Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Fatto
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, con decisione del 1 febbraio 2000 n. 530, in accoglimento dell’appello di T. M., proprietario del complesso immobiliare denominato " (OMISSIS)", ha annullato gli atti del procedimento di espropriazione per pubblica utilità di tali beni per la costruzione di alloggi per anziani.
Il T. aveva impugnato la sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Bolzano del 9 aprile 1997, che aveva respinto il suo ricorso e, in accoglimento del suo gravame, sono stati annullati il Decreto di espropriazione del 18 agosto 1995 del Presidente della Giunta provinciale di Bolzano in favore del Comune di Merano con il previo provvedimento del 22 maggio 1995, contenente la dichiarazione di pubblica utilità delle opere da fare. Dopo il rigetto del ricorso in primo grado, il Comune di Merano aveva realizzato e assegnato gli alloggi agli anziani, trasformando irreversibilmente il complesso immobiliare oggetto del procedimento ablativo e degli atti annullati.
Con ricorso n. 11257 del 2000, ai sensi del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 27 n. 4, il T. instaurava giudizio di ottemperanza, per ottenere l’adempimento dal Comune dell’obbligo di conformarsi al giudicato della citata sentenza n. 530 del 2000, mentre la P.A. procedeva a nuova procedura ablativa, pure essa oggetto di annullamento da parte dei Giudici amministrativi.
Con decisione del 28 gennaio 2002 n. 450, notificata il successivo 7 febbraio, il Consiglio di Stato accoglieva il ricorso per l’esecuzione della sua sentenza del 2000 e, ritenuto che il giudicato da adempiere avesse fatto venire meno ogni titolo per la occupazione degli immobili del T., ordinava al Comune di Merano di restituirli al titolare entro 120 giorni dalla notifica della sentenza.
Subito dopo la scadenza dell’indicato termine (8 giugno 2002) e all’esito di una diffida al commissario ad acta nominato per l’ottemperanza dell’8 luglio 2002, il Comune di Merano, dopo aver dato avviso al T. dell’avvio del procedimento di ablazione del suo complesso immobiliare e respinto le osservazioni di lui, con provvedimento del 19 luglio 2002, disponeva l’acquisizione di " (OMISSIS)", quale autorità che aveva utilizzato i beni occupati per scopi d’interesse pubblico, con i poteri di cui alla Legge Provinciale di Bolzano 15 aprile 1991, n. 10, art. 32 bis, inserito dalla Legge Provinciale 28 dicembre 2001, n. 19.
Ai sensi del comma 5 della norma da ultimo citata, l’atto di acquisizione determinava il risarcimento dei danni spettante al T. in Euro 2.142.895,30, comprendente il valore venale degli immobili oltre alla rivalutazione e agli interessi dal giorno in cui il terreno era stato occupato senza titolo, somma rifiutata dal destinatario dell’atto.
Il T. proponeva ricorso n. 9595 il 22 ottobre 2002 per l’ottemperanza della sentenza n. 53 0 del 2000, come integrata da quella n. 450 del 2002, al Consiglio di Stato e contestualmente altra impugnativa per l’annullamento dell’atto di acquisizione sopra richiamato al T.R.G.A. di Bolzano.
Con il ricorso del R.D. n. 1054 del 1924, ex art. 27, n. 4, era chiesta la dichiarazione di inefficacia del citato provvedimento del Comune di Merano n. 17653 del 19 luglio 2002 che aveva acquisito (OMISSIS), perchè emesso in carenza di potere e per errata interpretazione delle norme provinciali citate.
Il T. chiedeva quindi di ripetere l’ordine di restituzione del complesso immobiliare di sua proprietà, perchè l’atto ablativo aveva violato il giudicato che si chiedeva di eseguire e, in subordine, sollevava questione di legittimità costituzionale della Legge Provinciale n. 10 del 1991, art. 32 bis, o, in ulteriore subordine, domandava la liquidazione del risarcimento dei danni subiti.
Su tale ricorso, riunito all’altro di restituzione degli immobili n. 11257 del dicembre 2000 proposto dallo stesso T. e già deciso nel 2000, il Consiglio di Stato, con decisione 6 ottobre 2003 n. 5820, dichiarati inammissibili i primi cinque motivi di impugnazione dell’atto di acquisizione del 2002 e l’eccezione d’illegittimità costituzionale della norma provinciale che lo aveva consentito, qualificava detto atto ablativo del Comune estraneo all’esecuzione della sentenza n. 530 del 2000 e al giudizio d’ottemperanza. L’atto d’acquisizione era stato infatti emesso in base a nuovi poteri conferiti al Comune da una legge sopravvenuta e non era connesso ai provvedimenti annullati dalla sentenza di cui si chiedeva la esecuzione, incidenti su atti che esprimevano poteri male esercitati, regolati da norme pregresse.
La decisione n. 5820 del 6 ottobre 2003 ha accolto soltanto la domanda subordinata del T. di liquidazione del risarcimento dei danni da mancato godimento dei suoi immobili, a causa della loro occupazione e trasformazione senza titolo da parte del Comune, il cui illecito permanente era emerso per effetto dall’annullamento di tutti gli atti del procedimento espropriativo.
L’illecito permanente era da ritenersi iniziato con l’occupazione e concluso dal decreto acquisitivo citato del 2002, basato sull’utilizzazione attuale pubblica delle aree e dell’edificio per la loro destinazione ad alloggi per anziani e sulla comparazione degli interessi in conflitto da parte dell’ente pubblico che aveva usato gli immobili per interessi di natura generale.
Secondo la decisione impugnata, la sentenza n. 530 del 2000, in collegamento con quella n. 450 del 2002, evidenzia l’esistenza di un obbligo di restituzione degli immobili, il cui adempimento è stato ritardato dal Comune dall’inizio dell’occupazione illecita (1 gennaio 1998) all’acquisizione del 19 luglio 2002. Pertanto, per tale mancato godimento dei suoi beni, al T. spetta un risarcimento dei danni, che ha la propria fonte nella responsabilità contrattuale del Comune da inadempimento delle sentenze da eseguire.
Tale risarcimento dei danni è stato liquidato, in base alla documentazione acquisita comprovante il rilevante reddito che i beni avrebbero fornito al proprietario, in Euro 1.408.378,00, somma da cui s’è disposto fossero detratti Euro 264.587,64, già liquidati dal Comune come interessi moratori, con il richiamato Decreto della Legge Provinciale n. 10 del 1991, ex art. 32 bis, oltre agli interessi e alla rivalutazione dovuti sull’importo residuato.
Per la cassazione di tale decisione non notificata, propone ricorso di due motivi, notificato il 19 novembre 2004, il Comune di Merano e il T. si difende con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Diritto
1. Preliminarmente deve esaminarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività, sollevata dal T. con il controricorso, per avere egli notificato il 4 giugno 2004, al Comune di Merano, ricorso per l’ottemperanza della sentenza oggetto d’impugnazione, che è stata prodotta dallo stesso comune in copia autentica in quella causa.
Il comune, difeso in quel giudizio dagli stessi avvocati che lo rappresentano in questa sede, con la rilevata produzione della copia autentica della decisione del Consiglio di Stato n. 5820/2003, ha dimostrato la consapevolezza dei propri difensori in ordine al contenuto del provvedimento da impugnare già dal momento dell’allegazione del documento (19 luglio 2004), e da tale data decorre il termine breve dell’art. 325 c.p.c., comma 2, da ritenere già scaduto all’atto del ricorso per Cassazione, notificato il 19 novembre 2004.
Ad avviso del resistente, se la parte riceve la notificazione di un ricorso per ottemperanza di una decisione e ne ha conoscenza integrale, dalla data in cui è comprovato tale conoscenza decorre il termine breve per proporre impugnazione (si citano, nello stesso senso, Cass. 3 aprile 2001 n. 4918 e 18 maggio 1999 n. 4807).
1.2. L’eccezione è infondata e da rigettare.
Il termine breve per impugnare una sentenza ex artt. 325 e 326 c.p.c., decorre di regola dalla notificazione di essa eseguita ai sensi degli artt. 285 e 170 c.p.c., la quale non ammette equipollenti, salvo il caso in cui la proposizione della stessa o di altra impugnazione, abbia determinato il decorso del termine per chi l’ha proposta e le altre parti, ai sensi del capoverso dell’art. 326 c.p.c., (Cass. 27 ottobre 2005 n. 20912, 14 ottobre 2005 n. 19976, relativa all’appello, 18 maggio 2005 n. 10388, per il ricorso per Cassazione e 18 marzo 2005 n. 5973).
Si veridica pertanto la ed. consumazione del diritto di impugnare, per effetto dell’esercizio del potere dispositivo delle parti sul processo, con la proposizione di un ricorso per revocazione di una sentenza, la quale può dar luogo alla consapevolezza della decisione da appellare o da ricorrere per cassazione, ritualmente attestata dalla relata della notificazione dell’atto introduttivo agli stessi difensori delle parti del giudizio concluso dalla sentenza che si deve impugnare.
Solo in questo caso la notifica dell’impugnazione è tale da poter determinare, da parte dei difensori tecnici, l’esame di eventuali altri tipi o profili di gravame per lo stesso notificante e le altre parti e fa quindi decorrere il termine breve (così, con le sentenze citate in controricorso e sopra, cfr. Cass, 20 dicembre 2004 n. 23592, 28 luglio 2004 n. 14254, 6 novembre 2002 n. 15522, 28 agosto 2000 n. 11204).
Diversi sono i casi in cui la conoscenza della sentenza da impugnare derivi da altre circostanze, come il rilascio di copia autentica dalla Cancelleria del giudice a quo (così Cass. 17 dicembre 2004 n. 23501) o la produzione di essa nel procedimento di correzione materiale della decisione da rettificare, (Cass. 18 giugno 2002 n. 8858); in tali casi non necessariamente vi è la notificazione di un atto come previsto dall’art. 326, cpv. c.p.c..
Deve pertanto negarsi che la produzione dal Comune, nel corso del giudizio per la sua esecuzione, della copia autentica della sentenza del Consiglio di Stato oggetto del presente ricorso, non notificata ai sensi dell’art. 285 c.p.c., osti a questa impugnazione che è quindi, per tale profilo, ammissibile.
2.1. Il ricorso del Comune di Merano denuncia il difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato nella pronuncia impugnata, violativa del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, artt. 34 e 35, come modificati dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7 e della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 2, all. E. Osserva il Comune che, nei ricorsi n. 9595 del 2002 e 11257 del 2000, il T. ha chiesto al Consiglio di Stato, in ottemperanza della sua decisione n. 530 del 2000, di ordinare la restituzione degli immobili da ritenere di sua proprietà per l’annullamento di tutti gli atti della procedura ablativa, compresi quello dichiarativo della pubblica utilità, disposto dalla sentenza da ottemperare.
Invero nel caso, si è verificata una occupazione "usurpativa" o senza titolo, effetto di un comportamento illecito del Comune, con diritto del T. di ottenere la restituzione degli immobili e la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, oltre al risarcimento dei danni per il mancato godimento dei suoi beni per il tempo dell’illecito permanente di cui è stato autore l’ente locale con l’occupazione e trasformazione senza titolo degli immobili.
Il Consiglio di Stato ha affermato che l’annullamento disposto nel 2000 e il giudizio di ottemperanza iniziato subito dopo, all’esito del quale si era ordinata, con la decisione n. 450/2002, la restituzione al T. dei suoi immobili entro un termine perentorio, dimostravano l’inadempimento dell’obbligo di restituzione del Comune di Merano, sorto dalle predette due decisioni, con conseguente responsabilità contrattuale dell’ente locale.
La decisione n. 530 del 2000 costituisce, per la sentenza impugnata, il titolo per il quale al T. spettano i danni chiesti in sede d’ottemperanza "ove non ristorati ad altro titolo", che esso ha liquidato, "anche oltre i limiti fissati dalla Legge Provinciale n. 10 del 1991, art. 32 bis, comma 5, come poi modificata (le frasi virgolettate sono citate in ricordo e estrapolate dalla decisione impugnata).
Secondo il Consiglio di Stato, la domanda di risarcimento dei danni ora richiamata è "proponibile nel giudizio di ottemperanza, venendo in considerazione danni che discendono dalla violazione del giudicato amministrativo dall’Amministrazione".
Osserva il ricorrente che, nel caso, il Consiglio di Stato ha condannato il Comune a risarcire danni non conseguenti all’inadempimento degli obblighi sorti dal giudicato amministrativo ma effetto di "comportamenti" meri, qualificati illeciti per il venir meno della dichiarazione di pubblica utilità, annullata dalla sentenza che si chiede di eseguire.
Ciò è chiaro, secondo il Comune, perchè la sentenza di annullamento n. 530 è del febbraio 2000, mentre i danni da risarcire sono liquidati per un illecito permanente che è iniziato a gennaio 1998 e quindi per un periodo antecedente all’ordine di restituzione contenuto nella decisione esecutiva della precedente n. 450 del 28 gennaio 2002, (ricorso n. 11257 del 2000), che imponeva al Comune il termine di 120 giorni dalla notifica della decisione per tale adempimento. I danni che il Comune è stato condannato a risarcire al T. con la sentenza impugnata, emessa in sede di ottemperanza, non conseguono alla inosservanza del giudicato amministrativo, ma al comportamento illecito lesivo della proprietà del T., costituito dall’occupazione da parte dell’ente locale dei beni di questa parte, qualificata retroattivamente illecita, per il venir meno dei titoli che la giustificavano.
In tal modo, peraltro, si sono pregiudicati i diritti di difesa del ricorrente, decidendo in unico grado su una domanda di risarcimento dei danni di controparte, che va oltre il mero effetto della violazione del giudicato e copre il periodo, precedente a questo, della occupazione iniziata prima dell’annullamento di tutti gli atti della procedura ablativa.
Solo i danni derivati da comportamenti che sono effetto immediato della violazione del giudicato possono liquidarsi con il giudizio di ottemperanza; con la richiamata liquidazione dei danni, il Consiglio di Stato è invece andato oltre la sua competenza, non limitandosi a pronunciare sugli effetti del giudicato ma decidendo su un risarcimento da occupazione usurpativa, la cui cognizione compete al giudice ordinario.
Il controricorrente deduce l’improponibilità del motivo di ricorso, per violazione dell’art. 111 Cost., ultimo comma – art. 362 c.p.c., comma 1, della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 36, perchè, con esso, in realtà non si denunciano questioni di giurisdizione.
L’impugnativa censura infatti la decisione del Consiglio di Stato per l’error in iudicando consistito nell’errata qualificazione – come danno da violazione del giudicato – dei mancati guadagni conseguenti allo illegittimo esercizio della funzione amministrativa e per l’error in procedendo, che avrebbe compresso in un solo grado di giudizio l’azione risarcitoria.
In tal modo, ad avviso del T., il Comune tende ad ottenere un’indagine sulla potestas decidendi del Giudice amministrativo e sui modi in cui essa è stata esercitata e non a rilevare lo sconfinamento dai limiti esterni della sua giurisdizione.
Tali limiti valgono pure per le impugnazioni delle decisioni nei giudizi di ottemperanza ma la censura relativa all’interpretazione e valutazione del giudicato riguarda la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale del giudice amministrativo e non è questione di giurisdizione, rientrando nella competenza giurisdizionale del Giudice amministrativo la interpretazione e esecuzione del proprio giudicato (il controricorso cita S.U. 19 aprile 2002 n. 5730).
L’eventuale natura contrattuale della responsabilità da violazione del giudicato, potrebbe solo dar luogo alla riduzione dei danni liquidati da mancato godimento dei beni, da limitare al periodo successivo alla decisione n. 530 del 2000 o alla fase successiva alla scadenza del termine fissato in quella n. 450 del 2002, dopo il quale il Comune aveva avuto la certa consapevolezza del carattere illecito della sua detenzione dei beni del T..
2.2. In secondo luogo, si afferma che il Consiglio di Stato, conoscendo direttamente e in unico grado dei danni derivati da comportamenti illeciti della P.A., ha ritenuto erroneamente che nel caso fossero applicabili dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, artt. 34 e 35, come modificati dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, che demandano alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo le decisioni sulla restituzione e sul risarcimento dei danni.
Nel caso, la richiesta restitutoria e quella risarcitoria derivano dal diritto nuovo, sorto a seguito del giudicato di annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, ma non attribuito da tale giudicato, conseguendo al mero comportamento illecito della P.A., qualificabile di "occupazione usurpativa" o senza titolo, che non trae fondamento da nessun potere, sia pure male esercitato, del Comune. Per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34, di cui alla sentenza della C. Cost. n. 204 del 5 luglio 2004, per la parte in cui estende la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo anche ai "comportamenti", che non conseguano all’esercizio di pubblici poteri, deve ritenersi che il fondamento normativo della giurisdizione del giudice a quo è comunque venuto meno retroattivamente.
Invero gli effetti della declaratoria manipolativa della Corte Costituzionale devono estendersi, per il ricorrente, anche all’art. 53 del T.U. sull’espropriazione (D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, come modificato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302), che usa i medesimi termini dell’art. 34 citato nel disciplinare la giurisdizione in materia espropriativa, riservandola ai giudici amministrativi. Nel caso, si è avuto un mero comportamento lesivo di diritti soggettivi, per il quale resta ferma la giurisdizione esclusiva del Giudice ordinario, ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 2, All. E. Deve negarsi che possa applicarsi la norma illegittima e che perduri la giurisdizione amministrativa, dopo la retroattiva sentenza dichiarativa della illegittimità costituzionale di essa (in tal senso si cita in ricorso S.U. 6 maggio 2002 n. 6487).
Solo in quanto un comportamento sia diretto a realizzare un fine pubblico e di pubblico interesse legalmente dichiarato, implicante un utilizzazione del territorio tenuto in materia edilizia e urbanistica, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, che interviene se le condotte della P.A. siano connesse e/o conseguenti ad atti che esprimono l’esercizio di un potere che, nella fattispecie concreta, è stato invece escluso ab origine dalle pronunce di cui si è chiesta l’esecuzione.
La stessa sentenza in ottemperanza n. 450 del 2002 qualificata dalla decisione impugnata come oggetto essa pure della richiesta di adempimento del giudicato e integrativa della sentenza n. 530/2000, ha chiarito che nel caso si è in una fattispecie d’occupazione usurpativa, riconoscendo la tutela integralmente restitutoria al T. e, implicitamente, il potere di questo di agire in via ordinaria per il risarcimento del danno da illecito permanente, dovendosi negare la lesione di interessi legittimi, per essersi lesa solo la proprietà della controparte.
Secondo il controricorrente, la giurisdizione deve ritenersi del giudice amministrativo, ai sensi della L. n. 1034 del 1971, art. 7, comma 1, per il quale tale Giudice deve conoscere delle domande di risarcimento da inadempimento del giudicato.
Per il resistente, non è vero che si sia avuto un mero comportamento illecito del Comune, non collegato all’esercizio di un pubblico potere, perchè comunque vi è stato l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, espressione di un potere male esercitato, come ritenuto dalla migliore dottrina.
Ad avviso del T. il risarcimento del danno è deciso dal giudice amministrativo, non come nuova materia ad esso attribuita ma come strumento di tutela ulteriore, rispetto a quella demolitoria o conformativa degli atti della P.A., non potendosi escludere tale tutela tutte le volte che siano lesi interessi legittimi oppositivi, nati da un diritto affievolito, anche a non rilevare che l’art. 53 del T.U. sulla espropriazione non può ritenersi abrogato, allorchè riconosce la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per atti, provvedimenti e comportamenti illegittimi della P.A..
3. Deve preliminarmente rigettarsi l’eccezione di improponibilità del ricorso, perchè la decisione del Consiglio di Stato non sarebbe censurata in rapporto ai limiti esterni dei poteri di cognizione di questo, quale organo giurisdizionale in sede di ottemperanza ma piuttosto per errores in iudicando o in procedendo.
Questa Corte ha anche di recente rilevato che la censura relativa alla mera interpretazione del giudicato, nella sentenza di ottemperanza, non attiene ai limiti esterni della giurisdizione, ma riguarda un error in iudicando (S.U. 7 dicembre 2004 n. 22885, 19 aprile 2002 n. 5730 e 13 luglio 2001 n. 10012).
Peraltro, come è accaduto nella fattispecie, nell’accertamento e nella determinazione degli effetti del giudicato da eseguire, il giudice della ottemperanza ha pure poteri integrativi della sentenza da adempiere e può quindi adottare statuizioni analoghe a quelle che avrebbe potuto emettere il giudice della cognizione (così S.U. 20 novembre 2003 n. 17633), con gli stessi limiti per la giurisdizione di ogni altra decisione del Giudice amministrativo.
Si dovrebbe altrimenti ritenere in ogni caso esclusiva la giurisdizione amministrativa in sede di ottemperanza, con la conseguenza illogica che tutte le decisioni dei Giudici amministrativi della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, ex art. 37, sarebbero esenti dal controllo sui limiti esterni della giurisdizione da parte della Corte di Cassazione, in violazione dell’art. 111 Cost., ultimo comma.
Questa Corte può valutare questioni di giurisdizione anche per le sentenze che decidono sui ricorsi diretti all’adempimento dell’obbligo per la autorità amministrativa di conformarsi al giudicato dei Giudici amministrativi, ogni volta che questi ultimi abbiano esercitato poteri cognitivi e non meramente esecutivi, integrando in tal modo le statuizioni della sentenza da eseguire, come è accaduto nel caso di specie.
Pertanto deve negarsi che il ricorso del Comune di Merano lamenti l’errata interpretazione del giudicato, come dedotto dal controricorrente, perchè esso censura la pronuncia di risarcimento dei danni da occupazione usurpativa, contenuta nella decisione impugnata, pur se emessa in sede di ottemperanza, ad integrazione delle precedenti sentenze da adempiere e oltre i limiti di quanto deciso dalla sentenza da eseguire.
Il Comune di Merano deduce che il Consiglio di Stato ha liquidato danni per epoche anteriori a quelle del preteso inadempimento dell’ordine di restituire l’immobile, di cui alle decisioni n.ri 530 del 2000 e 450 del 2002 e, in particolare, di quest’ultima che aveva ordinato al Comune la restituzione degli immobili entro centoventi giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza.
Il ricorso non deduce nel suo primo motivo, una errata interpretazione del giudicato nella decisione impugnata, ma afferma che la stessa non ha condannato a un risarcimento dei danni da inadempimento della sentenza da ottemperare.
La proprietà di (OMISSIS) è stata persa una prima volta dal T., per un atto di espropriazione annullato dalla sentenza da eseguire, ma la decisione impugnata ha conosciuto di danni conseguenti a un comportamento illecito, fonte di responsabilità extracontrattuale, costituito dallo spoglio con occupazione senza titolo, riconosciuta avvenuta dal Consiglio di Stato con sentenza n. 450/2002.
Il primo motivo di ricorso afferma che il giudizio, apparentemente di ottemperanza del giudicato della sentenza n. 530 del 2000, è stato in effetti un giudizio di cognizione della responsabilità extracontrattuale del Comune di Merano, con condanna per l’occupazione senza titolo accertata dalla decisione n. 530 del 2000, per effetto della quale, in accoglimento del ricorso 11257 del 2000, si era dato nel 2002 un termine per restituire gli immobili al T., così come da questo era stato chiesto in via esclusiva.
La statuizione di far decorrere i danni da illecito permanente da epoca anteriore alla due decisioni della cui esecuzione si tratta (1 gennaio 1998), evidenzia l’esercizio di poteri integrativi del Consiglio di Stato in sede di ottemperanza, avverso i quali il ricorso deduce violazione, dai Giudici amministrativi, dei limiti esterni della loro giurisdizione.
La stessa decisione impugnata esattamente afferma di non potersi pronunciare sulla legittimità dell’atto di acquisizione del Comune del 2002, perchè estraneo alle sentenze da eseguire, anche se poi tiene conto di esso per fissare il termine finale dell’occupazione illecita e detrarre dai mancati guadagni da essa liquidati gli interessi moratori, come determinati nel detto atto del Comune, sul valore venale dei beni, ai sensi della Legge Provinciale n. 10 del 1991, art. 32 bis, ultimo comma (l’analoga disposizione dell’art. 32 della stessa Legge, che regola un’atto di espropriazione conseguente a pregressa trasformazione di fatto di,un bene privato destinato a uso pubblico, è stata dichiarata conforme alla carta fondamentale da C.Cost. Ord. 1 luglio 2005 n. 250).
Il ricorso censura la decisione del Consiglio di Stato, per avere condannato il ricorrente al risarcimento di danni da occupazione usurpativa, per la quale la stessa astratta inconfigurabilità della lesione di situazioni qualificabili come interessi legittimi e la chiara lesione antigiuridica del diritto di proprietà, comportano comunque la cognizione esclusiva del giudice ordinario.
Nel caso è inapplicabile la L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 7, come modificato dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7 (S.U. 30 maggio 2005 n. 11335) e in una situazione analoga queste Sezioni Unite hanno negato l’esigenza del giudizio di ottemperanza dello stesso giudice amministrativo, elaborando il seguente principio di diritto: "Non tutti i comportamenti implicanti un uso del territorio sono riconducibili alla materia urbanistica ma solo quelli che, esprimendo l’esercizio di un potere amministrativo, siano collegati ad un fine pubblico o di pubblico interesse legalmente dichiarato; in difetto di tale collegamento, si configura a carico della P.A. un mero comportamento materiale, integrante, ove lesivo di situazioni giuridiche di altri soggetti, un fatto illecito generatore di danno, che è al di fuori della riserva di giurisdizione di cui al D.Lgs. 31 marzo 1998, art. 34, nel testo sostituito dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7. Ne consegue che nelle controversie aventi ad oggetto casi di occupazione usurpativa, nelle quali manca o è stata annullata una valida dichiarazione di pubblica utilità delle opere realizzate di trasformazione di immobili altrui, sussiste comunque la giurisdizione del giudice ordinario" (così S.U. 9 giugno 2004 n. 10978, e in genere, con le medesime conclusioni per tutti i casi di occupazione senza titolo, S.U. 7 novembre 2005 n. 23241, la citata ord. 11335/05, Cass. 25 maggio 2005 n. 10962, 4 febbraio 2005 n. 2198, 15 gennaio 2005 n. 6, 30 maggio 2003 n. 11335, 16 novembre 2004 n. 10978, tra molte altre).
Nel caso, essendo stato rimosso l’atto dichiarativo della pubblica utilità della realizzazione di alloggi per anziani dal Comune di Merano, l’occupazione, ad opera di questo, degli immobili del T., ha costituito un comportamento illecito ab origine, di carattere permanente,fonte di responsabilità extracontrattuale per lesione antigiuridica del diritto di proprietà, del quale deve conoscere solo il giudice ordinario (S.U. ord. 23 gennaio 2006 n. 1207 con le sentenze già citate) e quindi il primo motivo di ricorso deve essere accolto.
Ciò vale anche alla luce del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 34, dichiarato costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega nella sua versione originaria (C. Cost. 28 luglio 2004 n. 281) e in ordine alla cognizione dei comportamenti "meri", che non siano espressione di poteri autoritativi della P.A., nella versione sostituita dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7. lett. b, come manipolata dalle sentenza della C. Cost. 6 luglio 2004 n. 204.
La condanna impugnata investe detti comportamenti commissivi, costituenti illeciti permanenti, e non il ritardato o omesso adempimento dell’ordine di restituzione che, comunque, si sarebbe potuto avere solo dopo la scadenza del termine fissato nella sentenza n. 450 del 2002, cioè a giugno 2002, al punto che, solo dopo tale data, il commissario ad acta venne diffidato per eseguire l’ordine di restituzione.
Non potevano determinarsi mancati guadagni precedenti all’inadempimento dell’ordine indicato, come accaduto nel caso, in cui tale lucro cessante si è fatto decorrere dal gennaio 1998, senza rilevare che esso è conseguenza dall’illecito da responsabilità extracontrattuale, sul quale solo il Giudice ordinario può avere cognizione, una volta che l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità sia divenuta giudicato.
In caso di occupazione usurpativa può agirsi solo dinanzi al Giudice ordinario per ottenere il risarcimento in forma specifica o per equivalente.
In tale fattispecie, quando si chieda la reintegrazione per equivalente, si è ritenuto sussistere un implicito atto abdicativo della proprietà da chi agisce, che consente, alla data di tale domanda risarcitoria, l’acquisizione dei beni occupati in favore di chi li ha utilizzati, impedita altrimenti dalla mancata causa di pubblica utilità, legalmente dichiarata, delle opere eseguite sulle aree del danneggiato (Cass. 24 novembre 2005 n. 24819).
Ciò rende chiaro che, nel caso, la domanda di risarcimento per i mancati guadagni da occupazione usurpativa non ha costituito una mera emendatio libelli della originaria domanda di reintegrazione in forma specifica, unica prospettata dal T. con la richiesta di ordinare la restituzione degli immobili illegittimamente acquisiti con l’espropriazione del 1995, annullata dalla decisione n. 530 del 2000.
La domanda di reintegrazione in forma specifica si ritiene in genere modificabile in una di risarcimento per equivalente (per tale emendafcio libelli cfr. Cass. 8 marzo 2006 n. 4925, 15 luglio 2005 n. 15021, 18 gennaio 2002 n. 552), perchè questa seconda costituisce comunque un minus rispetto alla prima.
Anche a non considerare la giurisprudenza che nega tale potere di trasformare la domanda in rapporto alla tutela di diritti reali (Cass. 1 agosto 2003 n. 11744, in rapporto alla violazione di distanze), appare evidente che, nella fattispecie, la domanda decisa dalla sentenza impugnata non liquida la perdita della proprietà del T., reintegrata per equivalente dall’atto di acquisizione del luglio 2002 del Comune di Merano, con criteri sostanzialmente conformi a quelli elaborati in materia dalla giurisprudenza costante, a decorrere da S.U. 17 febbraio 1995 n. 1712 fino a Cass. 17 settembre 2005 n. 184450.
L’atto di acquisizione ha liquidato un danno reintegratorio per il T. della perdita della proprietà, connesso ma non conseguente allo annullamento del decreto di espropriazione del 1995 che aveva in apparenza privato il controricorrente della sua proprietà, e da ritenere effetto dell’uso a scopi pubblici dei beni del privato, occupati e trasformati pur in mancanza di dichiarazione di p.u. I mancati guadagni liquidati dalla decisione impugnata, derivano invece solo dall’attività materiale di spossessamento di (OMISSIS) ad opera del Comune, che ha impedito al T. di godere dei frutti dei suoi immobili, ledendo per altro profilo le sue facoltà di godimento di tali beni.
La richiesta di reintegrazione di tali mancati guadagni costituisce domanda nuova e aggiuntiva, rispetto a quella restitutoria della proprietà prospettata in via esclusiva dal T., tendendo al ripristino per equivalente del diverso bene della vita costituito dalla privazione del possesso materiale degli immobili, rispetto a quello della lesione del mero diritto di proprietà oggetto della restituzione chiesta nel 2000 e ottenuta nel 2002, prima dell’acquisizione di cui sopra.
Del tutto irrilevante è, in tale quadro, il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 53, che con sentenza dell’11 maggio 2006 n. 191 della Corte Costituzionale, è stato dichiarato illegittimo nella parte in cui "devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a "comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad essi equiparati" non esclude i comportamenti non riconducibili nemmeno mediatamente all’esercizio di alcun potere", così riservando al giudice ordinario ogni controversia per il risarcimento dei danni da occupazione usurpativa, come quella oggetto di causa.
Pertanto il ricorso è ammissibile e fondato e deve essere accolto, con dichiarazione della giurisdizione del Giudice ordinario sulla domanda di risarcimento dei danni e sulla liquidazione dei mancati guadagni e delle perdite che sono effetto della occupazione usurpativa verificatasi nella fattispecie concreta.
La decisione impugnata deve quindi essere cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., e deve provvedersi sulle spese del giudizio concluso con la sentenza cassata ex art. 385 c.p.c., comma 2.
Considerato che in sede di ottemperanza il T. aveva chiesto l’annullamento dell’atto di acquisizione del Comune e solo in via subordinata il risarcimento di danni non meglio precisati e liquidati dal Consiglio di Stato anche che in rapporto a mancati guadagni, a decorrere da epoca precedente all’ordine di restituzione della decisione da eseguire, appare equa la totale compensazione delle spese sostenute dalle parti nel giudizio amministrativo concluso dalla decisione che è stata cassata.
La chiara fondatezza del ricorso per Cassazione e i numerosi precedenti sopra citati in materia di risarcimento dei danni da occupazione usurpativa non giustificano la resistenza del controricorrente in questa sede; pertanto, per la fase di legittimità, deve seguirsi la regola della soccombenza di cui al primo comma dell’art. 91 c.p.c., e le spese devono porsi a carico del T., che dovrà corrisponderle al Comune di Merano nella misura che si liquida in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e cassa senza rinvio la decisione impugnata, compensando le spese del giudizio concluso dalla sentenza cassata. Condanna il T. a pagare al Comune di Merano le spese della presente fase di Cassazione, che liquida in Euro 21.400,00 (ventunomilaquattrocento/00), di cui Euro 400,00 (quattrocento/00) per esborsi, comprensivi del contributo unificato, oltre alle spese generali e accessorie come per legge.
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