Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-07-2011) 26-08-2011, n. 32914

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza di cui in epigrafe, la CdA di Lecce ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale D.D.P. fu condannato alla pena di giustizia perchè riconosciuto colpevole del delitto ex art. 455 c.p., per aver detenuto al fine di metterle in circolazione, due banconote contraffatte da 100 Euro.

Ricorre per cassazione il difensore deducendo violazione dell’art. 455 c.p., e carenze dell’apparato motivazionale, atteso che i giudici del merito hanno solo apparentemente motivato in ordine all’elemento psicologico del delitto de qua. L’ipotesi di detenzione di banconote falsificate presuppone (come quella di acquisto e introduzione nel territorio nazionale) il dolo specifico, vale a dire l’intenzione di porre in circolazione le stesse. Tale elemento psicologico non può desumersi da meri dati sintomatici o dal silenzio serbato dall’imputato, trattandosi di una condotta processuale lecita, che non può essere valutata in danno del predetto.

Le considerazioni che la CdA svolge al proposito sono meramente congetturali e, anzi, contrastanti con la comune logica. Invero, se le banconote erano in vista sul cruscotto dell’auto del D.D., trattasi di circostanza quantomeno equivoca e tendenzialmente inconciliabile con il proposito di "spacciarle".

La prova del dolo deve essere certa, rigorosa e desumibile da gravi e sicuri elementi sintomatici, ma mai attraverso una valutazione negativa di una facoltà prevista dalla legge (il silenzio dell’imputato).

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato, ai limiti della inammissibilità, attesa anche la parziale contraddittorietà delle argomentazioni formulate.

Invero, il ricorrente, in un primo tempo, testualmente afferma che il "dolo non può essere desunto solo da elementi sintomatici, quindi aggiunge (alla pagina seguente) che la prova del dolo" deve essere positivamente desumibile da elementi sintomatici.

In realtà, in considerazione della insondabilità della sfera psichica, non certamente "ispezionabile" da parte della AG (e vigendo il divieto di ricorrere a mezzi invasivi di introspezione psicologica), solo attraverso le modalità della condotta si può tentare di ricostruire l’animus dell’agente, distinguendo, ad esempio, un omicidio volontario da un omicidio colposo.

Orbene, per quanto riguarda il delitto ex art. 455 c.p., sub specie di detenzione a fini di spaccio, è certamente corretto ricordare che il delitto è configurabile solo se vi sia l’intenzione del soggetto agente di mettere in circolazione le banconote contraffatte, ricevute in malafede (es. ASN 200725500-RV 237006), ma non c’è dubbio che tale dolo specifico possa essere liberamente (purchè logicamente) desunto da qualsiasi elemento di "contorno" (numero delle banconote detenute, modalità di detenzione, condotta dell’agente al momento del fatto, condotta successiva ecc.).

Così, si è ritenuto (ASN 199914659-RV 215187) che circostanza equivoca sia la detenzione di una sola banconota falsa, per di più a fronte della prospettazione difensiva di averla ricevuta in buona fede e di averla conservata, una volta accertatane la falsità, per farla costatare al cedente.

Conseguentemente, come non può dirsi illogica la motivazione che valorizza il numero delle banconote false, così è certamente valutabile il difetto di una qualsiasi indicazione, da parte dell’imputato, circa la provenienza e un qualunque diverso e lecito fine della detenzione. Tali elementi vanno ritenuti sintomatici e convergenti verso il riconoscimento del dolo proprio del reato in esame (ASN 200005617-RV 216305).

Invero, non può dimenticarsi che la funzione di una banconota è la sua circolazione (scambio di denaro contro merci o servizi o contro valuta estera), di talchè, secondo l’id quod plerumque accidt, si detiene una banconota per poi spenderla.

Con riferimento alla condotta accertata a suo carico (detenzione di due banconote false recanti il medesimo numero di codice), l’imputato, come è suo diritto, non ha voluto rendere dichiarazioni.

Orbene, va solo ricordato che l’ordinamento penale, nel riconoscere all’imputato il diritto alla reticenza, al silenzio (e, addirittura, alla menzogna, sempre che non sconfini nella calunnia), riconosce del pari al giudice la facoltà di valutare il comportamento tenuto durante lo svolgimento del processo (ASN199010891 – RV 185019, in tema di diniego di circostanze ex art. 62 bis c.p.). Infatti certamente non è precluso a chi deve emettere una sentenza valutare la condotta processuale dell’imputato, coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la conseguenza che egli, nella formazione del suo libero convincimento, ben può considerare, in concorso di altri elementi, la portata significativa del silenzio su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo (ASN 201022651-RV 247426).

D’altronde, che la condotta processuale sia valutabile, non può esser dubbio. Non si comprende perchè non dovrebbe esserlo quella particolare condotta processuale che si estrinseca nel silenzio. E valutare una condotta non significa – come sembra credere il ricorrente – censurarla. Al D.D. nessun rimprovero può esser mosso per il suo silenzio, ma ciò non significa che tale condotta debba essere considerata tamquam non esset, in quanto tutto ciò che accade nel processo ha (può avere) rilievo.

Nel caso in esame, la Corte salentina, accanto alla ricordata "scena muta" del D.D. (che, dunque, nulla ha inteso dire circa la provenienza delle banconote, la identità del cedente, le circostanze in cui ne venne a conoscenza, l’eventuale consapevolezza della loro falsità, e il momento in cui tale consapevolezza maturò), ha apprezzato le dichiarazioni degli operanti, che hanno ragguagliato il giudicante circa l’evidente nervosismo e la trasparente preoccupazione mostrati dall’imputato al momento della perquisizione, la collocazione delle banconote in auto, la mancanza sulla motivazione, pertanto, non e nè illogica, nè carente e il dettato dell’art. 455 c.p. non è stato erroneamente interpretato. Consegue condanna alle spese del grado.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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