederne la reiezione.
All’udienza del 19 luglio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
3. L’appello è fondato e va accolto per quanto di ragione.
E’ evidente anzitutto che, essendo stata già esperita la gara ed integralmente eseguito il contratto stipulato con l’aggiudicataria, la violazione dell’interesse (partecipativo) della ricorrente potrebbe trovare riparazione soltanto per equivalente, e non più in forma specifica.
Nel merito, il Collegio non condivide le conclusioni negative cui è giunto il giudice di primo grado circa la possibilità di accordare in concreto, per ritenuta carenza probatoria della domanda, una riparazione patrimoniale alla ricorrente.
3.1 Va premesso che, circa la natura della responsabilità della pubblica amministrazione per i danni causati per effetto dell’esercizio illegittimo dell’attività amministrativa, la qualificazione che qui appare preferibile è – in considerazione della circostanza che sono state violate norme generali dell’azione amministrativa, piuttosto che regole poste dalla lex specialis della gara – quella della responsabilità aquiliana, in ragione della maggiore coerenza della struttura, oltre che delle regole di accertamento, dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della condotta amministrativa lesiva, per dette ragioni, di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela (cfr. Cons. Stato, VI, 20 gennaio 2009, n. 242; IV, 3 marzo 2009, n. 1206; V, 20 ottobre 2008 n. 5124; IV, 29 luglio 2008 n. 3723; VI, 19 giugno 2008 n. 3059; IV, 10 agosto 2007, n. 4401; VI, 23 giugno 2006 n. 3981; 9 novembre 2006 n. 6607; 9 marzo 2007 n. 1114; IV, 6 luglio 2004 n. 5012; 10 agosto 2004 n. 5500), in specie in caso di annullamento dell’aggiudicazione di un pubblico appalto (Cons. Stato, VI, 3 aprile 2007, n. 1513). Viene infatti in rilievo non tanto la violazione delle specifiche regole di correttezza o di condotta valevoli solo tra le parti ormai in concreto contatto a tutela della reciproca posizione, quanto, prima ancora, la violazione di norme imperative o di principi generali valevoli di loro ed erga omnes, espressivi di regole generali di comportamento dell’amministrazione pubblica poste dalla legge a tutela indifferenziata di interessi pubblici e in genere di tutti i particolari, indipendentemente e prima della concretezza del singolo rapporto instaurato con la domanda di partecipazione ad un procedimento: vale a dire, prima delle regole specifiche e relative del singolo rapporto procedimentale, rileva la violazione del precetto, generale e assoluto, del neminem laedere.
Questa violazione è sufficiente a qualificare coma ingiusto, a termini dell’art. 2043 Cod. civ., il danno patito dalla società, senza dover invocare la più intensa (ad es. per durata del termine di prescrizione o per onere della prova circa la colpa) tutela risarcitoria, propria dei rapporti relativi (ex art. 1218 Cod. civ.), come sarebbe se la fonte dell’illegittimità fosse la violazione delle norme della singola gara.
Un tale tipo di violazione può, al contempo, esser causa non solo dell’illegittimità degli atti o dei provvedimenti relativi al procedimento amministrativo di scelta del contraente, ma anche dell’ingiustizia del conseguente danno patito da chi ha subito la lesione del proprio interesse pretensivo all’aggiudicazione di una gara, con la conseguenza di una possibile responsabilità, appunto extracontrattuale, dell’amministrazione.
3.2 Nel caso in esame è conclamata, per quanto detto in fatto e definita dal giudicato di annullamento, l’illegittimità del provvedimento di esclusione della ricorrente dalla gara d’appalto indicata. E’ altresì acclarato che tale esclusione è stata disposta mediante una violazione grave delle regole partecipative poste in base alla normativa comunitaria e nazionale sui contratti pubblici, giacché il conferimento del mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una delle imprese riunite doveva ritenersi elemento sufficiente (ai sensi dell’art. 23 d.lgs. 17 marzo 1995, n. 158 di attuazione delle direttive 90/531/CEE e 93/38/CEE sulle procedure di appalti nei settori esclusi) a garantire la partecipazione alla gara del costituendo organismo plurisoggettivo, senza che in contrario valesse la riserva di costituzione dell’associazione soltanto in caso di aggiudicazione (Cons. Stato, VI, 9 maggio 2006 n. 2556).
Sul piano dell’imputabilità della violazione va ribadito, anche sulla base dei richiamati precedenti giurisprudenziali, che – nonostante la natura extracontrattuale della responsabilità dell’amministrazione – non è richiesto al danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo l’adempimento ad un particolare onere probatorio circa la colpa dell’amministrazione medesima. Infatti, anche se non è configurabile una qualche generalizzata presunzione di colpa dell’amministrazione per questo tipo di danni, valgono comunque, nell’atteggiarsi del caso concreto, le regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all’art. 2727 Cod. civ., desumibile dalla singola fattispecie.
L’illegittimità del provvedimento, in questo quadro,rappresenta un possibile indice presuntivo di quella colpa; così come altre circostanze, che risultino idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Di fronte a siffatte evenienze, spetta allora all’amministrazione eccepire e dimostrare che si è trattato di errore scusabile, come ad esempio può essere in caso di oggettiva incertezza circa la portata di una norma, specie se da poco entrata in vigore, o di particolare complessità dei fatti, o di influenza determinante di comportamenti altrui, o di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.
Nel caso qui in esame, l’Amministrazione non sembra poter invocare una giustificazione utile ad elidere la colpa che può essere desunta dall’evidenza della regola fondamentale che ha violato in danno dell’interessata e l’inerente grave negligenza imputabile alla stazione appaltante. Tanto conduce a ritenere sussistente l’elemento della colpa.
Venendo alla quantificazione del danno, poiché la ricorrente non ha fornito la prova che il corretto esito della gara avrebbe condotto senz’altro alla aggiudicazione in suo favore, si deve ritenere che la lesione sia da contenere nella mera perdita di chance, posto che la partecipazione alla gara avrebbe potuto essere di base alla possibilità di restarne aggiudicataria.
Questa perdita di chance va rapportata in termini percentuali all’utile in astratto conseguibile in ipotesi di aggiudicazione della gara ed esecuzione dell’appalto: utile che, secondo un consolidato criterio, va presuntivamente stimato nel 10% dell’importo posto a base d’asta, ribassato dall’offerta presentata (Cons. Stato, V, 8 luglio 2002, n. 3796; IV, 6 luglio 2004, n. 5012). Tale quantificazione va qui poi congruamente ridotta, vuoi perché si tratta di risarcire una mera chance di aggiudicazione, vuoi perché l’interessata non ha dimostrato di essere stata nell’impossibilità di utilizzare, durante il tempo di esecuzione del servizio per cui è giudizio, mezzi e maestranze per l’espletamento di altri e diversi servizi (Cons. Stato, V 24 ottobre 2002, n. 5860; VI, 9 novembre 2006, n. 6607).
Invero, come di recente rilevato da questa Sezione (Cons. Stato, VI, 18 marzo 2011, n. 1681), ad evitare che a seguito del risarcimento il danneggiato possa locupletare un effetto finanziario addirittura migliore rispetto a quello in cui si sarebbe trovato in assenza dell’illecito, dal decimo dell’importo così stimato va detratto quanto percepito dall’impresa grazie allo svolgimento di attività lucrative diverse, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l’appalto in contestazione. Nondimeno, l’onere di provare (l’assenza del)l’aliunde perceptum vel percipiendum grava non sull’Amministrazione, ma sull’impresa: e ciò in ragione della presunzione, secondo l’id quod plerumque accidit, che l’imprenditore normalmente diligente (cfr. art. 1227 Cod. civ.) non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma persegue occasioni contrattuali alternative, dalla cui esecuzione trae il relativo utile.
4. In definitiva, alla luce delle considerazioni che precedono, il risarcimento dovuto alla ricorrente può essere determinato alla stregua dei seguenti criteri di calcolo: a) attesa la presenza di due soli concorrenti in gara, la chance di aggiudicazione in capo all’appellante può essere determinata nella misura percentuale del 50%; b) l’utile dalla singola impresa (da determinare presuntivamente, come detto, nel 10% del ribasso offerto) va corrispondentemente ridotto della metà rispetto alla misura ordinaria, di tal che all’appellante può essere riconosciuto come danno risarcibile il 5% della sua offerta in ribasso (risultata pari, detta offerta, ad euro 187.700,00); c) questa somma merita di essere ulteriormente ridotta in ragione della mancata prova dell’inesistenza di un aliunde perceptum; d)nondimeno, il Collegio ritiene che non si debba, in pratica, far luogo a tale ulteriore diminuzione di calcolo in considerazione della compensazione tra siffatta sottrazione e quanto spettante alla ricorrente a titolo di danno curriculare, di cui pure essa ha domandato il ristoro.
In effetti, appare al Collegio che anche tale ultimo elemento di danno sussista, in relazione alla maggiore qualificazione professionale che sarebbe derivata alla ricorrente dall’esecuzione dell’appalto in questione, anche ai fini della spendibilità in altre e ulteriori gare pubbliche di un più significativo profilo curriculare (es. Cons. Stato, VI, 9 giugno 2008, n. 2751; VI, 11 gennaio 2010, n. 20; 21 settembre 2010, n. 7004; VI, 18 marzo 2011, n. 1681): elemento che equitativamente può essere stimato, come entità, corrispondente al presumibile uso che l’impresa può aver fatto presso altri cantieri delle maestranze e dei mezzi durante il tempo relativo alla esecuzione (mancata) dell’appalto in questione. Ne consegue che queste due voci risarcitorie (perdita di chance e danno curricolare), pur distintamente considerate si compensano, tanto più che sono entrambe fondate su elementi presuntivi e probabilistici: da un lato l’arricchimento curriculare può derivare soltanto da un’effettiva esecuzione della commessa, il che presuppone la certezza – che qui manca- dell’esito della gara in favore dell’odierna appellante (ciò che invece qui si è ammesso in meri termini probabilistici, nella misura del 50%); da un altro, l’aliud perceptum vel percipiendum è anch’esso fondato su elementi presuntivi (che valgono in casi, come il presente, dove è mancata la dimostrazione di non aver effettivamente lavorato), posto come detto che, per comune esperienza, un imprenditore di media diligenza non usa restare inoperoso ma ricerca commesse alternative per non immobilizzare mezzi e maestranze. Non vi è contraddizione nel riconoscimento delle due (contrapposte) voci risarcitorie perché entrambe si fondano su dati presuntivi tratti dalla comune esperienza, e la presunzione di aliunde perceptum non può ragionevolmente essere spinta fino a darvi per scontato come altrove acquisito anche un simile arricchimento curricolare. Inoltre, nella liquidazione del danno curriculare, il quantum va come detto ridotto perché va tenuto conto che qui non va risarcito il danno da mancata aggiudicazione, ma quello da perdita di chance di aggiudicazione.
D’altra parte, per escludere in radice il danno curriculare occorrerebbe che la stazione appaltante fornisca in positivo la dimostrazione di un aliunde perceptum da parte dell’impresa, con tanto di eguale qualificazione curricolare: in presenza del che, effettivamente, una tal voce di danno non spetterebbe perché si risolverebbe in una iniusta locupletatio.
Per effetto di tutto quanto detto,il danno qui da risarcire è conclusivamente determinato nel 5% dell’offerta prodotta in gara dalla appellante.
In definitiva, dato che il ribasso offerto dalla ricorrente è risultato pari a euro 187.700,00 ne viene che le spetta per risarcimento dei danni per mancato guadagno (lucro cessante), la somma di euro 9.385,00 (cioè il 5% di euro 187.700,00). Questa somma va poi maggiorata per rivalutazione monetaria ed interessi legali dal dì del fatto (i.e., dalla data del provvedimento di esclusione) al soddisfo.
5. Quanto al c.d. danno emergente, vale a dire alle spese sostenute per la partecipazione alla gara, il Collegio considera che non sono di loro risarcibili in favore dell’impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell’appalto (o anche la sola perdita della relativa chance). Invero, la partecipazione alle gare pubbliche di appalto comporta per le imprese costi che, di norma, restano a carico delle imprese medesime sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione. Detti costi di partecipazione, come questa Sezione ha avuto modo di precisare (Cons. Stato, VI, 4 settembre 2002, n. 4435; 9 giugno 2008, n. 2751), si colorano come risarcibile danno emergente solo se l’impresa illegittimamente esclusa lamenti (e chieda di essere tenuta indenne in relazione a) questo profilo dell’illegittimità procedimentale, perché in tal caso viene in considerazione soltanto la pretesa risarcitoria del contraente che si duole del fatto di essere stato coinvolto in trattative inutili. Tali danni, peraltro, vanno, in via prioritaria e preferenziale, ristorati in forma specifica, mediante rinnovo delle operazioni di gara e solo ove tale rinnovo non sia possibile, vanno ristorati per equivalente. Per converso, nel caso in cui l’impresa ottenga il risarcimento del lucro cessante per mancata aggiudicazione (o per la perdita della possibilità di aggiudicazione) non vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall’aggiudicazione.
6 In conclusione, il ricorso in appello va accolto nei sensi e limiti di cui innanzi e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto negli stessi limiti il ricorso proposto in primo grado.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e limiti di cui in motivazione.
Condanna la appellata C. srl al pagamento in favore dell’appellante delle spese e competenze del doppio grado di giudizio che liquida in complessivi euro 7.500,00 (settemilacinquecento/00), oltre IVA e CAP come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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