Cass. civ. Sez. II, Sent., 08-02-2012, n. 1804 Costituzione delle servitù

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 7/6/1997 V.S., quale procuratore generale di A., G., F., Fr., P. e L.A. conveniva in giudizio C. A. per sentirla condannare alla demolizione di opere realizzate su un immobile di proprietà della stessa convenuta in violazione della servitù altius non tollendi e non aedificandi costituita per contratto che gravava su tale immobile e a favore dell’immobile di essa attrice; ne chiedeva inoltre la condanna al risarcimento dei danni. La C. si costituiva contestando la violazione del divieto imposto dalla servitù per la scarsa rilevanza delle opere realizzate; deduceva di avere concesso l’immobile in locazione alla società La Sacrestia s.n.c. e che pertanto l’azione doveva essere proposta nei confronti della società conduttrice;

debitamente autorizzata chiamava in causa la conduttrice quale unica responsabile o comunque per essere tenuta indenne dalle domande avversarie.

La soc. La Sacrestia s.n.c. si costituiva e si opponeva alla domanda della V., contestando la violazione e comunque la sussistenza di danni.

Dopo l’espletamento di CTU il Tribunale di Napoli con sentenza del 17/4/2003, dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alla rimozione di muretti di recinzione e impianto di condizionamento in quanto in eliminati in corso di causa, condannava C.A. alla rimozione della canna fumaria per la parte in cui il colmo eccedeva di oltre m. 1,42 il piano della servitù, condannava la soc. la Sacrestia s.n.c. al risarcimento dei danni e a tenere indenne la C. per gli esborsi che avesse dovuto sostenere per la demolizione e per le spese processuali.

La sentenza era appellata dalla soc. La Sacrestia s.n.c. e, con appello incidentale dalla C. che chiedeva l’accoglimento dell’appello principale e a sua volta chiedeva dichiararsi il proprio difetto di legittimazione ad causam.

V.S., nella detta qualità, si costituiva e chiedeva il rigetto degli appelli.

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 25/10/2005, confermando integralmente la sentenza di primo grado, rigettava sia l’appello principale della soc. La Sacrestia s.n.c. che l’appello incidentale della C. rilevando:

che legittimamente la domanda era stata proposta contro la C. perchè questa aveva contestato il contenuto e l’estensione della servitù titolata e perchè la confessoria servitutis doveva appunto essere indirizzata nei confronti del proprietario del fondo servente, nei cui confronti poteva essere portata in esecuzione la condanna alla demolizione; richiamava, al riguardo giurisprudenza di questa Corte (Cass. 11/2/1994 n. 1383);

– che la servitù, costituita per contratto, stabiliva che la terrazza di copertura non potesse superare il piano di calpestio del viale centrale di via (OMISSIS) e che lo scopo era quello di assicurare al sovrastante fondo dominante sito nella via (OMISSIS), sul quale poi era stato costruito il fabbricato degli attori, la panoramicità e la visuale sul golfo di Napoli;

che il divieto non era superabile sulla base di considerazioni circa la rilevanza della sopraelevazione in quanto siffatta valutazione sarebbe in contrasto con l’assolutezza del, diritto, reale, tutelato da ogni possibile forma di ingerenza; richiamava al riguardo giurisprudenza di questa Corte (Cass. 27/3/1990 n. 2468);

– che il danno sussisteva in relazione al disturbo alla visuale del golfo provocato dalla esteticamente impresentabile canna fumaria che si elevava per mt. 1,42 oltre il lecito.

C.A. ha proposto ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo e ha depositato memoria. Ha proposto autonomo ricorso, affidato a 5 motivi, anche un soggetto che si qualifica soc. La Sacrestia – Attolini R. di Ponsiglione Marco s.n.c., ora La Sacrestia di Attolini R. di Ponsiglione Patrizia s.a.s. Silvana Viciani, nella detta qualità, ha resistito ad entrambi i ricorsi con due distinti controricorsi e ha depositato memoria.

Motivi della decisione

A norma dell’art. 335 c.p.c., va disposta la riunione dei ricorsi proposti avverso la medesima sentenza.

1. Il ricorso di C.A. è affidato ad un unico motivo di difetto di legittimazione passiva in quanto non era il soggetto che aveva realizzato le opere e l’attrice non avrebbe proposto e non avrebbe potuto proporre nei suoi confronti una confessoria servitutis in quanto la servitù non era contestata.

2. Dall’esame degli atti risulta che la copia della sentenza impugnata, depositata unitamente al ricorso, non è autentica. Tale copia reca in calce, la relazione di notificazione, al difensore dell’odierna ricorrente, dell’ufficiale giudiziario presso la Corte d’Appello di Napoli e il timbro dell’Ufficio "Ufficiali Giudiziari di Napoli". E’ dunque evidente che la ricorrente ha depositato, unitamente al ricorso, la copia della sentenza impugnata che gli è stata notificata ad istanza del difensore della controparte.

Posto che l’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 2, dispone che "insieme col ricorso debbono essere depositati, sempre a pena di improcedibilità: … 2) copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta …", secondo costante orientamento di questa Corte, nel giudizio di cassazione la copia della sentenza impugnata, che deve essere depositata unitamente al ricorso a pena di improcedibilità del ricorso, può essere dichiarata conforme all’originale solo dal cancelliere presso il giudice a quo quale unico depositario dell’originale autorizzato a spedirne copia autentica in forza del combinato disposto dell’art. 2714 cod. civ., comma 1 e art. 743 cod. proc. civ. (cfr., ex plurimis e tra le ultime, la sentenza Cass. 27/1/2009 n. 1914; Cass. 6/5/2011 n. 1008). Già con l’ordinanza 8/1/2003 n. 102, questa Corte aveva escluso che l’adempimento dell’onere posto a carico del ricorrente dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, potesse ritenersi realizzato mediante il deposito di copia della sentenza notificata dalla controparte, recante la dichiarazione dell’ufficiale giudiziario di consegna di copia conforme a quella recante la relazione di notificazione, risultando detta copia priva dell’attestazione del cancelliere di conformità alìoriginale.

L’ufficiale giudiziario, infatti, può attestare la conformità all’originale degli atti di parte che notifica e non la conformità all’originale di atti del giudice dei quali non è depositario, come si desume chiaramente dal D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 111, commi 1 e 2 (Ordinamento degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari), i quali, rispettivamente, dispongono:

"L’ufficiale giudiziario, quando deve provvedere alla notificazione di atti pubblici rilasciati in copia dal notaio o da altro pubblico ufficiale, competente, è autorizzato a fare le altre copie che deve consegnare alle parti comma 1"; "Egli è anche autorizzato a rilasciare le copie degli atti da lui redatti, nonchè degli atti privati di cui le parti chiedono la notificazione comma 2".

Pertanto, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2 il ricorso di C.A. deve essere dichiarato improcedibile.

3. La Sacrestia s.a.s.:

– con il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1063, 1362 e ss. c.c. e il vizio di motivazione; assume che nell’atto costitutivo della servitù si stabiliva che le terrazze di copertura non potevano superare il piano di calpestio del viale e che tale divieto non era stato violato in quanto il piano di calpestio non era stato sopraelevato non essendo vietato utilizzare il terrazzo della casa anche per l’alloggiamento di impianti tecnologici quali il camino o tubature; pertanto la sentenza violerebbe la regola ermeneutica dell’interpretazione letterale e la motivazione sarebbe contraddittoria essendosi, da un lato sostenuto di volere interpretare l’atto costitutivo secondo la sua puntuale formulazione e, dall’altro, si sarebbe fatto ricorso a criteri ulteriori rispetto al criterio letterale;

con il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione perchè i giudici del merito non avrebbero considerato lo stato dei luoghi, che, se considerato avrebbe permesso di accertare la totale mancanza di una compromissione dell’utilitas che le parti volevano conseguire con la servitù. con il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 42 Cost. e dell’art. 832 c.c. e vizio di motivazione;

sostiene che la servitù deve essere esercitata con il minor disagio possibile per il fondo servente e non per il maggior vantaggio del fondo dominante e che gli impianti e il camino non sarebbero opere contrastanti con il divieto di sopralzo;

con il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1063 c.c. e vizio di motivazione; sostiene che contraddittoriamente (a giudizio delle ricorrente), il giudice di appello, dopo avere affermato che il contenuto della servitù era stabilito da un atto notarile del 1962, richiamava, per sostenere la sua motivazione, un diverso atto del 1969 nel quale erano state espresse concrete limitazioni alla servitù;

con il quinto motivo, così testualmente rubricato: "violazione e falsa applicazione, insufficiente e contraddittoria motivazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5" (sic), sostiene che non sussisterebbe alcun danno risarcibile in quanto nessuna violazione del diritto di servitù si era concretizzata con l’installazione, sul terrazzo degli impianti definiti "tecnologici" e che sarebbe illogica la motivazione della Corte territoriale per la quale la canna fumaria che emergeva dal terrazzo aveva una sagoma impresentabile e costituiva elemento di disturbo; la Corte di appello avrebbe ignorato che la collina era completamente cementificata e che un comignolo, in tale contesto, non poteva arrecare alcun disturbo.

4. Occorre premettere:

– che nel giudizio di appello stava in giudizio una società denominata La Sacrestia – Attolini R. di Ponsiglione Marco s.n.c.;

nel ricorso per cassazione il soggetto ricorrente si qualifica La Sacrestia Attolini di Pongiglione Marco s.n.c. ora La Sacrestia di Attolini R. di Ponsiglione Patrizia s.a.s. e il ricorso è stato notificato a istanza della Sacrestia – Attolini R. di Ponsiglione Patrizia s.a.s.; pertanto non v’è dubbio che il soggetto ricorrente non sia La Sacrestia – Attolini R. di Ponsiglione Marco s.n.c., ma sia La Sacrestia di Attolini R. di Ponsiglione Patrizia s.a.s..

– che, quindi, è di assoluta evidenza che, rispetto al soggetto che stava in giudizio davanti alla Corte di Appello, sono mutati sia il tipo societario (non più una s.n.c., ma una s.a.s.), sia il soggetto che appare quale legale rappresentante (non più P.M., ma P.P.).

Pertanto, del tutto preliminare rispetto alla valutazione delle censure come dianzi riportate si pone la questione concernente l’ammissibilità stessa del ricorso in relazione alla legitimatio ad causam della società ricorrente, questione che, in quanto riguardante la regolare costituzione del rapporto processuale, attiene all’ordine pubblico e va, pertanto, rilevata e decisa anche di ufficio in ogni stato e grado del giudizio (non esclusa, dunque, la presente sede di legittimità).

Nei giudizi di impugnazione sono legittimati i soli soggetti già partecipi del precedente grado di giudizio in cui essi siano rimasti soccombenti; se un soggetto, che non sia stato parte nel precedente grado intenda proporre impugnazione egli non solo deve dedurre d’avere acquistato la legittimazione all’impugnazione in ragione d’una sopravvenuta situazione giuridica idonea a fondarla, ma è altresì gravato dall’onere di fornire la prova della situazione stessa (v., ex multis e da ultimo Cass. 25/6/2010 n. 15352).

La mancanza di tale prova è rilevabile d’ufficio in quanto attiene alla titolarità del diritto processuale di adire il giudice dell’impugnazione e, pertanto, alla regolare costituzione del contraddittorio. Come già detto, il giudizio di appello si è svolto tra La Sacrestia s.n.c. di Ponsiglione Marco (come si evince dall’intestazione della sentenza ora impugnata) mentre il ricorso per Cassazione risulta essere stato proposto da La Sacrestia s.a.s. di Ponsiglione Patrizia.

Per potere accertare se effettivamente si fosse verificata una semplice trasformazione formale della società originariamente costituita in giudizio o se, invece, si fosse trattato di due società oggettivamente diverse, occorreva che la parte interessata avesse ritualmente comprovato l’avvenuta trasformazione, fusione o incorporazione societaria, in modo da rendere certa la sopravvivenza dell’originario soggetto sociale, pur mutato nel tipo societario e negli organi rappresentativi.

Al riguardo si deve dare continuità al principio ripetutamente espresso da questa Corte per il quale se un soggetto che non sia stato parte nella precedente fase del giudizio, proponga impugnazione avverso la decisione adottata all’esito di tale fase, deve non solo dedurre esplicitamente o, quanto meno (come in questo caso) implicitamente d’averne acquistato la legittimazione sulla base d’una sopravvenuta situazione giuridica idonea a fondarla, ma viene a gravare su di esso altresì l’onere di fornire la prova della situazione stessa. Infatti, ogni qualvolta si faccia valere una posizione giuridica soggettiva attiva nella specie un potere o comunque un diritto potestativo di natura processuale – si ha correlativamente l’onere di dare la prova del fatto che la costituisce, in base al generale principio di cui all’art. 2697 cod. civ.; onde, al fine dell’ammissibilità del ricorso per cassazione proposto da chi non sia stato parte del giudizio di merito, questi deve allegare la propria legitimatio ad causam e fornire la dimostrazione di essere subentrato nella medesima posizione del soggetto che era parte nel precedente grado di giudizio e, in particolare, ove ricorrente sia una società che assuma derivare, per fusione o trasformazione, da altra società che aveva partecipato al giudizio stesso, deve dare la dimostrazione (consentita anche in sede di legittimità ex art. 372 c.p.c.) della sua derivazione dalla preesistente società, da fornirsi mediante deposito, e comunicazione alla parte avversaria, di copia degli atti relativi al procedimento di trasformazione o fusione (così Cass. 14/8/2007 e, in precedenza, Cass. 4/2/2002 n. 1468, Cass. 24/2/1995 n. 2119; Cass. 29/7/1994 n. 7131). Solo per completezza di argomentazione si deve infine osservare che nel giudizio di legittimità, dovendo i documenti diretti ad attestare la capacità processuale necessaria per la proposizione del ricorso essere formalmente inseriti tra gli atti interni del giudizio stesso, tale inserzione deve aver luogo mediante espressa indicazione dei detti documenti nel contesto dell’atto d’impugnazione, a cui deve far seguito il loro deposito in cancelleria in uno all’atto stesso.

Nella fattispecie, comunque, la ricorrente non ha ritenuto di essere tenuta a fornire alcuna dimostrazione in ordine alle proprie vicende societarie.

Poichè la società ricorrente non ha adempiuto agli oneri indicati, è rimasta del tutto indimostrata la legitimatio ad causam della società ricorrente, non potendosi dare consistenza di prova alla semplice cennata asserzione contenuta nell’intestazione del ricorso, che la Sacrestia di Ponsiglione Marco s.n.c. fosse ora La Sacrestia di Ponsiglione Patrizia s.a.s.. Ne consegue che non risultando la ricorrente legittimata ad impugnare la sentenza d’appello emessa contro una società avente diverso tipo sociale e rappresentata da una diversa persona fisica e quindi contro una parte diversa rispetto a quella in cui confronti si era svolto il giudizio di merito definito in secondo grado dalla sentenza impugnata, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza dei ricorrenti che, quindi, devono essere condannati a pagarle a V. S. quale procuratore generale di A., G., F., Fr., L.P.A.; tra i due ricorrenti le spese devono essere compensate.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara improcedibile il ricorso proposto da C.A. e inammissibile il ricorso proposto dalla società La Sacrestia di Attolini R. di Ponsiglione Patrizia s.a.s..

Compensa le spese tra i ricorrenti e condanna entrambi i ricorrenti a pagare a V.S. quale procuratore generale di L. A., G., F., Fr., P. e A., le spese di questo giudizio di cassazione che liquida, per ciascun ricorrente, in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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