T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, Sent., 06-10-2011, n. 1739 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in epigrafe – notificato il 2 novembre 1994, e depositato il successivo 1° dicembre -, la sig.ra M.A.C. ha impugnato il parere contrario della Commissione edilizia comunale, comunicatole con la nota n.21141 del 1° settembre 1994, relativo al rilascio dell’istanza di concessione in sanatoria presentata, ai sensi della legge 47/85 e l.r. 37/85 (prat. n. 4257), per il fabbricato ubicato in c.da Triscina.

Detto parere è motivato in ragione della circostanza che l’immobile è stato realizzato in violazione del vincolo assoluto d’inedificabilità assoluta imposto dall’art. 15, lett. a) della legge regionale n. 78 del 1976, così come richiamato dall’art. 23 della legge regionale n. 37 del 1985.

Deduce i seguenti motivi di censura:

"1) Illegittimità dell’art. 2 comma 3 della legge reg. 30/4/1991 n. 15 per violazione dell’art. 11 delle preleggi e dell’art. 14 dello Statuto Siciliano"; "2) Violazione dei diritti quesiti, dell’art. 26 13° co. della l.r. n. 37/85 e della circolare assessoriale n. 1 del 3/2/1992 (GURS n. 18 del 4/4/1992)";

"3) Erronea e falsa applicazione dell’art. 15 l.r. 78/76 e violazione dell’art. 42 2° co. della Costituzione";

"4) Eccesso di potere per difetto di motivazione";

"5) Violazione dell’art. 7 l. n. 241/90 e dell’art. 8 l.r. n. 10/91".

Conclude chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato.

Il Comune di Castelvetrano, ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.

All’udienza pubblica del 23 settembre 2011, su richiesta di parte ricorrente, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. Va preliminarmente rilevato che con il decreto decisorio n. 2611/07 del 6 novembre 2007, indicato in epigrafe, è stato dichiarato perento il ricorso n. 235/95 proposto dall’odierna ricorrente avverso l’ordine di demolizione n. 139.94 del 24 ottobre 1994, atto conseguente al parere contrario espresso dalla Commissione edilizia comunale oggetto del presente gravame.

Avverso tale decreto decisorio, la parte interessata non ha proposto opposizione nei termini e secondo le modalità di cui all’art. 9 della legge n. 205/2000, consolidandosene pertanto gli effetti con riferimento ad eventuali vizi propri.

2. Per quanto attiene al merito del presente ricorso, avente ad oggetto il presupposto parere contrario all’istanza di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, ritiene il Collegio che esso sia infondato.

2.1. Giova precisare, innanzitutto, che la questione essenziale è se l’immobile di cui trattasi si trovasse sia al tempo della sua edificazione, sia a quello della richiesta di sanatoria, entro la fascia d’inedificabilità assoluta dei 150 metri dalla battigia ai sensi del combinato disposto degli artt. 23 della l.r. n. 37 del 1985 e 15, lett. a), della l.r. n. 78 del 1976, e, in caso affermativo, se la costruzione sia stata iniziata prima dell’ entrata in vigore della medesima legge (16 giugno 1976) e le sue strutture essenziali portate a compimento entro il 31 dicembre 1976.

Ebbene, va rilevato che la ricorrente, su cui gravava l’onere di tale prova, non ha assolto a detto onere.

In questa situazione, il Collegio è dell’avviso che non vi siano i presupposti per promuovere un accertamento d’ufficio della consistenza delle opere realizzate dato che, avendone il ricorrente la completa disponibilità, era su di lei che gravava l’ onere di dimostrare l’irrilevanza dal punto di vista urbanistico- edilizio di quanto realizzato, tenuto conto dell’assolutezza del vincolo gravante sull’area de qua.

2.2.Ciò premesso, con il primo motivo si deduce che l’art. 2, comma 3 della legge reg. 30 aprile1991, n. 15, non avrebbe natura interpretativa del comma 10 dell’art. 23 della l.r. n. 37/85 con l’effetto di non rendere immediatamente efficace nei confronti dei privati il divieto d’inedificabilità assoluta di cui all’art. 15 lett. a) della l. r. n. 78/1976; trattandosi, al contrario, di norma rivolta direttamente ed esclusivamente agli enti locali.

La censura è infondata alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale ormai consolidatasi in materia, anche di questo Tribunale, che il Collegio condivide riguardo al caso in esame.

Con l’art. 15 della l.r. 78/76, entrata in vigore il 16 giugno 1976, il legislatore siciliano ha previsto che, ai fini della formazione degli strumenti urbanistici generali comunali, le costruzioni debbano arretrarsi di 150 metri dalla battigia.

L’art. 2, comma 3 della l.r. 15/91, ha poi precisato che "Le disposizioni di cui all’ articolo 15, primo comma, lettere a, d, ed e della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78 devono intendersi direttamente ed immediatamente efficaci anche nei confronti dei privati.

Esse prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi".

La giurisprudenza amministrativa successiva, e ormai pacifica, ha affermato la natura interpretativa e la conseguente efficacia retroattiva da attribuirsi al precetto di cui all’art. 2 della l.r. 15/1991 cit. (cfr. da ultimo anche C.G.A. 695/06).

È ormai stabile, quindi, l’arresto giurisprudenziale secondo cui: "Il divieto di edificazione nella fascia di rispetto di 150 metri dalla battigia sancito dall’art. 15 l. reg. Sicilia 12 giugno 1976 n. 78, ha come destinatari, in base alle successive l. reg. Sicilia 30 aprile 1991 n. 15 (art. 2) e 31 maggio 1994 n. 17 (art. 6), non soltanto le amministrazioni comunali in sede di formazione degli strumenti urbanistici, ma anche i privati che intendano procedere a lavori di costruzione entro tale fascia" (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, III, 2 novembre 2010, n. 14015; 20 luglio 2009, n. 1328; III, 4 gennaio 2008, n. 1; I, 9 ottobre 2008, n.1251; III, 18 aprile 2007, n. 1130; III, 4 ottobre 2006, n. 2019; I, 11 novembre 2002, n. 3817; I, 10 dicembre 2001, n. 1854; C.G.A., Sez. Giurisdizionale, 19 marzo 2002, n. 158; 31 gennaio 1995, n. 10).

La doglianza, per tali ragioni, non merita condivisione.

2.3. Con il secondo motivo si sostiene che, in ogni caso, prima dell’entrata in vigore dell’art. 2, comma 3 della l. r. n. 15/1991, sulla domanda di sanatoria oggetto del parere contrario impugnato, si sarebbe formato il silenzioassenso ai sensi dell’ art. 26 della l.r. n. 37/85 e che tale diritto quesito, ormai, sarebbe intangibile.

Neanche tale assunto è condivisibile.

Come ha avuto occasione di affermare questo Tribunale in fattispecie analoghe alla presente (fra le tante, sez. III, 30 luglio 2009 n. 1392; sez. III, 14 dicembre 2005, n. 1593; sez. I, 10 dicembre 2001, n. 180), non può legittimamente formarsi il silenzio – assenso sulla domanda di condono edilizio relativamente ad opere che, come nel caso in esame, siano state realizzate in contrasto con vincoli d’inedificabilità assoluta (cfr., altresì, C.G.A., 28 gennaio 2002, n. 39). Il 16° comma dell’art. 26 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, infatti, esclude espressamente che possa formarsi un provvedimento implicito di silenzio – assenso sulle istanze di condono "nei casi di insanabilità di cui al decimo comma" dell’art. 23, e cioè nelle ipotesi in cui, appunto, le opere abusivamente realizzate ricadano nella fascia di inedificabilità assoluta dei 150 metri dalla battigia.

2.4. Con una terza censura, la ricorrente asserisce che il vincolo d’inedificabilità assoluta introdotto con l’art. 15, lett. a) della l.r. 78/76, non troverebbe applicazione nelle zone A e B del piano regolatore, individuate, però, in senso sostanziale, ossia tenuto conto della reale situazione dei luoghi ed avuto riguardo proprio alla ratio della norma vincolistica, consistente nella creazione di fasce di tutela di beni paesaggistici e culturali di particolare valore; l’area sulla quale sorge l’immobile abusivo, infatti, sarebbe stata oggetto di intensa edificazione entro i 150 metri dalla battigia già in epoca antecedente all’imposizione del vincolo assoluto d’inedificabilità di che trattasi, con la conseguenza che la sola, eventuale, demolizione delle abitazioni realizzate in epoca successiva, non raggiungerebbe lo scopo di tutela preso di mira dal legislatore, a fronte, invece, della grave lesione del diritto di proprietà privata.

Il motivo, a parte la sua genericità, è infondato.

L’accertamento di conformità previsto dall’art. 13 della l. 28.2.1985, n. 47, (ora confluito nell’art. 36 del D.P.R. 6.6.2001, n. 380), è diretto a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il previo rilascio del titolo, ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l’area su cui sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione, sia al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria.

Il provvedimento di accertamento di conformità assume, quindi, una connotazione eminentemente oggettiva e vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali, dovendo l’autorità procedente valutare l’assentibilità dell’opera eseguita senza titolo sulla base della normativa urbanistica e edilizia vigente, in relazione ad entrambi i momenti considerati dalla norma.

Non è dato comprendere, allora, in forza di quale altra norma o principio ordinamentale o tesi interpretativa, la conformità urbanistica al tempo della realizzazione dell’abuso – imprescindibile ai fini della sanatoria -, dovrebbe essere accertata con riferimento allo stato di urbanizzazione di fatto dell’area piuttosto che agli strumenti urbanistici al tempo vigenti.

Ne discende l’infondatezza del mezzo.

2.5. Con il quarto motivo, la ricorrente asserisce che il contrasto tra l’istanza di sanatoria e l’art. 15 della l.r. n. 78 del 1976 non sarebbe sufficiente a legittimare un provvedimento negativo di tale incidenza sulla proprietà privata, poiché nel provvedimento impugnato mancherebbe la motivazione degli accertamenti effettuati dal Comune intimato sulla effettiva distanza del manufatto abusivo dalla battigia.

Tale accertamento, peraltro, avrebbe dovuto essere compiuto mediante un atto amministrativo generale avente ad oggetto l’intero territorio comunale, con indicazione certa della data degli accertamenti tecnici effettuati, al fine di escludere discriminazioni in relazione alla variabilità di tale linea di confine.

Ribadisce, il Collegio, che, a parte le suddette affermazioni difensive, la ricorrente non ha allegato alcuna documentazione (ad es. perizie tecniche, planimetrie), da valere almeno quale principio di prova, volto a dimostrare che alla data di commissione dell’abuso edilizio, e al momento della domanda di sanatoria, l’immobile non si trovasse entro la fascia dei 150 dalla battigia.

Va considerato, al riguardo, che, già in sede d’istruttoria del procedimento di rilascio della sanatoria, è il richiedente che ha l’onere di fornire un principio di prova in ordine alla data di edificazione ed alla localizzazione del manufatto (cfr. Cons. Stato, V, 5 febbraio 2007, n. 452; 24 ottobre 1996, n. 1275), mentre resta a carico dell’Amministrazione comunale di controllare l’attendibilità dei dati forniti e di contrapporre eventualmente le risultanze di proprie verifiche, da effettuarsi, caso per caso, con le modalità e gli strumenti affidati alla scelta discrezionale della stessa Amministrazione – purché tecnicamente adeguati -e non necessariamente con atti di ricognizione estesi all’intero territorio, così come, invece, vorrebbe parte ricorrente.

In altre parole, il responsabile dell’abuso è gravato dall’onere di provare, attraverso elementi certi – quali fotografie aeree, fatture, ricevute, bolle di consegna, relative all’esecuzione dei lavori e/o all’acquisto dei materiali, sopralluoghi, e così via -, l’effettiva realizzazione del manufatto entro il termine previsto dalla legge, e la sua ubicazione, per usufruire del beneficio, non potendo limitarsi a contestare i dati in possesso dell’Amministrazione senza fornire alcun elemento di prova a corredo della propria tesi, in quanto l’Amministrazione – in assenza di elementi di prova contrari – non può che respingere la domanda di sanatoria.

In materia di ripartizione dell’ onere della prova, rispetto al profilo specifico della data di realizzazione delle opere da sanare, la giurisprudenza, che il Collegio condivide anche con riguardo al caso concreto, ha chiaramente affermato che detto onere grava sul richiedente la sanatoria; anche perché l’Amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia proprio con riguardo a tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono; pertanto, colui che ha commesso l’abuso non può trasferire il suddetto onere in capo all’Amministrazione, qualora non sia in grado di fornire elementi e documenti atti a sostenere la richiesta legittima di condono edilizio (giurisprudenza pacifica, ex multis v. Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2011, n. 752; sez. V, 6 febbraio 1999, n. 124; 24 ottobre 1996, n. 1275; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 3 maggio 2011, n. 3813; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 27 aprile 2011, n. 2365; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 19 aprile 2011, n. 1003).

La censura, pertanto, è infondata.

2.6. Con riguardo al vizio dedotto con il quinto e ultimo motivo, di violazione delle garanzie partecipative a causa dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento (art. 7 della l. n. 241/90) secondo le modalità e i termini di cui all’art. 8 della l. n. 241/90, è sufficiente richiamare, la consolidata giurisprudenza, anche di questo Tribunale, secondo cui i provvedimenti repressivi di abusi edilizi non devono essere preceduti dall’avviso dell’inizio del procedimento, trattandosi di procedimenti tipizzati e vincolati – regolati in tutti i loro passaggi nei quali è consentita l’adeguata partecipazione dell’interessato- considerato, altresì, che i provvedimenti sanzionatori presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate, nonché sul carattere non assentito delle medesime.

La comunicazione di avvio del procedimento, prevista dall’art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, del resto, è necessaria soltanto per i procedimenti iniziati d’ufficio e non già per quelli avviati ad istanza di parte nei quali lo stesso interessato con la sua domanda può inserire tutti gli elementi che ritiene debbano essere presi in considerazione dalla Pubblica Amministrazione ai fini dell’adozione del provvedimento finale (cfr. ex plurimis: Cons. Stato, sez. IV, 10 ottobre 2007, n. 5314; 30 marzo 2000, n. 1814; T.A.R. Toscana, Firenze, sez. III, 13 maggio 2011; n. 840; T.A.R. Veneto, Venezia, sez. II, 6 maggio 2011, n. 784; T.A.R. Sicilia, Palermo, II, 6 giugno 2007, n. 1617; 27 marzo 2007, n. 979; III, 20 marzo 2006, n. 608; 20 aprile 2005, n. 577; Catania, III, 3 marzo 2003, n. 374; T.A.R. Campania, IV, 12 febbraio 2003, n. 797; 14 giugno 2002, n. 3499; 28 marzo 2001, n. 1404).

3. Conclusivamente, il ricorso è infondato e va respinto, per le considerazioni sopra esposte.

Nulla è da statuirsi per le spese del giudizio, atteso che l’intimato Comune di Castelvetrano non si è costituito.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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