Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-04-2011) 09-09-2011, n. 33486

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con Sentenza in data 1 aprile 2010 il GUP del Tribunale di Sanremo condannava M.C., senza dar corso all’aumento per la recidiva e applicata la riduzione per il rito, alla pena di anni uno di reclusione perchè ritenuto colpevole del delitto di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 9, comma 2, in quanto, essendo sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno, il 3 luglio 2009 violava le relative prescrizioni omettendo di presentarsi presso gli uffici del Commissariato P.S. di Sanremo.

Riteneva il giudice la fondatezza dell’accusa sia sotto il profilo della materialità del fatto, risultando pacifici ed oggettivi in atti i riscontri in ordine alle violazioni contestate, che in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato.

Riguardo al trattamento sanzionatorio stimava equa la pena di anni uno di reclusione partendo da una pena base di anni uno e mesi sei ridotta per il rito, senza aumento per la contestata recidiva versandosi in ipotesi in cui l’aumento per tale circostanza non è obbligatorio e ritenendo che il fatto commesso dall’imputato non incidesse sulla valutazione di pericolosità del soggetto.

2.- Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Genova denunciando l’erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione alla non applicazione della contestata recidiva.

Lamenta il P.G. ricorrente che la motivazione con la quale il GUP ha deciso di non applicare la recidiva è contraddittoria ed errata poichè, dopo aver affermato che la pericolosità dell’imputato emerge dal tenore del certificato penale, e proprio per via dei precedenti non concede le attenuanti generiche, ritiene, poi, che il nuovo reato nulla aggiunga in termini di pericolosità sociale ai fini della applicazione della recidiva, della quale sussistono tutti gli estremi ai sensi dell’art. 99 c.p., comma 4. 3.- Il Procuratore Generale Dott. Giovanni Galati ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

4.- Il ricorso è infondato.

5.- Secondo la giurisprudenza di questa Corte, autorevolmente confermata con la sentenza delle Sezioni Unite 27.5.2010 n. 35738, la recidiva essendo circostanza aggravante che inerisce alla persona del colpevole deve essere obbligatoriamente contestata dal pubblico ministero ma, non necessariamente- a meno che non si tratti dell’ipotesi di recidiva reiterata prevista dall’art. 99 c.p., comma 5, nel qual caso essa va obbligatoriamente applicata- deve essere ritenuta configurabile dal giudice. Pertanto se sia stata contestata la recidiva a norma di uno dei primi quattro commi dell’art. 99 c.p. (compresa la c.d. di recidiva reiterata specifica, infraquinquennale) il giudice è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito costituisca sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dell’ulteriore reato, al tipo di devianza di cui esso è manifestazione, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti posti in essere, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali (ex plurimis da ultimo Cass. Sez. 6, sent. 23.11.2010, n. 43438, Rv. 248960).

6.- Ne consegue che l’applicazione o meno dell’aumento di pena per effetto della recidiva contestata attiene all’esercizio del potere discrezionale del giudice e che l’esercizio di tale potere deve essere sostenuto da adeguata motivazione che dia conto, volta per volta, della idoneità della nuova azione costituente reato a manifestare una maggiore capacità a delinquere del colpevole, che giustifica l’aumento di pena, ovvero se per l’occasionalità della condotta, la sua non gravità, anche in termini di offensività, ed ogni altra caratteristica dell’azione, il nuovo reato, in concreto ed in relazione alla personalità dell’imputato, non costituisca sintomo di specifica pericolosità sociale.

7.- Nel caso di specie, sia pure con succinta ma sufficiente motivazione, il giudice di merito ha tenuto conto, nell’esprimere il suo giudizio, della non gravità del fatto reato, consistito nell’avere omesso l’imputato in una occasione di presentarsi presso gli uffici del Commissariato di PS per l’adempimento dell’obbligo di firma inerente alla sorveglianza speciale. Ha altresì correttamente, con ragionamento scevro da contraddizioni e conforme ai principi di diritto sopra richiamati, ritenuto che la nuova violazione nulla aggiungesse in termini di sintomaticità rispetto alla pericolosità sociale già evincibile dal tenore dei precedenti penali, la rilevanza dei quali, se da un lato non consentiva di riconoscere la sussistenza delle attenuanti generiche, dall’altro non integrava il quid novi idoneo a qualificare il reato sub iudice quale indicatore specifico di qualificata, ulteriore, pericolosità sociale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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