Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-02-2012, n. 3010 Prelazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto 21 febbraio 1992 V.G. e V.B. hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Bergamo, B. C. e Se.Ma..

Premesso di essere comproprietari di un fondo in (OMISSIS) (mapp. 686/A) confinante con altro di proprietà del B. e da questi promesso in vendita a C.M. con scrittura 17 settembre, di avere comunicato al B. la propria intenzione di esercitare la prelazione, gli attori hanno chiesto che l’adito tribunale li dichiarasse proprietari del fondo in discussione o, in via subordinata, pronunciasse sentenza ex art. 2932 cod. civ. con condanna dei convenuti al risarcimento dei danni patiti per la mancata accettazione della prelazione.

Costituitisi in giudizio i convenuti hanno eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva nonchè, comunque, la infondatezza della pretesa avversaria, atteso che i due fondi non erano confinanti, in quanto separati dalla strada consorziale della Processione e dalla parallela roggia (OMISSIS).

Autorizzata la chiamata in causa di S.G., cui il convenuto aveva venduto il fondo in data (OMISSIS), il medesimo si è costituito in giudizio, chiedendo che il B. fosse dichiarato tenuto a garantirlo dei danni causati dalla trascrizione dell’atto di citazione eseguita dagli attori.

Riunite al giudizio sia la controversia promossa dai V. nei confronti del B., avente a oggetto la opposizione alla esecuzione per il rilascio del fondo già di proprietà B., a seguito dell’esercitato riscatto, sia la procedura promossa dai medesimi V. per la convalida nei confronti di S. G. del sequestro giudiziario del fondo di (OMISSIS) e per la dichiarazione dell’intervenuto loro acquisto della proprietà dal S. e svoltasi la istruttoria del caso, l’adito tribunale con sentenza 28 maggio – 14 giugno 2002 ha rigettato sia la domanda degli attori, disponendo la cancellazione della trascrizione sia tutte le ulteriori domande formulate dalle parti.

Gravata tale pronunzia in via principale da V.G. e V.B. e in via incidentale da B.C. e S. M., nel contraddittorio, altresì, di S.G., la Corte di appello di Brescia, con sentenza 5 dicembre 2008 – 21 settembre 2009 ha rigettato sia l’appello principale che quelli incidentali.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata il 16 novembre 2009, hanno proposto ricorso, affidato a 4 motivi V.G. e V.B., resistono, con controricorso e ricorso incidentale, affidato a 4 motivi Se.Ma., B.S. e B.M., con solo controricorso S.G. A..

Motivi della decisione

1. Il ricorso principale e quello incidentale sono riuniti.

2. Assumono in limine i ricorrenti incidentali che nelle more del giudizio di appello i ricorrenti principali hanno alienato a terzi il fondo di loro proprietà e che, di conseguenza, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, con conseguente improcedibilità del ricorso.

Allo scopo hanno prodotto, per la prima volta in questo giudizio di legittimità, visura dell’Agenzia del territorio in data 26 gennaio 2010. 3. L’assunto non può trovare accoglimento.

Nel giudizio innanzi alla Corte di cassazione, secondo quanto disposto dall’art. 372 cod. proc. civ., non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero, eventuali nullità inficianti direttamente la sentenza impugnata.

Deriva da quanto precede, pertanto, la inammissibilità dei documenti prodotti per la prima volta in sede di legittimità da parte dei ricorrenti incidentali atteso che la loro produzione non attiene alla dimostrazione della ammissibilità del ricorso o della nullità della sentenza impugnata ma è diretta unicamente a suffragare la bontà degli argomenti sviluppati nel ricorso incidentale per dimostrare la cessazione della materia del contendere a causa della alienazione – nelle more del giudizio di appello – del loro fondo da parte dei (ricorrenti principali (cfr., ad esempio, Cass. 13 dicembre 2011, n. 2722).

Anche a prescindere da quanto precede si osserva che se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie (art. 111 c.p.c., comma 1) e in ogni caso il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo (art. 111 c.p.c., comma 3).

Pacifico quanto precede, pacifico che per effetto della alienazione, a terzi, del fondo di loro proprietà i ricorrenti principali hanno ceduto a costoro anche il diritto al riscatto del terreno asseritamente confinante, oggetto del presente giudizio, è palese che il processo deve, comunque, proseguire tra le parti originarie.

Anche a prescindere dai, pur assorbenti, rilievi che precedono si osserva che in materia costituisce ius receptum, nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice, l’affermazione secondo cui in materia di prelazione agraria, le condizioni per l’esercizio della facoltà di riscatto vanno riscontrate nel momento in cui sorge detta facoltà col compimento dell’atto di alienazione al terzo in violazione del diritto di prelazione, oppure nel momento in cui essa viene esercitata, con la dichiarazione relativa al retratto comunicata dal retraente al retrattato, senza che il giudice debba verificare la persistenza dei requisiti previsti dalla L. n. 590 del 1965, art. 8 per tutta la durata della causa, dalla sua proposizione sino al momento della emanazione della sentenza (Cass. 8 luglio 2005, n. 14448; Cass. 23 giugno 1986, n. 4166; Cass. 17 novembre 1983, n. 6868).

4. Con il primo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata denunziando, testualmente:

– erronea percezione della realtà immobiliare esistente e derivata e riveniente ed accertata dalla CTU, dalle foto allegate agli atti di causa, dall’insieme delle risultanze processuali ivi comprese le mancate contestazioni delle controparti alla realtà conclamate dai ricorrenti e dai loro documenti in relazione alla situazione dei luoghi, alla attività di coldiretti dei due ricorrenti e la loro capacità e sufficienza lavorativa unitamente ai membri delle loro famiglie in relazione al fondo riscattando e quant’altro;

– questa deficienza di percezione complessiva ha portata a una violazione – conclude il motivo – o falsa applicazione delle norme di diritto relative in particolare al diritto di prelazione e riscatto pertinente a col dirette che detengono un fondo confinante con quello riscattando fino al punto di negare la con finanza di detto fondo con il fondo intestato al S..

5. La censura è inammissibile.

A prescindere da ogni altra considerazione (assoluta genericità delle censura, che fa riferimento – senza altra pur necessaria precisazione – alla realtà immobiliare esistente e alle foto allegate agli atti di causa nonchè all’insieme delle risultanze processuali totalmente prescindendo dagli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 nel testo in vigore ratione temporis è stata impugnata con ricorso per cassazione una sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006, cfr. D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, artt. 5 e 27) si osserva che quando nel ricorso per cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – il motivo è inammissibile, poichè non consente alla Corte di cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1108; Cass. 29 novembre 2005, n. 26048;

Cass. 8 novembre 2005, n. 21659; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20145;

Cass. 2 agosto 2005, n. 16132, recentemente, Cass. 12 ottobre 2011, n. 20951).

Non controversi i principi di diritto sopra esposti, certo che nella specie i ricorrenti pur dolendosi della violazione o falsa applicazione delle norme di diritto relative in particolare al diritto di prelazione e riscatto pertinente a coldiretti che detengono un fondo confinante con quello riscattando (quindi, della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 e L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7), si sono astenuti dall’indicare – nel motivo – quali siano le affermazioni, in diritto, contenute nella sentenza impugnata in contrasto con le disposizioni indicate (o con la interpretazione consolidata delle stesse datane dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice o dalla dottrina) è di palmare evidenza la inammissibilità della deduzione.

6. Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere escluso che i fondi condotti da essi concludenti fossero confinanti con quelli oggetto di riscatto per la presenza di un fosso irriguo nonchè di una stradella intermedia (atteso, tra l’altro, che quest’ultima, dopo essere passata in fregio ai due fondi si addentra nella campagna per 250/300 metri per poi interrompersi in aperta campagna e qui estinguersi e che nessuna costruzione o centro abitato o immobile di qualsiasi destinazione esiste lungo tutto il corso della stradella).

7. Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano, ancora, da un lato, erronea valutazione e erronea motivazione circa la pretesa della mancanza di confinanza tra i due fondi, dall’altro, violazione e falsa applicazione della L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, comma 2, n. 2 per avere i giudici del merito qualificato strada vicinale la stradella in questione e per essersi appiattita sulle sentenze di cassazione, a iniziare da quella famosa del 5 marzo 1988 n. 2582 a sezioni unite che proclama la vittoria del confine materiale tra i fondi rispetto a quello funzionale che in precedenza veniva utilizzato, atteso che dopo 20 anni è il momento di rivedere le cose.

8. I riassunti motivi, intimamente connessi e da esaminare congiuntamente, non possono trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

8.1. Come non ha difficoltà di ammettere la stessa difesa dei ricorrenti la pacifica giurisprudenza di questa Corte regolatrice in argomento, è – da lustri – consolidata nell’affermare che il diritto di prelazione e riscatto del coltivatore diretto, proprietario del terreno confinante, previsto dalla L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, spetta, in generale, nel solo caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio, cioè allorquando essi siano caratterizzati da contiguità fisica e materiale, per contatto reciproco lungo una linea comune di demarcazione, sì, pertanto, che non può ritenersi realizzata tale condizione quando tra i due fondi si interpongano una stradella interpoderale che sia comune anche al fondo venduto, oltre che ad altri, poichè i fondi posti ai suoi lati non possono essere, appunto, considerati contigui tra di loro, ovvero separati da un comune confine, ma vanno definiti come fondi non contigui materialmente e fisicamente perchè tra loro è interposto un altro immobile, ancorchè oggetto non di proprietà individuale, ma di proprietà comune (in questo senso, ad esempio, oltre Cass. 27 settembre 2011, n. 19747; Cass. 20 dicembre 2005, n. 28235).

8. 2. Nella specie è certo che il fondo degli o-dierni ricorrenti principali è separato dal fondo per il quale è stato esercitato il retratto da una strada, denominata Consorziale della Processione, esistente da epoca anteriore al 1853, aperta al pubblico passaggio, destinata all’accesso dei fondi sì da poter essere definita strada, vicinale.

E’ palese, di conseguenza, che correttamente i giudici del merito hanno escluso che tra i due fondi in discussione esistesse un confine comune.

8. 3. Assolutamente irrilevante e non idoneo a giustificare una conclusione della lite diversa da quella fatta propria dai giudici a quibus è quanto si adombra in ricorso, in merito alla reale qualità della stradella in discussione.

Infatti:

– anche nella eventualità potesse giungersi – alla stregua di una diversa valutazione delle risultanze di causa (peraltro preclusa in questa sede, stanti i limiti del giudizio di legittimità che, contrariamente a quanto suppone la difesa dei ricorrenti, non è un giudizio di merito di terzo grado) – alla conclusione che la strada in questione la cui esistenza non è, comunque, mai negata nella complessa articolazione dei due motivi in esame non è aperta al pubblico non per questo potrebbe mai affermarsi che i due fondi sono contigui;

– non si dubita, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte che al fine di escludere la contiguità tra fondi (e, quindi il diritto di prelazione e di riscatto del proprietario confinante, ai sensi della L. n. 817 del 1971, art. 7) non si richiede la presenza di una strada (o stradella) di uso pubblico ma è sufficiente che i fondi siano posti ai lati di una strada privata agraria;

– la giurisprudenza di questa Corte regolatrice – in particolare, non dubita che il bene immobile costituito dal suolo di una strada vicinale non soggetta al pubblico transito, ovvero di una strada privata agraria, appartiene ai privati che hanno concorso a realizzarle: in siffatta ipotesi, anche quando gli apporti dei soggetti che hanno concorso nella loro costituzione siano rappresentati da porzioni dei terreni latistanti, le singole porzioni devono considerarsi ormai distaccate dai terreni cui appartenevano, con la conseguente determinazione, a favore di tutti, di un acquisto del nuovo bene formatosi per unione, del quale i soggetti, che hanno contribuito alla sua costituzione, usufruiscono come proprietari – in quanto esso è oggetto di una comunione tra loro – e non a titolo di servitù (in termini, ad esempio, Cass. 6 dicembre 2005, n. 26689, nonchè Cass. 8 gennaio 1996, n. 58, secondo le quali, pertanto, i fondi posti ai suoi lati non possono essere considerati materialmente contigui tra loro e devono, perciò, qualificarsi come fondi non confinanti ai fini dell’istituto del riscatto agrario. Sempre nel senso che le vie vicinali agrarie formate ex collatione privatorum agrorum traggono la loro origine da situazioni giuridiche obiettive di diversa natura, le quali possono essere determinate dalla volontà coincidente, anche se non concorde, di tutte le parti, manifestata attraverso il fatto materiale del conferimento in relazione all’effettiva esigenza dei fondi, manifestazione che, non avendo natura negoziale, produce effetti giuridici, anche in mancanza di qualsiasi forma scritta, e vale a costituire una comunione, avente le caratteristiche di una communio incidens, onde il transito attraverso la strada avviene non iure servitutis, ma iure proprietatis, Cass. 27 luglio 2006, n. 17111);

– deriva, da quanto precede, pertanto, che la strada – quale è quella che nella specie divide i due fondi, giusta l’assunto dei ricorrenti – non insiste nè sul fondo di proprietà del retraente nè su quello di proprietà del retrattato, e detti fondi – quindi – non possono essere considerati contigui tra di loro, ma vanno ritenuti con fondi non confinanti ai fini degli istituti della prelazione e riscatto agrario (Cass. 27 settembre 2011, n. 19747;

Cass. 26 novembre 2007, n. 24622; Cass. 19 gennaio 2007, n. 1191;

Cass. 17 luglio 2002, n. 10377, tra le tantissime).

8.4. Non sussistono – da ultimo – ragioni di sorta per un superamento della ricordata, incontrastata giurisprudenza.

Se, infatti, come si sottolinea in ricorso la ratio della L. n. 817 del 1971, art. 7 è quella di favorire accorpamenti di fondi confinanti al fine di favorire la creazione di aziende agricole più funzionali, non può – contemporaneamente – non evidenziarsi che il diritto di prelazione e di riscatto ex lege costituisce una limitazione della circolazione della proprietà agricola, oltre che dell’autonomia negoziale (cfr., ad esempio, Cass. 26 novembre 2007, n. 24622).

Atteso, che entrambi tali valori sono costituzionalmente tutelati (cfr. artt. 41 e 42 Cost.), è palese che tutte le disposizioni che derogano a questi non possono che essere considerate eccezionali ai sensi dell’art. 14 preleggi e si pongono, quindi, come norme di stretta interpretazione in quanto apportanti speciali limitazioni al diritto di proprietà.

La L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 1, quindi, al pari di tutte le altre norme che a questo fanno riferimento, come la L. n. 817 del 1971, art. 7, contemplano un numero chiuso di situazioni soggettive protette e non possono trovare applicazione oltre i casi ivi previsti (Cass. 1 aprile 2003, n. 4914).

Deve escludersi conclusivamente che abbia un qualche fondamento la pretesa dei ricorrenti perchè questa Corte muti la propria giurisprudenza in margine alla L. n. 817 del 1971, art. 7 (al fine di favorire gli interessi dei retraenti proprietari di fondi non materialmente contigui con quelli in vendita, e in pregiudizio dei diversi interessi dei proprietari e degli acquirenti di tali fondi non contigui) certo che un tale mutamento di giurisprudenza (rispetto a quella consolidatasi negli ultimi lustri, a seguito della pronunzia richiamata in ricorso Cass., sez. un., 25 marzo 1988, n. 2582), non solo non ha alcuna giustificazione nella formula della legge, ma appare – altresì – in violazione di principi costituzionali.

9. Con il quarto, e ultimo, motivo i ricorrenti denunziano erronea valutazione della mancanza negli attori V. delle condizioni di legge per essere considerati coldiretti.

10. Il motivo è inammissibile sotto molteplici concorrenti profili e, in primis, per carenza di interesse (art. 100 cod. proc. civ.).

Accertato, infatti, come è stato accertato con statuizione coperta da giudicato – a seguito del rigetto dei primi tre motivi – che i V. non potevano esercitare la prelazione in quanto non proprietari di un fondo materialmente contiguo con quello oggetto di vendita è palese che è irrilevante ogni altro accertamento, quanto alla esistenza, o meno, in capo agli stessi, dei requisiti soggettivi per l’esercizio del diritto di riscatto.

Anche nell’eventualità, infatti, fosse accertata la loro qualità di coltivatori diretti non per questo potrebbe mai pervenirsi alla cassazione della sentenza impugnata.

11. I primi tre motivi del ricorso incidentale, con i quali, si lamenta – da un lato – la mancanza di presupposto di prelazione agraria, perchè il bene oggetto di causa proviene da asta pubblica, dall’altro, la mancanza di prova di cui alla L. n. 817 del 1971, art. 7 della mancata alienazione nei due anni precedenti di fondi rustici, da ultimo, la mancata destinazione agricola del fondo dei retraenti, sono inammissibili atteso che su tali aspetti della controversia la sentenza impugnata non si è pronunciata ritenendo ogni altra questione assorbita.

E’ palese, pertanto che i ricorrenti incidentali non potevano considerarsi sul punto soccombenti e non erano, di conseguenza, legittimati a proporre ricorso, ancorchè incidentale, per cassazione (potendo sottoporre l’esame di tali questioni al giudice di rinvio, nella eventualità questa corte avesse cassato la sentenza impugnata).

12. Con il quarto motivo i ricorrenti incidentali sollecitano la condanna alle spese giudiziali per mala fede ex art. 96 c.p.c. da effettuarsi ex art. 385 c.p.c..

13. La deduzione è manifestamente infondata, atteso che le circostanze evidenziate (richiesta di cambio di destinazione d’uso del fondo di loro proprietà da parte dei V. già nel 1988, alienazione del loro fondo in corso del giudizio di secondo grado) da un lato, sono unicamente enunciate e in alcun modo dimostrate, dall’altro, ancorchè, per ipotesi, i documenti a dimostrazione di tali assunti fossero in atti il ricorso è sul punto inammissibile per non essere stato adempiuto l’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, da ultimo, tenuto presente che trattasi di circostanze assolutamente irrilevanti come già evidenziato in sede di rigetto della istanza di declaratoria di cessazione della materia del contendere.

14. Alla prevalente soccombenza dei ricorrenti principali segue la loro condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità in favore delle controparti, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso principale, nonchè quello incidentale;

condanna i ricorrenti principali al pagamento delle spese di lite liquidate in Euro 200,00 oltre Euro 5.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge, in favore di Segù Maria e Bruni Stefano e Massimo e in Euro 200,00, oltre Euro 4.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge in favore di S.G..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *