Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. – Il Tribunale di Pistoia, con sentenza depositata il 19 novembre 2001, definitivamente pronunciando nel giudizio di divisione ereditaria pendente tra D.E., D.M., R. D.F. – cui, in corso di lite, erano succeduti gli eredi R.S. e D.R.A. – e W. B., dato atto che il g.i., con ordinanza dell’11 marzo 1999, aveva dichiarato esecutivo il progetto di divisione del 24 aprile 1998, e che lo stesso Tribunale, con sentenza parziale n. 894 del 2 ottobre 2000, aveva respinto la domanda avanzata da M. D. e dalla B. per ottenere la collazione di una donazione di 15000 dollari ricevuta in vita da D.E., come la domanda avanzata da quest’ultima contro le prime per la restituzione della somma di 80000 dollari pretesamente sottratta alla massa ereditaria, e rilevato che l’unica questione ancora aperta era costituita dalla quantificazione del credito di D.M. e della B., essendo stato accertato, con la citata sentenza, che le medesime avevano diritto, in proporzione alle rispettive quote ereditarie, ai frutti maturati sui beni dell’eredità, percepiti interamente, fin dall’apertura della successione, dagli altri coeredi, determinò il credito di D.M. in Euro 39.879,25 nei confronti di D.E. ed in Euro 33630,79 nei confronti degli eredi di D.R.F., e quello di W. B. in Euro 74161,70 nei confronti di D.E. ed in Euro 62541,80 nei confronti degli eredi. D.M. e la B. proposero gravame. Gli altri eredi proposero appello incidentale anche avverso la sentenza non definitiva del 2000 nella parte in cui aveva disposto, nonostante la ordinanza di esecutorietà del progetto di divisione, la prosecuzione del giudizio per la determinazione dei frutti, concluso con la sentenza impugnata dalla D. e dalla B..
2. – Il gravame fu parzialmente accolto dalla Corte d’appello di Firenze con sentenza depositata il 25 agosto 2005.
Per quanto ancora rileva nella presente sede, la Corte di merito osservò che ogni domanda concernente la individuazione delle quote e l’attribuzione delle stesse ai singoli eredi non può che avere ad oggetto il complesso dei beni caduti nell’eredità e sui quali si è formata la comunione. Per tale ragione il Tribunale, nella sentenza non definitiva, aveva affermato che la domanda di collazione della donazione fatta in vita a D.E., essendo diretta alla integrazione del progetto di divisione, non poteva essere accolta, ed anzi avrebbe dovuto essere dichiarata improponibile, essendosi la comunione sciolta per effetto dell’approvazione del progetto di divisione. Ma, secondo la Corte di merito, il Tribunale sarebbe dovuto pervenire ad analoga conclusione in ordine alla domanda delle appellanti di attribuzione dei frutti dei beni ereditari, così di fatto revocando, anche sotto tale profilo, le ordinanze del g.i. che avevano inteso distinguere la domanda di divisione da quella di attribuzione dei frutti, anzichè considerarla come un’azione di rendiconto tra coeredi, svincolata dall’altra e fondata sulla gestione di affari condotta da alcuni dei partecipanti ovvero su di un mandato tacito ad amministrare. Infatti, nella comparsa di costituzione in primo grado, D.M., di fronte alla domanda di D.E. di divisione ereditaria, aveva dedotto che occorreva tener conto della donazione che l’attrice aveva ricevuto dal padre e provvedere al conteggio dei frutti percepiti dal 1969 da ogni singolo condividente, senza alcun riferimento ad una richiesta di rendiconto basata su negotiorum gestio ovvero sull’accordo tacito relativo all’amministrazione dei beni.
Conclusivamente, i frutti prodotti in costanza di comunione ereditaria dovevano entrare a far parte della massa da dividere ed essere quindi presi in considerazione per la determinazione della quota da assegnare a ciascun condividente. E, non avendo le parti sollevato alcuna doglianza in merito all’ordinanza con la quale il giudice istruttore aveva dichiarato esecutivo il progetto di divisione, ogni ulteriore domanda attinente alla divisione doveva ritenersi improponibile. Pertanto, la Corte di merito condannò R.S. e D.R.A. in solido a pagare a D.M. la somma di Euro 35301,33 e alla B. la somma di Euro 65640,40, oltre agli interessi legali, sulle somme retratte annualmente dal godimento dei beni ereditar, dal 5 giugno 1969. In accoglimento dell’appello incidentale di D.E., la Corte fiorentina dichiarò improponibile la domanda, avanzata nei suoi confronti, di restituzione dei frutti dei beni ereditari.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre D.M. sulla base di tre motivi. Gli intimati non si sono costituiti in giudizio.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 723 c.c. e art. 724 c.c., comma 2, in riferimento all’art. 789 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.
Avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere che la domanda proposta dall’odierna ricorrente non fosse una richiesta di rendiconto fra coeredi, dal momento che l’art. 723 cod. civ. inserisce nell’ambito della resa dei conti le richieste di rimborsi di debiti tra i condividenti, rimborsi tra i quali rientra la restituzione dei frutti percepiti, in costanza di comunione, in modo esclusivo da alcuni coeredi.
2.1. – La doglianza coglie nel segno.
2.2. – In tema di divisione ereditaria, l’art. 723 cod. civ., la cui rubrica reca "Resa dei conti", prevede che dopo la vendita, se ha avuto luogo, dei mobili o degli immobili, si procede ai conti che i condividenti si devono rendere, e, tra l’altro, ai conguagli o rimborsi che essi si devono tra loro, e, quindi, anche alla restituzione dei frutti.
In definitiva, la domanda di restituzione dei frutti è ricompresa nella resa dei conti.
3. – Con la seconda censura si denuncia ancora la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 723 c.c. e dell’art. 724 c.c., comma 2, in riferimento all’art. 789 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. Avrebbe ancora errato la Corte di merito nel ritenere che non si potesse procedere all’assegnazione dei beni senza imputare alle quote i frutti da dividere, e che il giudice non avrebbe dovuto separare la domanda di divisione da quella relativa ai frutti non percepiti, laddove l’ordinanza emessa ex art. 789 cod. proc. civ. era corretta, rientrando tra i poteri del giudice anche quello di anticipare la divisione rispetto all’accertamento del credito vantato da uno dei condividenti in ordine ai frutti non percepiti. Sarebbe errata anche l’affermazione che, con l’ordinanza 27 aprile 1988, il giudice avrebbe effettuato una divisione parziale, essendo, invece, evidente che lo spostare ad un momento processuale diverso la determinazione delle somme pretese quale rimborso per i frutti non percepiti non significa accedere ad una divisione parziale, ma solo scindere le due domande, quella di divisione e quella relativa alla restituzione dei frutti non percepiti. In subordine, ove si dovesse ritenere che non sia possibile procedere alla divisione senza avere preventivamente determinato il credito relativo alla restituzione dei frutti non percepiti, la conseguenza dovrebbe essere la declaratoria di nullità dell’intera divisione come voluta dal Tribunale ed accettata dai condividenti.
4.1. Il motivo è fondato nei termini che seguono.
4.2. – Questa Corte ha chiarito che la ratio dell’obbligo del rendiconto va individuata in ciò che, chiunque svolga attività nell’interesse di altri, deve portare a conoscenza di questi, secondo il principio della buona fede gli atti posti in essere ed in particolare, quegli atti e fatti da cui scaturiscono partite di dare e avere. Pertanto, tra coeredi, la resa dei conti, di cui all’art. 723 cod. civ., oltre che operazione inserita nel procedimento divisorio e quindi finalizzata a calcolare nella ripartizione dei frutti le eventuali eccedenze attive o passive della gestione e di definire conseguentemente tutti i rapporti inerenti alla comunione, può anche costituire obbligo a sè stante, fondato, a pari di quanto può avvenire in qualsiasi stato di comunione, sul presupposto della gestione di affari altrui condotta da alcuno dei partecipanti, in base ad assunzione volontaria od a mandato ad amministrare (v. Cass., sentt. n. 6358 del 1993, n. 5720 del 1984). Ne consegue che l’azione di rendiconto può presentarsi distinta ed autonoma rispetto alla domanda di scioglimento della comunione, ancorchè l’una e l’altra abbiano dato luogo ad un unico giudizio, di guisa che – tranne che per la comunanza di eventuali questioni pregiudiziali, attinenti, ad esempio, all’individuazione dei beni caduti in successione o all’identità delle quote dei coeredi, da risolvere incidenter tantum o con efficacia di giudicato (art. 34 cod. proc. civ.) – le due domande possono essere scisse e ciascuna può essere decisa senza reciproci condizionamenti.
4.3. – Dunque, come correttamente ritenuto dalla ricorrente, la resa dei conti può essere chiesta indipendentemente dalla divisione, e, se pure introdotta insieme a quella di divisione, mantiene la sua autonomia e può essere decisa anche separatamente da quella.
5. – Resta assorbito dall’accoglimento delle prime due censure l’esame del terzo motivo, con il quale si lamenta la omessa motivazione sul punto della invalidità della divisione parziale perchè non accettata dalle parti, laddove i condividenti avevano accettato il progetto divisionale del giudice istruttore prevedente la prosecuzione del giudizio.
6. – In definitiva, devono essere accolti il primo ed il secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo. La sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata ad un diverso giudice – che si individua in altra Sezione della Corte d’appello di Firenze, cui è demandato altresì il regolamento delle spese del presente giudizio – che riesaminerà la controversia attenendosi al seguente principio di diritto: La domanda di resa dei conti tra condividenti può essere proposta indipendentemente dalla domanda di divisione e, se introdotta insieme a quest’ultima, può mantenere la sua autonomia ed essere decisa separatamente dalla stessa, con la conseguenza che il giudizio di divisione può proseguire per la sua definizione anche dopo l’approvazione del progetto di divisione ai sensi dell’art. 789 cod.proc. civ..
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte d’appello di Firenze.
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