Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Il Comune di Caivano con il provvedimento in epigrafe ha negato il condono edilizio, chiesto dai ricorrenti in relazione a 2 distinte unità abitative poste al secondo piano di uno stabile sito in località Pascarola, Via Cicerone s.n.c., sull’assunto del mancato versamento dell’intera oblazione dovuta e degli oneri concessori e della mancata presentazione dell’istanza di condono edilizio (anche) per la restante porzione di fabbricato situata al piano terra e primo piano.
Gli interessati hanno impugnato il diniego deducendo i seguenti motivi:
eccesso di potere; violazione del giusto procedimento; errata interpretazione; falsa applicazione; violazione di legge; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
Il fabbricato interessato dalle domande di condono non supererebbe complessivamente i 3000 m³, e le nuove unità abitative realizzate avrebbero dimensioni inferiori ai 750 m³, come previsto dall’articolo 32, comma 25, del decretolegge 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003.
La mancata presentazione della domanda di condono per le altre unità immobiliari facenti parte dell’unico edificio non escluderebbe la possibilità di ottenere il beneficio richiesto, perché ricorrerebbero entrambi presupposti del limite di 750 m³ riguardanti le singole unità immobiliari e quello dei 3000 m³ dell’intero nuovo edificio.
Il mancato versamento dell’intero importo dell’oblazione non impedirebbe il rilascio del condono, posto che l’unica conseguenza sarebbe quella del pagamento del saldo maggiorato degli interessi.
Peraltro il Comune non avrebbe ancora adottato la delibera sui criteri di determinazione dell’importo degli oneri concessori ai sensi dell’articolo 16 del d.p.r. 380/2001, per cui l’Amministrazione non avrebbe potuto negare il condono invocando il mancato versamento degli oneri.
Il Comune di Caivano si è costituito in giudizio per resistere al ricorso.
All’udienza pubblica della 14 luglio 2011 la causa è stata tutta in decisione dal collegio.
Motivi della decisione
1. I ricorrenti hanno impugnato il diniego di condono espresso dal Comune di Caivano, dopo aver rilevato che la domanda di sanatoria si riferiva ad un fabbricato (composto di tre piani fuori terra) per il quale i ricorrenti avevano chiesto di condonare solo una parte dell’edificio (il 2^ piano) e che non erano stati versati l’intera oblazione dovuta e gli oneri concessori.
Gli interessati, con il primo motivo, deducono che la mancata presentazione di domanda di condono per le restanti parti dell’edificio non impedirebbe il rilascio della sanatoria richiesta.
La tesi non convince.
2. In proposito si osserva preliminarmente che l’art. 39, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (richiamato dall’articolo 32, comma 25, del decreto legge 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003), nel prevedere il condono edilizio di opere edilizie, stabilisce che il beneficio può essere richiesto per le costruzioni che, indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, avevano avuto un ampliamento non superiore a 750 mc., ovvero per le nuove costruzioni per una cubatura non superiore ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3000 m³.
Nel caso di specie le istanze di condono presentate dai ricorrenti non riguardano tutto l’immobile (composto di tre piani fuori terra), ma soltanto la parte situata al secondo piano, con esclusione quindi del piano terra e del primo piano.
L’omessa presentazione di una richiesta di condono per le altre porzioni del fabbricato, di per sé, si rivela idonea a giustificare il provvedimento di diniego impugnato, poiché sarebbe del tutto illogico consentire la sanatoria di una sola parte dell’edificio illegittimamente realizzato, senza definire la vicenda dell’intero abuso edilizio. Tutto ciò non senza considerato, altresì, che la richiesta di condono è stata presentata solo per la parte situata al piano più elevato, all’evidente scopo di impedire la demolizione delle restanti porzioni del fabbricato (piano terra e primo piano) sui cui il secondo piano si fonda.
3. A sostegno della legittimità del diniego opposto dal Comune valgono le seguenti ulteriori considerazioni.
Ai fini della valutazione dell’eventuale superamento del limite massimo di cubatura condonabile fissato dal menzionato art. 32, comma 25, del D.L. 269/2003, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che va fatto riferimento alla unitarietà dell’immobile o del complesso immobiliare, ove è stato realizzato l’abuso edilizio in esecuzione di un disegno unitario, essendo irrilevante la suddivisione dell’opera in più unità abitative (Consiglio di stato, sez. V, 3 marzo 2001, n. 1229).
Anche la Corte Costituzionale con sentenza 23 luglio 1996, n. 302, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità Costituzionale dell’art. 39, primo comma, della legge n. 724 del 1994, ha rilevato che il soggetto legittimato non può utilizzare separate domande per aggirare il limite di volumetria previsto, da ritenersi assoluto ed inderogabile per escludere in radice la realizzazione di opere abusive.
Considerato, quindi, che in materia di condono edilizio disciplinato dalla legge n. 724/1994 e dalla l. 326/2003, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, ne consegue che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare l’elusione del limite di 750 mc. attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell’intero complesso (Cassazione penale, sez. III, 19 aprile 2005, n. 20161).
3.1. Applicando tali principi al caso di specie, considerato che i ricorrenti risultano essere responsabili della realizzazione dell’intero manufatto abusivo (come risulta dalla motivazione del provvedimento di diniego) essi non avrebbero potuto presentare una domanda di condono anche per le restanti parti dell’edificio (piano terra e primo piano), poiché altrimenti sarebbero incorsi nel superamento del limite dei 750 mc. per singola richiesta, entro il quale la domanda poteva essere legittimatamene accolta.
4. Deve essere disatteso anche il secondo mezzo con il quale i ricorrenti contestano il diniego di condono nella parte in cui fa riferimento al parziale ed insufficiente pagamento sia degli oneri concessori che dell’oblazione.
Gli istanti, invero in modo generico, si limitano ad affermare che il mancato pagamento dell’intero importo dell’oblazione avrebbe comportato soltanto l’obbligo di pagare il saldo maggiorato degli interessi, ma non deducono alcuna censura in ordine alla determinazione dell’oblazione disposta dall’Amministrazione, sebbene i relativi parametri siano stati individuati direttamente dal legislatore nel richiamato d.l. 269/2003 (nell’art. 32, comma 38), consentendo una agevole determinazione dell’importo dell’oblazione medesima e la individuazione di eventuali errori del Comune.
In altri termini non sono stati dedotti eventuali errori nei calcoli relativi alle differenze richieste rispetto a quanto versato, nemmeno a seguito della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della istanza, di cui si fa menzione nei dinieghi.
5. Analoghe considerazioni valgono per l’omesso versamento degli oneri concessori dichiarati nelle domande di condono.
Peraltro con specifico riferimento agli oneri concessori, non assume alcun rilevo la censurata mancanza di una specifica deliberazione comunale sui criteri di determinazione degli oneri concessori ai sensi dell’articolo 16 del d.p.r. 380/2001 e della legge regionale della Campania 18 novembre 2004, n. 10, posto che il diniego impugnato si fonda sul mancato versamento degli oneri concessori così come autodichiarati dagli stessi ricorrenti al momento della presentazione delle domande di condono, secondo il meccanismo descritto nella richiamata disciplina normativa.
Nel caso di specie il Comune ha rilevato che i ricorrenti avevano versato oneri concessori per una somma pari a Euro 1500, su un importo dichiarato pari a Euro 7757,75, somma che doveva inoltre essere incrementata del 100%, ai sensi dell’articolo 6, comma 3, della legge regionale n. 10/2004.
Sulla base di tali premesse appare evidente come la asserita mancanza della delibera invocata non abbia impedito agli interessati di (auto)liquidare a suo tempo gli oneri concessori dovuti e di versare i relativi importi (che non vengono contestati nel loro ammontare).
In conclusione, quindi, il ricorso risulta infondato e deve essere pertanto respinto.
Le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della resistente amministrazione, delle spese processuali che si liquidano in complessivi Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) comprensivi di I.V.A. e C.P.A..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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