Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-02-2012, n. 2022 Pensione di invalidità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Riferisce la sentenza impugnata che il Tribunale di Rossano aveva dichiarato inammissibile, per decorso del termine di decadenza di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, il ricorso proposto da S. F. per il riconoscimento del dritto a percepire la pensione di invalidità civile.

In riforma della decisione di primo grado, la Corte d’appello di Catanzaro ha osservato che per i trattamenti di natura assistenziale, come quello rivendicato in giudizio, non operava la decadenza di cui all’art. 47 citato, applicandosi la norma in questione solo ai trattamenti pensionistici di invalidità aventi natura previdenziale e regolati dalla L. n. 222 del 1984; comunque, nel caso di specie, non si era verificata alcuna decadenza e sussistendo il requisito sanitario nonchè quello reddituale, l’INPS andava condannato a corrispondere la pensione di invalidità civile di cui alla L. n. 118 del 1971 a decorrere dal 23 luglio 2007.

L’INPS ricorre per la cassazione di questa sentenza con tre motivi.

Resiste l’intimata con controricorso.

Motivi della decisione

1. Nel primo motivo l’INPS denuncia violazione art. 112 c.p.c., per avere la sentenza impugnata riconosciuto il diritto a una prestazione diversa da quella rivendicata dalla S., avendo ad oggetto la domanda giudiziale la "pensione di inabilità" o "l’assegno di invalidità" previsti dalla L. n. 222 del 1984. 2. Nel secondo motivo, con deduzione di violazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, come modificato dal D.L. n. 103 del 1991, art. 6 (convertito nella L. n. 166 del 1991) e dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4 (convertito nella L. n. 438 del 1992), l’INPS censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non applicabili le disposizioni di legge citate alle prestazioni previdenziali costituenti l'(effettivo) oggetto di lite, nonchè nella parte in cui ha attribuito rilievo, al fine di escludere (comunque) l’avvenuto decorso del termine di decadenza, a un primo ricorso giurisdizionale della S., sebbene dichiarato nullo dal Tribunale di Rossano con sentenza del 19 gennaio 2006. 3. Nel terzo motivo, con deduzione di vizio di motivazione, si censura la sentenza impugnata per aver mancato di esaminare la successione degli atti del procedimento ai fini dell’accertamento della decadenza dall’azione giudiziaria e, prima ancora, per aver errato nel ritenere che oggetto del giudizio fosse il riconoscimento della pensione di inabilità civile e non invece il riconoscimento della pensione di inabilità disciplinata dalla L. n. 222 del 1984, art. 2. 4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza.

5. Secondo la giurisprudenza di questa Corte il principio per cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti da luogo a un giudizio di fatto riservato al giudice di merito non trova applicazione quando si assuma che tale interpretazione abbia dato luogo a un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ( art. 112 c.p.c.) o a quello del tantum devolutimi tantum appellatimi ( artt. 342 e 434 c.p.c.), trattandosi, in tal caso, della denuncia di un errar in procedendo che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame e alla interpretazione degli atti del giudizio di merito e, in particolare delle istanze e deduzioni delle parti (cfr., tra tante, Cass. n. 11755/2004, n. 17109/2009).

6. Tuttavia, l’esercizio di tale potere-dovere presuppone, comunque, l’ammissibilità del motivo di censura, sotto il profilo, in particolare, del rispetto del principio dell’autosufficienza, dovendo la Corte di Cassazione essere posta in grado di effettuare – attraverso la sola lettura dei ricorso, senza compiere generali verifiche sugli atti – il controllo demandatole circa il corretto svolgersi dell’iter processuale e la valutazione della decisività dell’errore addebitato al giudice di merito.

7. In applicazione del principio in discorso, quando sia lamentata, come nel caso di specie, la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, contestandosi al giudice di appello di aver deciso su una domanda diversa da quella effettivamente proposta in giudizio, il ricorrente, onde evitare una pronuncia di inammissibilità per lacunosità della censura, ha l’onere di trascrivere , nei loro esatti termini (e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto) i passi del ricorso introduttivo in cui siano descritti gli elementi di fatto e le ragioni di diritto posti a fondamento della domanda, dovendo quest’ultima essere valutata nel suo contenuto sostanziale, alla luce dei fatti dedotti in giudizio, indipendentemente dalle formule adottate e dalle norme indicate a suo fondamento (vedi Cass. n. 23420/2011, n. 19630/2011, n. 17109/2009, n. 1170/2004).

8. Orbene il motivo di censura proposto dall’INPS non soddisfa i requisiti indicati, essendosi il ricorrente limitato a riferire che, nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la S. aveva chiesto "la pensione di inabilità L. n. 222 del 1984, ex art. 2" e, in subordine "1" assegno ordinario di invalidità L. n. 222 del 1984, ex art. 1, senza, tuttavia, supportare tale deduzione con la trascrizione del suddetto atto processuale o, comunque, quantomeno, con la indicazione che gli elementi di fatto e le ragioni di diritto addotti dalla S. a fondamento della propria pretesa erano tutt’altri rispetto a quelli individuati dalla Corte territoriale attraverso l’interpretazione della domanda come diretta al riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità civile, disciplinata dalla L. n. 118 del 1971. 9. L’inammissibilità del primo motivo di ricorso rende superfluo l’esame delle altre censure, in quanto la deduzione relativa all’applicabilità della decadenza dall’azione giudiziaria di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 e quella relativa al mancato decorso del relativo termine, presuppongono entrambe, nella prospettazione dell’Istituto ricorrente, che le prestazioni rivendicate in giudizio siano di natura previdenziale e non assistenziale, come, invece, ritenuto dalla sentenza impugnata.

10. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

11. L’INPS è condannato al pagamento, in favore della odierna resistente, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’odierna resistente, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 20,00 per esborsi e in Euro 1.500,00 (millecinquecento) per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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