Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
p. 1. S.S. ha proposto ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, contro il Fallimento della società di fatto tra di S.N. e C. L. e contro C.L. avverso la sentenza dell’11 giugno 2008, con la quale il Tribunale di Catania, ha provveduto sull’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. ed ai sensi dell’art. 617 c.p.c. proposta da esso ricorrente avverso la procedura di esecuzione per espropriazione immobiliare pendente davanti allo stesso Tribunale a seguito di pignoramento eseguito (sulla base di sentenza penale recante condanna provvisionale) in suo danno dalla detta Curatela e nella quale era intervenuta quale creditrice in proprio la C..
Con la citata sentenza il Tribunale ha dichiarato inammissibile per tardività l’opposizione quanto al secondo motivo, relativo ad una nullità parziale del pignoramento per pretesa assoluta incertezza di identificazione di alcuni degli immobili pignorati, qualificandola riguardo ad esso alla stregua dell’art. 617 c.p.c.. Ha accolto parzialmente il primo motivo, riconducendolo ad un’opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., ed ha dichiarato che la Curatela aveva il diritto di procedere all’esecuzione soltanto per Euro 5.000,00 sulla base del titolo esecutivo rappresentato da condanna provvisionale emessa in sede penale dalla Corte d’Appello di Catania, mentre l’ha rigettato per il resto. Ha rigettato l’opposizione quanto alla contestazione sulla ritualità ed ammissibilità dell’intervento della C.. Ha, infine, rigettato la domanda ai sensi dell’art. 96 c.p.c. del S.. Ha condannato quest’ultimo alle spese a favore della C.. Ha compensato le spese per un quarto quanto al rapporto processuale fra il S. e la Curatela, gravando il primo a favore di quest’ultima per i tre quarti residui. p.2. Al ricorso ha resistito con controricorso la Curatela, mentre non ha svolto attività difensiva la C.. p.3. Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
p.1. Con il primo motivo si deduce "violazione dell’art. 112 c.p.c. Vizio di ultrapetizione e violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato".
Vi si sostiene che il ricorrente aveva spiegato l’opposizione all’esecuzione promossa dalla Curatela Fallimentare adducendo in via principale che essa aveva proceduto oltre che per un credito proprio, quello di Euro 5.000,00 riconosciutole a titolo di provvisionale dalla sentenza penale della Corte d’Appello di Catania, per un credito della C., quello relativo ad altra somma di pari importo riconosciuta sempre a titolo di provvisionale alla medesima. Solo in via subordinata – cioè per il caso di rigetto della prima domanda – era stata da esso ricorrente formulata domanda subordinata diretta ad ottenere la declaratoria della inammissibilità dell’intervento nella procedura esecutiva della C., al fine di evitare che si realizzasse "una duplicazione del credito".
Su queste premesse si lamenta che il Tribunale, dopo avere accolto la domanda principale e riconosciuto che la Curatela non aveva titolo per procedere per il credito della C., ma solo per quello derivante dalla provvisionale riconosciuta a suo favore, abbia – in violazione dell’art. 112 c.p.c., cioè senza che il nesso di subordinazione fosse stato sciolto (a motivo dell’accoglimento della domanda principale) – deciso sulla domanda rivolta ad ottenere la declaratoria della inammissibilità dell’intervento della C.. p.1.1. Il motivo – evidentemente rivolto nei confronti della C., posto che la domanda subordinata, per come prospettata, contro di essa era rivolta, essendo diretta ad ottenere la declaratoria della inammissibilità del suo intervento – è inammissibile per palese violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, norma che costituisce il precipitato normativo del cd. principio di autosufficienza dell’esposizione del motiv di ricorso per cassazione.
Infatti, il motivo è fondato sul contenuto dell’atto di opposizione, nel quale sarebbero state formulate la domanda in via principale e quella in via subordinata, ma nè nella sua illustrazione, nè ai altra parte del ricorso e segnatamente nella parte dedicata all’esposizione del fatto, si riproduce il tenore dell’opposizione nella parte in cui le due domande sarebbero state proposte con il nesso di subordinazione. Nemmeno si indica se e dove il detto atto processuale sia stato prodotto in questa sede, onde poter essere esaminato per riscontrare la correttezza dell’enunciazione del suo contenuto (ove fosse stato riprodotto) e ciò anche agli effetti (ulteriori) dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Nemmeno si indica – per l’ipotesi che non si sia inteso produrlo – che tale atto dovrebbe essere presente nel fascicolo d’ufficio del giudice a quo, come dovrebbe essere, trattandosi dell’atto introduttivo del giudizio.
In tal modo l’onere di indicazione specifica dell’atto processuale su cui si fonda il motivo non risulta rispettato nè quanto all’indicazione del contenuto che dovrebbe svolgere tale funzione nè quanto all’indicazione di dove esso dovrebbe essere reperito in questa sede di legittimità. Sicchè risultano violati i principi esegetici sull’art. 366, n. 6 elaborati da questa Corte a far tempo da Cass. (ord.) n. 22303 del 2008 e da Cass. sez. un. n. 28547 del 2008, ribaditi dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 7161 del 2010 ed ora nuovamente da Cass. sez. un. n. 22726 del 2011, la quale, nel comporre il contrasto in senso alle sezioni Semplici sull’esegesi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 quanto al diverso onere di produzione in sede di legittimità dei documenti, degli atti processuali e dei contratti collettivi, hanno ritenuto che l’onere per gli atti processuali presenti nel fascicolo d’ufficio possa assolversi anche facendo rifermento alla loro presenza nel fascicolo d’ufficio, ma sempre a condizione che si rispetti il diverso onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 (il principio di diritto enunciato è stato, infatti, il seguente, che riprende quello enunciato da Cass. n. 18854 del 2010: "In tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi."). p.1.2. Per completezza il Collegio osserva che, se anche il motivo o il ricorso avessero rispettato il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n., il motivo – quand’anche l’allegazione a suo sostegno circa il nesso di subordinazione fosse stata effettivamente riscontrabile dall’esame dell’atto di opposizione all’esecuzione – sarebbe stato infondato, perchè non sarebbe apparso sostenuto con argomentazioni idonee a giustificare la violazione dell’art. 112 c.p.c.. Al riguardo, si osserva che sarebbe stato necessario precisare che il nesso di subordinazione era stato mantenuto fino alla precisazione delle conclusioni, cioè al passaggio in decisione della causa. Sotto tale profilo sarebbe stato necessario allegare tale circostanza e farla oggetto anch’essa di indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, riproducendo il contenuto delle conclusioni precisate ed indicando dove esso avrebbe potuto essere riscontrato. p.2. Con il secondo motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione dell’art. 555 c.p.c., comma 1, artt. 2826 e 2841 c.c., artt. 615 e 617 c.p.c.".
Vi si sostiene che erroneamente il Tribunale avrebbe dichiarato inammissibile il motivo di opposizione basato sulla circostanza che, come aveva messo in rilievo una relazione peritale disposta dal giudice dell’esecuzione, gli estremi di identificazione di alcuni degli immobili pignorati per come identificati dall’atto di pignoramento no trovavano in parte rispondenza con la situazione di proprietà degli stessi e, per altro verso, non erano talora coincidenti con quelli individuati da una relazione notarile.
L’errore sarebbe nell’avere qualificato il motivo di opposizione alla stregua dell’art. 617 anzichè dell’art. 615 c.p.c. con conseguente rilievo della tardività per inosservanza del termine perentorio di venti giorni dal pignoramento. p.2.1. Anche tale motivo è inammissibile per palese inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che si riproduce il contenuto del pignoramento e della relazione peritale, ma non si fornisce l’indicazione del se, dove e come il secondo era stato prodotto in quel giudizio (atteso che la consulenza si dice espletata – a pagina 6 del ricorso – nell’ambito della procedura esecutiva e non del processo di cognizione sull’opposizione) e, soprattutto, non si dice se e dove entrambi gli atti siano stati prodotti in questa sede e sarebbero esaminabili.
L’unico parziale adempimento dell’onere di indicazione specifica si coglie alla pagina 12, là dove si dice che l’atto di pignoramento del 6 ottobre 2003 sarebbe l’allegato n. 3 del ricorso in opposizione, così assolvendo all’onere di indicazione specifica quanto all’entrata dell’atto nel processo di merito.
Il motivo è, pertanto inammissibile. p.2.2. Peraltro, l’asserto che nella specie le carenze dell’atto di pignoramento sarebbero state di tale entità da giustificare una contestazione dell’an del diritto di procedere all’esecuzione e non del suo quomodo, se si fosse potuto passare all’esame del merito del merito sarebbe apparso non solo sostenuto in modo del tutto generico, ma anche manifestamente infondato, perchè quali che siano le insufficienze individuatici della titolarità del bene e del bene stesso nel pignoramento immobiliare la relativa contestazione attenendo sempre ad un atto del procedimento esecutivo non si vede come possa essere ricondotta a contestazione sull’an, come tale fonte di opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2. p.3. Il terzo motivo denuncia "violazione e falsa applicazione di norme di legge in relazione agli artt. 112 e 496 c.p.c.".
Vi si sostiene: a) che il ricorrente aveva domandato "(in senso al terzo punto del petitum dell’atto di citazione in opposizione diritto) "in subordine, qualora la nullità ed invalidità del precetto e del pignoramento dovesse essere ritenuta parziale, disporre la riduzione del pignoramento limitandolo ai beni immobili indicati ai numeri 7 e 8 del pignoramento immobiliare notificato il 9 settembre 2003 e trascritto il 6 ottobre 2003"; b) che il Tribunale erroneamente interpretando e qualificando tale richiesta come domanda di riduzione del pignoramento avrebbe dichiarato inammissibile la relativa ragione di opposizione motivando "che la richiesta di riduzione del pignoramento è una questione estranea al giudizio di opposizione all’esecuzione e va decisa nell’ambito del processo esecutivo, come tale deve essere proposta al giudice dell’esecuzione in sede di opposizione agli atti esecutivi" (tale passo è riportato in corsivo nell’illustrazione del motivo); c) che in tal modo il Tribunale avrebbe interpretato male la domanda, perchè non si trattava di domanda di riduzione, ma di "domanda avanzata in via subordinata e volta a limitare gli effetti del pignoramento ai soli cespiti (il 7 e l’8) per i quali risultavano esattamente identificati i beni e correttamente individuate le quote di proprietà spettanti al debitore esecutato". 3.1. Anche questo motivo è preliminarmente inammissibile, per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 giacchè non si fornisce l’indicazione specifica dell’atto di citazione in opposizione quanto al se e dove sia stato prodotto in questa sede di legittimità, al fine di consentire il riscontro in esso della indicazione virgolettata riportata nell’illustrazione del motivo. p.3.2. Il motivo appare, altresì, inammissibile perchè fonda la sua argomentazione su una pretesa motivazione della sentenza impugnata (quella riportata sopra fra virgolette ed in corsivo nel ricorso) che non trova rispondenza nella sentenza impugnata, la quale ha osservato che la domanda di riduzione del pignoramento era stata proposta a suo tempo nell’ambito del processo esecutivo, era stata rigettata ed il provvedimento di rigetto non era stato impugnato con tempestiva opposizione agli atti, onde la proposizione della questione con l’atto di opposizione doveva ritenersi tardiva ed inammissibile. p.3.3. In fine non si comprende come e perchè il contenuto del passo della citazione in opposizione, dove si sarebbe parlato di riduzione del pignoramento, avrebbe dovuto intendersi in modo diverso da quanto fatto manifesto dal senso delle parole usate. Non senza che si debba rilevare, osserva il Collegio, che resta oscura la diversa interpretazione che il ricorrente postula dovesse darsi. p.4. Il quarto motivo lamenta "violazione e falsa applicazione di norme di legge in relazione all’art. 96 c.p.c. e art. 832 c.c. – violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.".
Il motivo è nuovamente inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè basato: a) sia sul contenuto del terzo motivo di opposizione, con ci era stata proposta la domanda ai sensi dell’art. 96 c.p.c. e che viene riprodotto (alla pagina 22 in fine ed all’inizio della successiva), ma senza che si indichi ancora una volta se e dove l’atto di opposizione sia stato prodotto in questa sede, così non osservandosi l’onere di indicazione specifica nei sensi di cui alla ricordata giurisprudenza; b) sia sul contenuto di un’istanza al giudice delegato al Fallimento che si assume depositata con una memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, del 19 ottobre 2007 e di cui si riproduce il contenuto, ma con omissione dell’indicazione del se e dove tanto la memoria quanto l’istanza siano stati prodotti in questo giudizio di legittimità, di modo che l’onere di indicazione specifica è inosservato. p.4.1. Peraltro, come emerge dalla formulazione del quesito e dalla sua illustrazione, il motivo si basa anche (ma in modo asseritamente essenziale) sulla deduzione dell’eccessività del pignoramento che, come si è visto legittimamente non trovò ingresso nel giudizio di merito, onde per ciò solo, se il motivo fosse esaminabile, paleserebbe la sua infondatezza, perchè non è dato comprendere come l’invocazione dell’art. 96 c.p.c. potesse appoggiarsi ad un profilo di opposizione dichiarato inammissibile. p.5. Il quinto motivo denuncia "violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 24 Cost., agli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè all’art. 17 c.p.c.".
Il motivo prospetta varie censure ed impugna la motivazione della sentenza impugnata, là dove provvedendo sulle spese ha così motivato: "In considerazione del parziale e limitato accoglimento del solo primo motivo di opposizione, ricorrono giusti motivi per compensare, tra l’opponente e la curatela, le spese processuali del presente giudizio solamente nella misura di un quarto, rimanendo i restanti tre quarti, a carico del S.. … In considerazione, invece, della totale soccombenza del S. nei confronti della C., devono essere poste interamente a carico del primo le spese processuali sostenute dalla seconda".
Con riguardo alla motivazione relativa alle spese nel rapporto con la Curatela si sostiene innanzitutto che, essendo stata accolto il motivo di opposizione basato sull’avere la Curatela fatto valere anche il credito della C., riguardo a tale punto la soccombenza sarebbe stata riferibile solo alla Curatela, tenuto conto che essa doveva rispondere anche dell’evocazione in giudizio della C. con l’opposizione in quanto la medesima doveva reputarsi litisconsorte necessario. In secondo luogo, si assume che, a voler considerare la reiezione del secondo motivo di opposizione, vi sarebbe stata soccombenza reciproca e, quindi, le spese si sarebbero dovute compensare al 50% e condannarsi la curatela al pagamento del residuo 50%.
L’assunto è infondato, per due ragioni.
La prima è che il S., con riguardo alla contestazione rivolta alla curatela circa il suo diritto di procedere all’esecuzione anche per il credito della C. non fu affatto interamente vittorioso, giacchè nella sua prospettazione – come emerge dalla sentenza – l’avere la Curatela agito anche per quel credito avrebbe dovuto comportare la nullità del precetto e del pignoramento, mentre la sentenza impugnata ha disatteso tale prospettazione (punto 1.2. della motivazione).
La seconda ragione è che l’assunto del ricorrente è basato anche sull’erroneo rilievo che il Tribunale fosse stato investito di un’unica domanda di opposizione all’esecuzione, mentre, invece, in assenza di deduzione che l’opposizione era stata prospettata con un’unica qualificazione alla stregua dell’art. 615 c.p.c., comma 2, si deve considerare, tenuto conto di come il Tribunale le ha qualificate, che le opposizioni erano in realtà due, l’una di opposizione all’esecuzione quanto al primo motivo su cui si fondava e l’altra di opposizione agli atti esecutivi inerente al secondo motivo i entrambi i profili su cui si fondava (nullità del pignoramento e riduzione dello stesso).
Ne consegue che la situazione, all’esito della decisione, ha visto in realtà soltanto parzialmente vittorioso nei riguardi della Curatela sull’opposizione all’esecuzione e interamente soccombente nei suoi confronti sull’opposizione agli atti.
Ora, mentre la soccombenza parziale dell’attore su un’unica domanda e, quindi, la correlata vittoria sulla parte residua, rivestendo l’attore la qualità di parte comunque parzialmente vittoriosa non può giustificare che egli venga condannato alle spese, ma, al più che le spese vengano compensate in tutto od in parte, viceversa, l’esistenza di soccombenza dell’attore su una domanda e di vittoria dello stesso su altra domanda, ben può comportare che il giudice, nel confrontare le distinte vittorie e soccombenze reputi prevalente la vittoria di uno oppure parzialmente prevalente quella di una delle parti, con la conseguenza che bene può fare luogo a condanna totale o parziale nelle spese dell’attore e, in questo secondo caso, compensare la parte residua. E’ quanto sostanzialmente ha fatto allora il Tribunale, al di là delle improprie espressioni usate.
Nella sostanza il Tribunale ha cioè considerato che nel confronto fra la situazione di parziale soccombenza dell’attore qui ricorrente sulla domanda di opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. e l’integrale soccombenza sulla domanda di opposizione agli atti fosse giustificato compensare, nel presupposto dello squilibrio fra la limitata vittoria del S. sull’opposizione ex art. 615 c.p.c. e l’integrale vittoria della Curatela, un quarto delle complessive spese di lite e porre a carico del S. i residui tre quarti. In tal modo il Tribunale, la cui motivazione si intende corretta in questo senso, ha applicato l’art. 92 c.p.c., comma 2, che ammette la compensazione parziale quando vi è soccombenza reciproca (vedi Cass. (ord.) n. 22381 del 2009.
La censura relativa al rapporto processuale con la C. è priva di pregio, perchè nei suoi confronti il S. è integralmente soccombente, essendo stata rigettata la domanda di inammissibilità dell’intervento della medesima (la quale, peraltro, riguardo alla contestazione rivolta contro l’agire della Curatela non era affatto litisconsorte necessaria, atteso che se taluno esercita contro altri un diritto altrui il convenuto si può difendere senza coinvolgere il soggetto sostituito illegittimamente.
Il motivo contiene, poi, una censura rivolta all’ammontare eccessivo delle spese, ma per tale aspetto è inammissibile, perchè non si conclude con alcun pertinente quesito, essendo il quesito formulato solo relativo alle altre censure. p.6. Conclusivamente, sono dichiarati inammissibili i primi quattro motivi e rigettato parzialmente il quinto, che per il resto è dichiarato inammissibile.
Il ricorso è, pertanto, rigettato. p.7. Le spese seguono la soccombenza nel rapporto fra ricorrente Curatela e si liquidano nel dispositivo.
Nulla per le spese quanto al rapporto fra il ricorrente e la C..
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione alla resistente Curatela delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro milleottocento o duemilatrecento, oltre spese generali ed accessori come per legge.
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