Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-03-2012, n. 4446 Difformità e vizi dell’opera

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 13.1.03 la società "Il Bagaglio s.a.s di Giannini V. & C." citò al giudizio del Tribunale di Trieste la società "Corte Nuova s.r.l.",cui aveva con contratto del 12.6.02 appaltato lavori di tinteggiatura e pavimentazione di un negozio sito in quella città, e lamentando la tardiva e cattiva esecuzione delle opere,che erano state consegnate il 12.9.02, anzichè nel previsto termine del 24.8.02 di cui era stato necessario il rifacimento,chiese la condanna dell’appaltatrice al risarcimento dei danni subiti, anche inconseguenza della sospensione della propria attività, previa declaratoria di non debenza di alcun compenso alla medesima.

Costituitasi la convenuta, contestò la domanda e chiese, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice al pagamento delle proprie spettanze, in misura di Euro 37.986,46, oltre interessi.

Espletate prove testimoniali e consulenza tecnica di ufficio, l’adito tribunale, dopo aver ingiunto con ordinanza ex art. c.p.c. del 17.6.03 il pagamento della somma di Euro 18.025,77 all’attrice con sentenza n. 753/2007 ne respinse la domanda ritenendo la non gravità dei vizi afferenti l’opera e condannandola, in parziale accoglimento della riconvenzionale, all’ulteriore pagamento di Euro 7952,52, oltre agli interessi ed al rimborso della metà delle spese del giudizio, per il resto compensate.

All’esito dell’appello della società attrice, resistito dall’appellata, la Corte di Trieste con sentenza del 19/26.2.10, in parziale accoglimento del gravame ed in riforma della decisione impugnata, per il resto confermata, ridusse la somma dovuta dalla società committente all’appaltatrice ad Euro 6.122,45, oltre ad I.V.A ed interessi decorrenti dal 26.11.02, con conseguente ordine di restituzione di quanto in eccedenza percepito in virtù dei provvedimenti di primo grado, e condannò la seconda al pagamento della metà delle spese del doppio grado di giudizio, compensandole per il resto.

Premesso che la tutela di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c. integra, senza escluderla, quella derivante dagli ordinari principi generali in materia d’inadempimento delle obbligazioni, osservava la corte giuliana che nel caso di specie il committente, a fronte delle imperfezioni afferenti l’opera, che erano risultate accertate dalla consulenza tecnica e dovevano, per l’insuperata presunzione di cui all’art. 1218 c.c., ritenersi imputabili all’appaltatrice, ben avrebbe potuto, nei limiti delle stesse, secondo il principio di buona fede, opporre alla richiesta di pagamento l’eccezione di cui all’art. 1460 c.c. L’incidenza di tali imperfezioni, che dalla consulenza tecnica era risultata dell’importo di complessivi Euro 19.878,84, secondo le corrispondenti voci dell’elenco prezzi, comportava la conseguente ulteriore decurtazione del corrispettivo determinato dal primo giudice (senza che potesse in proposito censurarsi la già operata riduzione di ufficio ex art. 1668 c.c., in difetto di apposita doglianza), da ridursi dunque alla differenza sopra indicata, con conseguente obbligo di restituzione della percepita eccedenza.

Quanto alla domanda di risarcimento dei danni, per mancato introito della somma di Euro 13.000,00, che secondo l’appellante sarebbe stato presumibile sulla base dei libri contabili o comunque in re ipsa, in relazione alla subita sospensione dell’attività commerciale per almeno una settimana, la corte ne confermava il rigetto, ritenendo che, essendo stata provata la pattuizione e l’esecuzione di nuovi lavori, in aggiunta a quelli originariamente convenuti e non essendo possibile determinare il presumibile tempo necessario per il relativo compimento, il termine convenzionale originario sarebbe stato superato dai nuovi accordi e, conseguentemente, soltanto le parti, o in mancanza il giudice ex art. 1183 c.c., comma 1, avrebbero potuto stabilirne uno nuovo.

Avverso tale sentenza la società Corte Nuova ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi di censura. Ha resistito la società Il Bagaglio con controricorso, contenente ricorso incidentale.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso principale si deduce vizio di ultrapetizione, censurando le argomentazioni, in narrativa riferite, sulla base delle quali i giudici di appello hanno ritenuto che la committente avesse proposto, pertanto accogliendo l’eccezione generale di inadempimento.

Si sostiene, in particolare, che la convenuta non avrebbe mai eccepito la mancata realizzazione dei lavori e l’omessa riconsegna dei locali, limitandosi invece a sostenere sic et simpliciter che le opere sarebbero state "inaccettabili"; tanto non avrebbe integrato l’eccezione di cui all’art. 1460 c.c., ma al più giustificare, come ritenuto dal primo giudice, un’azione ex art. 1668 c.c., comma 1, per la riduzione del compenso o per l’eliminazione dei vizi, nella specie limitati, come accertato dal c.t.u., a qualche imperfezione di carattere estetico, che non avrebbe comunque giustificato la pretesa di non pagare alcun corrispettivo.

Il motivo è infondato, al la luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’eccezione d’ inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. non richiede,per la sua rilevabilità, l’espresso richiamo a tale articolo o l’impiego di formule sacramentali, ben potendo la relativa proposizione essere ravvisata (in base al principio iura novit curia attribuente al giudice la qualificazione delle domande ed eccezioni proposte dalla parti) dal giudice di merito sulla base del complesso delle difese svolte dalla parte interessata, volte a contrastare in tutto o in parte le pretese di adempimento del contratto di cui sia portatrice la controparte (v. in particolare Cass. nn. 20870/09, 11728/02, 10764/99), con accertamento che ove adeguatamente motivato è incensurabile in sede di legittimità. Nè tale eccezione può ritenersi incompatibile con la normativa speciale in materia di vizi e difformità dell’opera, in tema di appalto, essendo stato anche chiarito come le disposizioni di cui agli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c. integrino, senza escluderne l’applicazione, i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni, con la conseguenza che, nel caso in cui l’opera sia stata realizzata in violazione delle prescrizioni pattuite o delle regole tecniche, il committente cui sia richiesto il pagamento, al fine di paralizzare la pretesa avversaria, può opporre le difformità e i vizi dell’opera, in virtù del principio inadimplenti non est adimplendum, come richiamato dall’art. 1167 c.c., u.c., secondo periodo anche quando non abbia proposto in via riconvenzionale la domanda di garanzia o la stessa sia prescritta (v.

Cass. n. 9333/04).

Tale opponibilità a fortiori è stata correttamente desunta, nel caso di specie, dalla circostanza che la committente avesse, addirittura in via principale, allo scopo di prevenire l’avversa pretesa di pagamento del corrispettivo da parte dell’appaltatrice (domanda quest’ultima poi puntualmente formulata in via riconvenzionale), chiesto l’accertamento della non debenza del corrispettivo, per non aver accettato l’opera consegnatale, sia per i difetti che la inficiavano, sia per la tardività della relativa esecuzione.

Insussistente è pertanto il denunciato vizio di ultrapetizione, nel caso di specie in cui, avendo ritenuto che l’opera fosse affetta da una serie di vizi denunciati dalla committente, il giudice ha ritenuto giustificato nei corrispondenti limiti il rifiuto di pagamento da tale parte opposto alla relativa pretesa dell’appaltatrice.

Con il secondo motivo viene dedotta "errata applicazione dell’art. 1375 c.c. in relazione agli artt. 1665, 1667 e 1668 c.c.", perchè la corte di merito avrebbe omesso di considerare come, nell’ambito di un contratto a prestazioni corrispettive, il rifiuto di adempimento da parte della committente, a fronte della lieve entità dei vizi, fosse contrario al principio di buona fede richiamato dall’art. 1460 c.c., comma 2, tanto più in considerazione del fatto che la medesima aveva ricevuto l’opera ed utilizzato la stessa per lo svolgimento della propria attività. Il motivo va disatteso, perchè si risolve nella palese formulazione di censure in fatto, basate sulla sottovalutazione dei non pochi vizi, della cui sussistenza la corte territoriale ha dato atto sulla base di incensurabile accertamento fondato sulle risultanze della consulenza tecnica, e peraltro deducente circostanze di fatto non provatele pacifiche (l’assunta utilizzazione dell’opera a seguito della consegnarne tuttavia la parte attrice ha espressamente negato,al riguardo avanzando la pretesa risarcitoria connessa alla sospensione dell’attività commerciale). La notevole e preponderante incidenza dei rilevati vizi nel contesto complessivo del rapporto, pur tenendo conto (per quanto di seguito andrà a precisarsi esaminando il terzo motivo) della non correttezza del procedimento seguito dal giudice ai fini della determinazione del residuo compenso dovuto, comporta comunque la non riconducibilità della fattispecie a quei casi nei quali la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto contraria al principio di buona fede l’eccezione ex art. 1460 c.c., casi limitati alle sole ipotesi in cui le inadempienze addebitabili alla controparte siano di obiettiva scarsa importanza, tali da comportare la palese sproporzione, nel contesto complessivo del rapporto sinallagmatico, del rifiuto di adempimento.

Con il terzo motivo si censura, per omessa e insufficiente motivazione, la quantificazione delle somme dovute alla deducente e la relativa complessiva riduzione,avendo il giudice di appello detratto dall’elenco dei prezzi esposto dal c.t.u. le intere voci corrispondenti alle opere affette da vizi o difformità e non le sole spese occorrenti per le relative eliminazioni.

Il motivo è fondato.

Ai sensi dell’art. 1668 c.c. il committente, salvo il caso (che nella specie non è stato ravvisato) in cui le difformità o i vizi siano tali da rendere l’opera del tutto inadatta alla sua destinazione, può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore, oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell’appaltatore.

Nella fattispecie, in cui non vi era stata domanda di esecuzione in forma specifica dell’esatta prestazione, l’addebito all’appaltatore non avrebbe comportato la totale eliminazione delle voci di compenso corrispondenti a quelle opere affette da vizi o difformità, il che sarebbe stato possibile soltanto nel caso (nella specie non specificato) di totale inservibilità e correlative necessità di rifacimento ex novo, ma soltanto la detrazione dei rispettivi importi di spesa occorrenti per eliminare le difformità e i vizi alle stesse afferenti.

Il ricorso principale va pertanto accolto limitatamente a tale motivo, ai fini della nuova determinazione del corrispettivo dovuto all’appaltatrice per le opere effettivamente eseguite, detraendo dallo stesso l’importo delle spese occorrenti al fine di eliminare i vizi e le difformità riscontrate dal c.t.u., o per il relativo rifacimento, nelle parti eventualmente risultate inservibili.

Con il ricorso incidentale si censura per violazione dell’art. 1184 in rel. agli artt. 1659, 1183, 1218, 1219, 1223 c.c., il mancato risarcimento del danno, conseguente al ritardo nell’adempimento dell’obbligazione di esecuzione e consegna dell’opera da parte dell’appaltatrice, osservando che l’esecuzione di ulteriori lavori rispetto all’originaria previsione non avrebbe comportato, in assenza di accordo al riguardo la pattuizione di un nuovo termine, nè implicato la rinunzia a quello originariamente pattuito, ma al più comportato eventuale giustificato motivo della relativa inosservanza.

Il motivo è fondato nei sensi di seguito precisati e va accolto per quanto di ragione. La corte territoriale ha ritenuto, con accertamento di fatto plausibile e logico, che la previsione di nuovi lavori, in aggiunta a quello originariamente previsti, avesse comportato una sostanziale novazione oggettiva del contratto, nell’ambito della quale la pattuizione del termine di consegna, ormai incompatibile con il tempo di esecuzione originariamente previsto, dovesse ritenersi implicitamente superata.

In tale contesto, in mancanza di una previsione convenzionale al riguardo e non essendo, d’altra parte, la prestazione per le modalità della relativa esecuzione, esigibile immediatamente, sarebbe stato compito del giudice, a fronte dell’insorto contrasto tra le parti, individuare anche in assenza di un preventivo formale interpello ex art. 1183 c.c., un termine ragionevole entro il quale l’opera, tenuto conto della sua natura e dell’interesse delle parti, avrebbe dovuto essere completata e consegnata (v. tra le altre Cass. Nn. 15759/09, 19414/10).

A tale compito il primo giudice non si era sottratto, demandando al c.t.u., tra, l’altro, anche la determinazione di un congruo termine, naturalmente ulteriore rispetto a quello originariamente fissato dai contraenti, richiesto per l’esecuzione delle opere, tenuto conto di quelle aggiuntive.

La corte di merito, invece, pur avendo richiamato la suddetta norma civilistica, non ha ritenuto di doverne confermare la concreta applicabilità alla fattispecie, perchè non vi sarebbe stata una formale istanza delle parti al giudice, senza tener conto che una richiesta in tal senso dovesse ritenersi implicita, nel contesto ed in funzione della domanda risarcitoria per ritardato adempimento e dell’eccezione, con la quale si era opposto l’avvenuto superamento, nell’ambito della nuova pattuizione, del precedente termine convenzionale, non essendo comunque configurabile un differimento sine die dell’esecuzione del contratto.

La sentenza impugnata va conclusivamente cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio ad altra sezione della corte di provenienza cui si demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, accoglie terzo motivo di tale ricorso, nonchè, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste.

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