Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-03-2012, n. 3727 Contratti agrari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.V. conveniva davanti al tribunale di Milano, R. E. e Concrete s.p.a. in liquidazione (successivamente divenuta Torno s.p.a. in liquidazione) con atti di citazione notificati il 23 e 27.7.2001, chiedendo l’accertamento del proprio diritto di prelazione agraria e conseguente riscatto relativamente a terreni individuati da numerosi mappali dei fol. 20, 21 e 22, siti in (OMISSIS), nella qualità di proprietario coltivatore del fondo confinante con i predetti.

Il tribunale rigettava la domanda, ritenendo la mancanza di elementi soggettivi ed oggettivi per la prelazione, segnatamente la contiguità dei fondi e la mancanza di affittuari sugli stessi.

Proponeva appello alla Corte di Appello di Milano B.V..

Resistevano i convenuti.

La corte di appello di Milano, con sentenza depositata il 17.2.2010, in accoglimento dell’appello, dichiarava il trasferimento del fondo in questione da Torno s.p.a. per i mappali n. 21, 27 e 63 del fol. 20 e da R.E. per i restanti in favore di B.V., previo pagamento del prezzo di Euro 1.549.371,00.

Riteneva la corte di merito che nella fattispecie risultava il requisito della qualità di coltivatore diretto del B. sulla base della sua iscrizione all’INPS quale coltivatore diretto, nonchè di proprietario dei fondi costituiti dai mappali n. 28 e 29, confinanti con i mappali posti in vendita n. 63 e 21; che la prova dell’esistenza di affittuari sul fondo (la quale esclude la prelazione del proprietario confinante) gravava, non su quest’ultimo, che pure esercitava il diritto di prelazione e, quindi di riscatto, ma sulla parte che tale diritto contestava; che nella fattispecie i convenuti non avevano fornito alcuna prova documentale di eventuali affitti relativi al fondo; che nella fattispecie sussisteva il requisito oggettivo della contiguità dei fondi, poichè il mappale 63 del fol. 20, era stato trasferito a tale D.F., successivamente alla vendita da Concrete s.p.a. a R., mentre l’esistenza di un corso d’acqua di ridotte dimensioni (la cd. Roggia Refredda) non escludeva la contiguità funzionale tra il fondo del B. e quelli della R.. Riteneva, inoltre la corte territoriale che i terreni non confinanti con quelli di B. e di proprietà della Concrete s.p.a. erano stati venduti ad R. E., mentre quelli confinanti le erano stati concessi in affitto (mappali n. 21 -27 e 63 del fol. 20); che entrambi tali contratti erano simulati, essendo stati effettuati al fine di eludere le norme sulla prelazione in favore del B..

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione R. E..

Ha proposto ricorso incidentale, con controricorso, la s.p.a. Torno Assicurazioni.

Resiste nei confronti di entrambi B.V. con 2 controricorsi.

Motivi della decisione

1.1. Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi, a norma dell’art. 335 c.p.c..

1.2. Con il primo motivo del ricorso principale la ricorrente R. lamenta la violazione e falsa applicazione della L. 14 agosto 1971, art. 7, n. 817 e della L. 26 maggio 1965, n. 590, artt. 8 e 31 nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Assume la ricorrente che fin dalla comparsa di costituzione aveva lamentato la mancanza dei requisiti soggettivi ed oggettivi in capo al B. per l’esercizio del diritto di riscatto e che la corte territoriale erroneamente ha ritenuto l’esistenza dei requisiti soggettivi sulla base dei soli certificati di iscrizione allo Scau ed alla Coldiretti, nonostante le sue espresse contestazioni.

2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione della L. n. 817 del 1971, art. 7 e L. n. 590 del 1965, art. 8 ed art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di appello ritenuto che la prova del requisito oggettivo per la prelazione, consistente nell’inesistenza di coltivatori diretti sul fondo, graverebbe non sull’attore che esercita (la prelazione e quindi) il riscatto ma sul convenuto, quale evento estintivo della prelazione.

3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione della L. n. 817 del 1971, art. 7 e della L. n. 590 del 1965, art. 8 nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver accertato che il B. avesse anche l’altro requisito soggettivo consistente nel fatto di non aver venduto nel biennio precedente altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille, pur in presenza della contestazione già in sede di comparsa di risposta delle condizioni soggettive ed oggettive per l’esercizio del diritto di prelazione e, quindi, di riscatto.

4.1. I suddetti motivi di ricorso, essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati.

4.2. Va, anzitutto, rigettata l’eccezione del resistente B., secondo cui nella fattispecie si sarebbe verificato un giudicato interno, in quanto, avendo la sentenza del tribunale rigettato la domanda per mancanza dell’elemento oggettivo della contiguità materiale tra i fondi, avrebbe implicitamente ritenuto l’esistenza dei requisiti soggettivi.

Nella specie sussisterebbe quindi un giudicato interno implicito. Va osservato che il giudicato implicito può ritenersi formato solo allorchè tra la questione risolta espressamente e quella che si assume risolta implicitamente sussista un nesso di dipendenza così intenso da non consentire che l’una sia stata decisa senza aver prima deciso l’altra. Ne consegue che non è configurabile un giudicato implicito quando la questione da decidere abbia una propria autonomia ed individualità per la diversità dei presupposti di fatto e di diritto rispetto a quella decisa (Cass. 22/07/2003, n. 11412).

4.2.Nella fattispecie non sussiste alcun nesso di dipendenza tra l’accertamento del tribunale in merito alla mancanza del requisito oggettivo della contiguità dei fondi ed il preteso accertamento implicito dei requisiti soggettivi per l’esercizio della prelazione, con la conseguenza che nessun giudicato implicito interno poteva verificarsi.

4.3.Inoltre ed in ogni caso, poichè la R. era risultata vittoriosa totalmente, essa non poteva proporre alcuna impugnazione incidentale nei confronti della sentenza, ma era sufficiente che essa riproponesse tali eccezioni in sede di appello, a norma dell’art. 346 c.p.c., come appunto è avvenuto.

5.1. Passando al merito dei predetti due motivi di ricorso, va osservato in conformità a una giurisprudenza più che consolidata, che il giudice ha il potere – dovere di rilevare, indipendentemente dalla iniziativa della parte interessata – e in attuazione dell’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge – la mancanza degli elementi che caratterizzano l’efficacia costitutiva o estintiva di una data pretesa (Cass. 20 novembre 2000, n. 14968;

Cass. 15/05/2001, n. 6715) e che è deducibile o rilevabile d’ufficio in ogni stato o grado del giudizio, salvo l’operare delle preclusioni che possono determinarsi nel processo, altresì, la mancanza degli elementi costitutivi del diritto azionato (Cass. 24 dicembre 1999, n. 14535).

In particolare in tema di prelazione agraria e di riscatto agrario il giudice del merito è tenuto, infatti, comunque, ex officio alla verifica della sussistenza in concreto di tutte le molteplici condizioni volute dalla legge per l’accoglimento della domanda (Cass. 12 agosto 2000 n. 10789) e, ovviamente, ove a tanto non abbia provveduto il giudice di primo grado bene può intervenire quello d’appello (soprattutto nell’eventualità in cui, come nella fattispecie, sia stata espressamente proposta la questione). In particolare, i requisiti indicati dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 perchè possa trovare accoglimento una domanda di riscatto agrario costituiscono condizioni dell’azione e devono essere accertati dal giudice d’ufficio, per cui non incorre in vizio di ultrapetizione, nè viola il giudicato interno, il giudice d’appello che rilevi d’ufficio la mancanza degli anzidetti presupposti di fatto nel caso in cui la questione non sia stata espressamente esaminata dal giudice di primo grado (Cass. 28/10/2004, n. 20909).

5.2. Diversa questione è quella della prova della sussistenza dei presupposti per l’esercizio del relativo diritto: il relativo onere grava su chi lo esercita, a norma dell’art. 2697 c.c. Ciò va affermato anche con riferimento alla mancanza di insediamento di coltivatori diretti sul fondo offerto in vendita in quanto anche ciò costituisce una delle condizioni per l’insorgenza del diritto stesso (Cass. 2.2.1996, n. 899; Cass. 24.6.2003, n. 10014).

Tuttavia, contrariamente a quanto assunto da precedenti arresti di questa Corte (Cass. 11 marzo 2002, n. 3500; Cass. n. 20909 del 2004), anche in tema di prelazione o riscatto agrario opera il principio secondo cui l’art. 167 cod. proc. civ., imponendo al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte, considera la non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti (Cass. 05/03/2009, n. 5356).

Nella fattispecie la R., già nella sua comparsa di risposta del 14.11.2001, contestava che nella specie sussistessero le condizioni sia oggettive che soggettive per l’attribuzione del diritto di prelazione e del conseguente riscatto. Inoltre, in particolare i requisiti della contiguità dei fondi e della natura agricola o meno di alcuni mappali hanno costituito ampio thema disputandum. Ne consegue che vanno rigettate le eccezioni mosse dal resistente B., secondo cui nella fattispecie mancherebbe una specifica contestazione dell’esistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi.

6.1. Quanto alla prova della qualità di coltivatore diretto è fondata la censura della ricorrente, secondo cui essa non può ritenersi esistente sulla base della sola iscrizione presso lo Scau o l’INPS. Infatti, ai fini della domanda di riscatto L. n. 590 del 1965, ex art. 8, la prova della qualità di coltivatore diretto in capo al richiedente deve essere fornita in concreto: ciò che rileva non è il dato formale dell’iscrizione in elenchi o altre certificazioni amministrative, bensì l’effettivo esercizio dell’attività agricola con lavoro prevalentemente proprio o della propria famiglia (Cass. n. 5673/2003, Cass. n. 14450/2005; Cass. n. 15805/2005, contrariamente a quanto assume la sentenza impugnata).

6.2.Ciò vale tanto più allorchè si tratta dell’esercizio della prelazione o riscatto da parte del proprietario del fondo confinante.

Il vigente sistema non garantisce il diritto di prelazione, nell’acquisto di fondi rustici, in genere ai coltivatori diretti, ma unicamente a coloro che, essendo coltivatori diretti, si trovino in un particolare rapporto con il fondo in vendita. Il proprietario del fondo confinante con quello in vendita in tanto è titolare del diritto prelazione (e, quindi, di quello di riscatto), in quanto lo stesso non solo abbia la qualità di coltivatore diretto ma, contemporaneamente, coltivi direttamente i terreni confinanti con quello in vendita. (Cass. 6/03/2005, n. 5682).

E’errata, pertanto, la sentenza impugnata che ha ritenuto la sussistenza del requisito soggettivo de quo sulla base del solo elemento indiziario dell’iscrizione all’INPS. 7. Egualmente fondato è il terzo motivo di ricorso, per non avere la corte accertato l’esistenza del requisito soggettivo della mancata vendita di fondi rustici nel biennio precedente. La mancata vendita di fondi rustici nel biennio precedente costituisce condizione per l’insorgenza del diritto di prelazione e del conseguente diritto di riscatto in capo al coltivatore diretto proprietario del fondo confinante. Ne consegue che la prova della sussistenza di tale condizione spetta a chi esercita il relativo diritto e può essere fornita con ogni mezzo e, quindi, anche con testimoni (Cass. 24.10.2008, n. 25742; Cass. 10.3.2006, n. 5253).

8.1. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta il vizio di motivazione dell’impugnata sentenza per aver ritenuto che il fondo del retraente e quello oggetto di riscatto fossero contigui pur esistendo tra loro sia la particella n. 63 foglio 20 di proprietà D.F., sia la roggia Refredda.

8.2. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, per aver ritenuto che il corso d’acqua costituito dalla roggia Refredda non costituisse ostacolo alla contiguità tra i fondi (necessaria ai fini della prelazione), tenuto conto in concreto delle ridotte dimensioni del corso d’acqua che non escludeva la possibilità di dar vita ad accorpamenti per la costituzione di un’azienda unitaria.

8.3. Con il quinto motivo del ricorso incidentale la Torno s.p.a. in liquidazione in termini analoghi censurava l’impugnata sentenza per violazione della L. n. 817 del 1971, art. 7 e della L. n. 590 del 1965, art. 8 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè per insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. 9.1. I tre motivi vanno esaminati congiuntamente, stante la loro connessione.

Essi sono fondati nei termini che seguono, in relazione alla questione della non contiguità tra i fondi, determinata dalla roggia Refredda, mentre resta assorbita la censura mossa alla sentenza in relazione alla mancato rilievo della separazione determinata dalla pretesa altruità della particella n. 63 del fol. 20, per essere stato lo stesso venduto a D.F..

9.2.Va osservato che le S.U. di questa Corte con sentenza n. 5282 del 1988 hanno affermato che non si ravvisa ragione per ipotizzare che il legislatore, nel dettare le disposizioni di cui alla L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, abbia inteso obliterare l’ordinario concetto giuridico di "confinanza" (inteso come materiale e fisica contiguità di terreni appartenenti a proprietari diversi) per sostituirlo con un concetto metagiuridico di "confinanza", concretato dalla mera idoneità di fondi, ancorchè separati e distanti tra loro, ad essere conglobati in un più ampio contesto aziendale, funzionalmente unico.

Pertanto ai fini di cui alla L. n. 817 del 1971, art. 7, sono considerati terreni confinanti quelli per i quali sussiste relazione di contiguità materiale, e non solo funzionale, e, pertanto, non ha diritto di esercitare la prelazione o il riscatto il proprietario il cui fondo sia separato da quello posto in vendita anche solo da una strada vicinale (Cass. Sez. Unite, 25/03/1988, n. 2582).

9.3. In conformità al suddetto principio va affermato che il diritto di prelazione e riscatto spetta solo nel caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio, caratterizzati, cioè, da contiguità fisica e materiale, per contatto reciproco lungo la comune linea di demarcazione (sia essa meramente ideale, ovvero esteriorizzata mediante muri, siepi, recinzioni o altri segnali), e non già da contiguità meramente funzionale, ossia di fondi separati, ma idonei ad essere accorpati in un’unica azienda agraria; ne consegue che devono essere considerati non confinanti i fondi separati da un corso d’acqua di proprietà pubblica, nonchè da attrezzature fisse per la distribuzione dell’acqua ovvero da ostacoli materiali come canali di proprietà aliena (Cass. n. 11377 del 11/05/2010).

Questa Corte ha condivisibilmente ritenuto che non sussiste il requisito della contiguità qualora i due predii siano separati da un pubblico canale (nella specie: facente parte di un più vasto bacino imbrifero, destinato alla realizzazione di un programma di bonifica) non assimilabile ad un fosso di scolo praticabile nell’ambito di una medesima unità colturale (Cass. civ., Sez. 3^, 14/02/1986, n. 895).

9.4. E’ da equiparare alla proprietà altrui anche l’ipotesi in cui la strada interpoderale o il fosso di adduzione dell’acqua sia di proprietà comune ai proprietari dei 2 fondi (quello posto in endita e quello del prelazionante) e ad altri proprietari di fondi viciniori, poichè i fondi posti ai suoi lati non possono essere, appunto, considerati contigui tra di loro, ovvero separati da un comune confine, ma vanno definiti come fondi non contigui materialmente e fisicamente perchè tra loro è interposto un altro immobile, ancorchè oggetto non di proprietà individuale, ma di proprietà comune e da nessuno utilizzabile altrimenti (Cass. 20/12/2005, n. 28235).

9.5. Nella fattispecie il ctu ha accertato che, se anche la particella 63 del fol. 20 di proprietà D.F. e condotta in affitto dalla R., "facesse parte dei terreni identificati in citazione, si dovrebbe concludere che tra il corpo dei terreni a settentrione e quelli di proprietà dell’attore sig. B., non vi è rapporto di confine, poichè a separarli si trova la Roggia Refredda".

Ne consegue che viola la L. n. 817 del 1971, art. 7 la sentenza impugnata che esclude la non confinanza dei fondi sulla base di un concetto di contiguità funzionale, attesa la ridotta dimensione del fossato che non impedirebbe la formazione e l’esercizio di un’unica impresa agricola.

Al contrario la corte di merito avrebbe potuto affermare che il predetto fossato con corso d’acqua non escludeva la "confinanza" tra i fondi, solo se avesse accertato che esso costituiva parte dei due fondi confinanti o di uno di essi, ma non se esso era pubblico oppure di proprietà altrui o in comune con altri, ivi compreso del soggetto proprietario del fondo Crocina, unico ad utilizzare l’acqua della roggia, secondo quanto afferma il resistente a pag. 15 del controricorso avverso il ricorso incidentale della s.p.a. Torno.

A tale accertamento provvederà il giudice del rinvio.

La prova dell’esistenza del requisito della contiguità, e quindi della non altruità della roggia, grava sul retraente.

10. I restanti motivi del ricorso principale restano assorbiti.

11.1.Con il primo motivo del ricorso incidentale la Torno s.p.a. in liquidazione lamenta la violazione della L. n. 817 del 1971, art. 7 e della L. n. 590 del 1965, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Assume la ricorrente che già nella comparsa di costituzione aveva eccepito che dal certificato di destinazione urbanistica emergeva che sulle part. 21 e 27 del fol. 20 doveva essere costruita una strada pubblica, già prevista dal P.R.G., adottato con delibera del Consiglio Comunale del Comune di Zibido San Giacomo del 12.7.2001, e quindi prima che l’attore esercitasse il riscatto; che a seguito dell’allargamento della domanda di riscatto da parte dell’attore anche alla particella 63 del fol. 20, venivano richiesti al c.t.u. chiarimenti anche in merito alla destinazione di detto mappale, ed egualmente risultava che esso era destinato in parte a nuova strada, in parte a fasce di rispetto della stessa e di rogge e fontanili ed in parte a destinazione agricola.

Secondo la ricorrente incidentale erroneamente la corte di merito aveva ritenuto esercitabile il riscatto anche in relazione alle suddette particelle, mentre, stante la destinazione non agricola delle stesse, ciò era illegittimo ed altrettanto erroneamente la corte aveva rigettato l’eccezione sul rilievo che la modifica al piano regolatore generale era intervenuta l’anno successivo alla compravendita oggetto di causa.

11.2. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente incidentale lamenta la violazione della L. n. 817 del 1971, art. 7 e L. n. 590 del 1965, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 nonchè il vizio motivazionale della sentenza, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Assume la ricorrente incidentale che, stante la destinazione non agricola delle particelle 21, 27 e 63 del fol. 20, e quindi la non esercibilità della prelazione in relazione ad esse, neppure poteva essere esercitato il riscatto rispetto agli altri terreni, che, per effetto dell’esclusione dei tre mappali predetti dalla prelazione, risultavano non più collegati con i terreni del B., come risultava dalla consulenza tecnica.

12.1. I due motivi vanno esaminati congiuntamente.

Essi sono fondati nei termini che seguono.

Il c.t.u. ha accertato che il territorio del Comune di Zibido San Giacomo soggiace ad un duplice livello di pianificazione territoriale, a causa della coesistenza di uno strumento di pianificazione urbanistica a scala comunale, il PRG, e di uno strumento di pianificazione ad ampia scala, il Piano Territoriale di Coordinamento; che alla data del 23.7.2001 (di approvazione da parte del Consiglio comunale della rettifica del PRG. L.R. n. 23 del 1997, ex art. 4) i mappali 21 27 e 63 erano in parte a destinazione agricola, mentre in parte erano destinati a nuova strada ed in parte costituivano aree di rispetto della strada, mentre la particella 63 era anche in parte destinata ad area di rispetto della roggia.

La corte di merito ha respinto l’eccezione di non riscattabilità delle tre suddette particelle sul rilievo che la variante del P.R.G. era successiva di un anno alla vendita.

Tale assunto non solo è errato in fatto (poichè la vendita è del 31 luglio 2000 e la variante è del 12.7.2001), ma è anche errato in diritto.

12.2. Osserva questa Corte che il requisito soggettivo della destinazione agricola deve sussistere anche al momento della proposizione della domanda di riscatto.

Pertanto non sussistono le condizioni per il riscatto agrario, (che, ai sensi della L. n. 590 del 1965, art. 8, devono essere presenti sia al momento in cui avrebbe potuto esercitarsi la prelazione sia a quello in cui viene proposta la domanda di riscatto) allorchè il fondo abbia destinazione diversa da quella agricola in virtù di uno strumento urbanistico pubblicato, anche se non approvato, al momento della domanda di riscatto (Cass. n. 43 74 del 25/03/2003; Cass. 9.11.2006, n. 23902).

12.3. Quindi nella fattispecie ciò che rileva è la destinazione agricola del terreno in questione anche alla data dell’esercizio del diritto di riscatto e, quindi, alla data del 23.7.2001. 12.4. La disposizione della L. n. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 – secondo cui il diritto di prelazione agraria non spetta all’affittuario, al mezzadro, al colono, al compartecipante, rispetto ai terreni che in base al piano regolatore, anche se non ancora approvato, siano destinati ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica – deve essere interpretata nel senso che sono esclusi dalla prelazione tutti i terreni la cui destinazione, seppure non edificatoria, sia comunque da considerare ad utilizzazione urbana in contrapposizione all’utilizzazione agricola( Cass. 31/03/2010, n. 7796; cass. n. 14307 del 2005). Ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione in materia agraria non è rilevante la contrapposizione tra "area edificabile" (per la quale non è ammesso tale diritto) e "area non edificabile" (con riguardo alla quale esso è viceversa consentito), bensì quella tra aree destinate ad usi "agricoli" e aree destinate, invece, ad "utilizzazione" diversa (ovvero "edilizia, industriale o turistica"), ancorchè non edificabili, purchè non coincidenti con lo sfruttamento agricolo dei medesimi (Cass. 06/03/2006, n. 4797).

12.5.Tale destinazione non agricola non necessariamente deve essere determinata da previsione di piano regolatore, sia pure in itinere, ma anche da altri strumenti di pianificazione urbanistica (Cass. 4797 del 2006; 8 giugno 1985, n. 3437). La giurisprudenza ha costantemente affermato che si deve avere riguardo ad ogni strumento di pianificazione che presenti attitudine a disciplinare l’uso del territorio da parte dei privati, prevedendone una destinazione diversa da quella agricola (in questo senso, Sez. Un. 29 maggio 1990 n. 4994).

Il riferimento al fatto che la destinazione diversa da quella agricola esclude la prelazione anche se il piano non sia stato ancora approvato non sta a significare che la norma contempli solo strumenti il cui procedimento di formazione preveda l’approvazione da parte di un ente diverso dal comune.

Il senso è che delle prescrizioni relative alle destinazioni d’uso si deve tener conto anche se il procedimento di formazione del piano non sia terminato.

Si intende che quelle prescrizioni debbano esserci ed avere una efficacia, anche se non definitiva, e questo richiede che risultino da un atto del procedimento di deliberazione del piano, dotato di rilevanza esterna.

Funzione della norma sulla prelazione è infatti quella di assicurare la costituzione, continuità od ampliamento di aziende agricole in proprietà di coltivatori diretti e dunque la prelazione è negata, quando già nel momento in cui i fondi sono trasferiti è attuale la previsione che essi possano avere uno sfruttamento non agricolo.

Ne consegue che correttamente va esclusa la natura agricola del terreno allorchè nello strumento urbanistico è prevista la sua destinazione a strada o a zona di rispetto della strada (cass. 28.10.2004, n. 20909; Cass. 1 luglio 1994, n. 6273).

12.6. Il problema che si pone è quello relativo all’esercizio del diritto di prelazione, e quindi di riscatto, nell’ipotesi in cui, come nella fattispecie, solo parte del terreno contraddistinto da un mappale è destinata a strada pubblica e zona di rispetto, mentre altra parte ha destinazione agricola.

Ritiene questa Corte che in tale ipotesi deve escludersi infatti quanto incidentalmente affermato in qualche rara pronunzia di questa Corte, come ad esempio, in Cass. 6 agosto 2002 n. 11757, secondo cui ove la prelazione sia esercitata su un fondo solo parzialmente agricolo è inevitabile ritenere che il meccanismo della prelazione si estenda con le sue regole, oneri e preclusioni, anche alla porzione compresa in zona destinata a usi edilizi, specialmente quando sia per valore che per superficie la zona agricola sia prevalente sull’altra.

Una tale lettura del testo positivo è inaccettabile perchè, introducendo una nozione di "prevalenza" della zona agricola rispetto all’altra che tale non è, nozione totalmente assente nel testo di legge viene a interpretare questo – in spregio della regola fondamentale posta dall’art. 12 preleggi – in termini opposti rispetto a quello che è "il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse".

Se, infatti, "la prelazione non è consentita…quando i terreni in base a piani regolatori…siano destinati ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica", e cioè, come sopra precisato ad utilizzazione non agricola, ciò non può che significare – senza possibilità di alcun arbitrario "distinguo", privo di qualsiasi giustificazione razionale – che il coltivatore non può pretendere mai e in nessuna ipotesi di acquistare, a preferenza di altri anche le porzioni del fondo non destinate a utilizzazione agricola.

12.7. Ciò comporta che nella fattispecie il riscatto può essere esercitato dal coltivatore diretto confinante, quanto ai terreni contraddistinti dai mappali n. 21-27 e 63 del fol. 20, solo in relazione alle parti che hanno destinazione agricola e non in relazione alle parti destinate a strada pubblica e zona di rispetto della strada stessa.

12.8. Diverso è il problema se il proprietario alienante che subisce la prelazione o il riscatto solo in relazione a tali zone agricole, possa richiedere che essa venga esercitata anche in relazione alle altre zone, ove le stesse costituiscano un relitto inutilizzabile.

Sembrerebbe dover propendere per la soluzione positiva, applicando analogicamente principi dell’ablazione coattiva del diritto di proprietà. In questo caso infatti non si avrebbe un’applicazione del principio della prevalenza, poichè non è alla prevalenza che occorre far riferimento ma all’inutilizzabilità del relitto e, quindi, al danno che subirebbe il soggetto alienante, per il solo fatto dell’esercizio della prelazione o riscatto (mentre la costituzionalità dell’istituto è stata ritenuta sulla base del principio che per l’alienante proprietario dell’immobile è irrilevante se l’acquisto sia fatto dal titolare del diritto di prelazione o dal terzo).

13. Ne consegue che la sentenza impugnata, che ha ammesso (peraltro sull’errato rilievo del passaggio dell’anno tra modifica del P.R.G. e la compravendita) il riscatto anche in relazione al terreno individuato dai mappali 21-27 e 63 del fol. 20, in tutta la loro consistenza e non solo relativamente a quella parte che non era interessata dalla strada pubblica e dalla zona di rispetto e che conservava la destinazione agricola, è errata.

14.1. Sennonchè, una volta ritenuto che va escluso il requisito oggettivo della destinazione agricola del fondo (e quindi la sua riscattabilità) solo per le parti dei detti tre mappali destinate a strada o zona di rispetto, per le restanti parti di detti tre mappali nonchè per tutti i terreni individuati con altri mappali ma egualmente oggetto della domanda di riscatto, va esaminato il problema della contiguità con il fondo del retraente, all’esito dell’esclusione dal retratto delle zone non agricole. In altri termini il requisito della contiguità materiale tra i fondi, ai fini del requisito oggettivo del terreno prelazionato da parte di proprietario coltivatore diretto di fondo confinante (di cui alla L. n. 817 del 1971, art. 7), poichè ha come finalità 1’accorpamento aziendale, comporta che sia esaminato non in relazione al fondo originariamente posto in vendita, ma in relazione al fondo che può essere oggetto di prelazione. Da ciò consegue che se parte di quel fondo, per la mancanza di destinazione agricola, non può essere prelazionato, la contiguità va esaminata solo tra la restante parte del fondo che ha le caratteristiche oggettive per la prelazione (in tesi la natura agricola) ed il fondo del proprietario confinante, che esercita la prelazione.

14.2.In altri termini ed a contrariis, la parte di fondo non a destinazione agricola non solo non è prelazionabile, ma può anche svolgere nel caso concreto idonea funzione di diaframma tra il fondo del confinante e quella residua parte, a destinazione agricola, del fondo posto in vendita, con la conseguenza che è idonea nel caso concreto ad escludere il requisito oggettivo della contiguità tra di essi e a rendere non prelazionabile, per tale ragione, anche la restante parte del terreno, che avrebbe sì il requisito della natura agricola, ma non quello della "confinanza materiale", con conseguente inidoneità all’accorpamento aziendale.

14.3. E’ la questione sollevata dalla ricorrente incidentale con il terzo motivo di ricorso, sia pure nella maggiore portata relativa alla preteso ostacolo alla riscattabilità del restante terreno costituito dagli interi mappali n. 21-27 e 63 del fol. 20, pretesamente non riscattabili nella loro interezza per mancanza di destinazione agricola.

Tale censura non può essere accolta in tutta la sua estensione con riferimento agli interi tre mappali, ma, una volta ritenuto che solo le zone di terreno dei tre mappali destinate dallo strumento urbanistico a strada ed zone di rispetto non sono riscattabili, è con riferimento all’ostacolo costituito da tali zone che va esaminato in concreto se permane la contiguità tra il fondo del retraente e quella parte del fondo oggetto del riscatto, che conserva la destinazione agricola.

Il giudice di appello avrebbe dovuto esaminare se, esclusa la zona di terreno nella sola parte destinato dal P.R.G. a strada e zona di rispetto, rimaneva tra il residuo terreno posto in vendita e quello dell’attore appellante un punto di confine, idoneo a far ritenere la sussistenza della contiguità tra i fondi, quale ulteriore requisito oggettivo ai fini dell’esercizio del diritto di riscatto.

14.4. A tal fine va specificato che, proprio perchè la ratio della norma è solo accorpamento aziendale, essa è soddisfatta anche se la contiguità non interessa l’intero lato di confine ma solo una parte, sia pure ridotta, di esso, in modo che si possa transitare da una parte all’altra della nuova azienda agricola. Non è invece sufficiente a determinare la contiguità la sola presenza di un punto ideale di confine (Cass. n. 1106/2006) come nell’ipotesi in cui la linea di confine sia costituita solamente dal millesimale punto di contatto fra due fondi a forma rettangolare, e quindi, concretamente inesistente.

15. L’accoglimento del primo, terzo e quinto motivo del ricorso incidentale comporta l’assorbimento dei restanti motivi.

16. In definitiva vanno accolti i motivi primo, secondo, terzo, quarto e quinto del ricorso principale e primo, terzo e quinto del ricorso incidentale. Vanno dichiarati assorbiti i restanti motivi di entrambi i ricorsi. Va cassata l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e va rinviata la causa, anche per le spese di questo giudizio, alla stessa sezione della Corte di appello di Milano,in diversa composizione, che si uniformerà ai principi di diritto suddetti.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Accoglie i motivi primo,secondo, terzo, quarto e quinto del ricorso principale e primo, terzo e quinto del ricorso incidentale. Dichiara assorbiti i restanti motivi di entrambi i ricorsi. Cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio, alla stessa sezione della Corte di appello di Milano,in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2012

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