Cass. civ. Sez. III, Sent., 05-04-2012, n. 5539 Procedimento esecutivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1.- Con ricorso del 7 febbraio 2007 la Olivieri Investments s.r.l., terzo acquirente di beni pignorati, chiese al giudice dell’esecuzione che fosse dichiarata l’estinzione della procedura esecutiva n. 96754/97, intrapresa dall’ISVEIMER nei confronti della Cofip Compagnia Finanziaria di Partecipazione s.r.l. e nella quale era subentrato il curatore del Fallimento di quest’ultima, ai sensi della L. Fall., art. 107 (nel testo, applicabile ratione temporis, di cui al R.D. n. 267 del 1942, vigente prima della sostituzione operata dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 94).

Dedusse la ricorrente che il creditore procedente non aveva depositato la documentazione ipocatastale ovvero il certificato notarile sostitutivo nel termine del 30 giugno 2001, fissato dalla L. n. 302 del 1998, art. 13 bis, e pertanto il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione della procedura esecutiva ai sensi dell’art. 567 cod. proc. civ., comma 4, (nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 302 del 1998, applicabile ratione temporis).

Con ordinanza resa all’udienza del 5 giugno 2007 il giudice dell’esecuzione rigettò l’istanza.

2.- Avverso quest’ultima ordinanza proposero reclamo al Collegio, ai sensi dell’art. 630 cod. proc. civ., sia la Olivieri Investments s.r.l. che la Cofip s.r.l., ribadendo che il processo avrebbe dovuto essere dichiarato estinto per omesso deposito della documentazione ex art. 567 cod. proc. civ., con riferimento a quattro dei ventinove immobili oggetto del pignoramento.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 708/08, rigettò il reclamo, compensando le spese di lite.

3.- Avverso la sentenza proposero appello entrambe le società già reclamanti; si costituirono in appello sia il Fallimento Cofip s.r.l. che la Società per la Gestione di Attività – S.G.A., chiedendo il rigetto del gravame.

La Corte d’Appello, con sentenza del 17 febbraio 2011, ha rigettato l’appello ed ha condannato in solido le appellanti al pagamento delle spese del grado.

4.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello propongono separati ricorsi per cassazione Olivieri Investments s.r.l. e Cofip s.r.l.

Resistono con separati controricorsi la S.G.A. S.p.a. ed il Fallimento Cofip s.r.l.. Tutte le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

Preliminarmente i ricorsi, proposti avverso la stessa sentenza, vanno riuniti.

Il ricorso proposto da Olivieri Investments s.r.l. è articolato in sette motivi, dei quali i primi quattro relativi alla posizione della società ricorrente, gli altri tre comuni a Cofip s.r.l.; il ricorso proposto da quest’ultima, a sua volta, è articolato in nove motivi, dei quali i primi sei relativi alla posizione della società ricorrente, gli altri comuni alla Olivieri Investments s.r.l..

Si tratteranno pertanto separatamente i motivi relativi alle posizioni processuali di ciascuna delle due ricorrenti ed unitariamente gli altri.

RICORSO OLIVIERI INVESTMENTS S.R.L..

1.- Col primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 602 cod. proc. civ., e segg., nonchè artt. 2913 e 2914 cod. civ. e, in genere, normativa che disciplina la legittimazione a proporre opposizione ex artt. 615, 617 e 619 cod. proc. civ.), in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4.

Deduce la ricorrente che ha errato la Corte d’Appello nel negare la legittimazione ad agire della Olivieri Investments s.r.l., perchè, nel caso di specie, non si tratterebbe dell’impugnazione di un (inesistente) atto esecutivo, ma si tratterebbe di una semplice istanza del terzo acquirente volta a far dichiarare l’estinzione del processo esecutivo ex art. 567 cod. proc. civ., comma 4 (nel testo introdotto con la L. n. 302 del 1998), ossia a sollecitare l’adozione di un provvedimento che il giudice dell’esecuzione avrebbe già dovuto adottare d’ufficio alla scadenza del termine previsto da quella norma. A sostegno del proprio assunto la ricorrente ha riportato un passo della motivazione di Cass. n. 12762/00, al fine di concludere che il giudice del merito, discostandosi dai principi di diritto ivi espressi, sarebbe incorso nei vizi denunciati.

1.1.- Il motivo è fondato, per le ragioni e con le precisazioni di cui appresso.

Va in primo luogo sgomberato il campo dal riferimento fatto dalla ricorrente alle norme dell’art. 602 cod. proc. civ., e segg., che disciplinano l’espropriazione legittimamente iniziata e condotta nei confronti di un terzo diverso dal debitore originario, ma espropriato in quanto responsabile per il debito di quest’ultimo; nel caso di specie, il terzo, vale a dire la società ricorrente Olivieri Investments s.r.l., non è il soggetto esecutato, nè è parte originaria del processo esecutivo; si tratta di acquirente dei beni pignorati dopo la trascrizione del pignoramento, nei cui riguardi operano gli effetti sostanziali dell’art. 2913 cod. civ., pure richiamato in ricorso.

Se la norma codicistica non lascia dubbi sull’inopponibilità dell’atto di trasferimento del diritto nei confronti dei creditori presenti nel processo esecutivo, dibattute sono invece le conseguenze che il trasferimento del bene pignorato produce con riguardo a tale processo, specificamente con riguardo alla posizione processuale dell’acquirente, avente causa dal debitore esecutato.

Questa Corte si è occupata ripetutamente di tale questione, con riferimento alla legittimazione di questi a proporre le opposizioni esecutive, ma anche a proporre l’eccezione di estinzione del processo esecutivo (riservata all’iniziativa della "parte interessata" dal testo originario dell’art. 630 cod. proc. civ., sostituita con il rilievo officioso soltanto a far data dal 4 luglio 2009, in ragione della modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009 art. 49, comma 4) ed a proporre il reclamo ex art. 630 cod. proc. civ..

Ribadito l’orientamento espresso riguardo al difetto di legittimazione del terzo acquirente di bene pignorato a proporre l’opposizione agli atti esecutivi, riservata al debitore in quanto unico soggetto cui va riconosciuta la qualità di soggetto passivo dell’espropriazione, quindi di parte del processo esecutivo (orientamento che, in contrapposizione a quello espresso da Cass. n. 4612/85, si è venuto affermando già con Cass. n. 4409/93, quindi confermato da Cass. n. 14003/04 e recentemente ribadito da Cass. n. 1703/09, per la quale "il terzo che, in pendenza dell’esecuzione forzata e dopo la trascrizione del pignoramento di immobile, abbia acquistato a titolo particolare il bene pignorato, soggiace alla disposizione di cui all’art. 2913 cod. civ., la quale – sancendo l’inefficacia verso il creditore procedente ed i creditori intervenuti delle alienazioni del bene pignorato successive al pignoramento – nega a tale terzo la possibilità di svolgere le attività processuali inerenti ad un suo subingresso nella qualità di soggetto passivo dell’esecuzione; lo stesso non è legittimato nemmeno a proporre opposizione agli atti esecutivi"), giova altresì richiamare il corollario che se ne trae in punto di ammissibilità dell’opposizione ex art. 619 cod. proc. civ., "al fine di far valere l’originaria inesistenza o la nullità assoluta del vincolo originale, e quindi di sottrarre il bene all’espropriazione" (così Cass. n. 14003/04 cit., nonchè Cass. n. 1703/09 cit. ed, ancora, Cass. n. 16440/06 e, da ultimo, Cass. n. 15400/10).

Coerente con detta ricostruzione, che riconosce al terzo acquirente di bene pignorato la possibilità di tutelare nel processo esecutivo un interesse proprio, nei limiti in cui questo è perseguibile dal terzo opponente ex art. 619 cod. proc. civ., è il riconoscimento in capo allo stesso soggetto della legittimazione a proporre l’eccezione di estinzione del processo.

In proposito il Collegio ritiene che debba essere data continuità alle affermazioni contenute nel precedente, indicato in ricorso, costituito da Cass. n. 12762/2000: il terzo sub-acquirente del bene pignorato ha interesse all’estinzione del processo esecutivo, poichè a questa consegue che il bene pignorato sia definitivamente sottratto all’esecuzione. D’altronde, come rilevato dal citato precedente, il rimedio è previsto in termini tali da non poter essere assimilato ai meccanismi propri dei rimedi oppositivi: questa considerazione è riferita al sistema originario del codice di rito; tuttavia non perde di validità dopo le modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009.

L’art. 630 cod. proc. civ., nel testo originario, prevedeva infatti che la legittimazione all’eccezione spettasse alla "parte interessata": nelle occasioni in cui la giurisprudenza di legittimità si è occupata di siffatta legittimazione ha avuto modo di precisare che il concetto di "parte" non dovesse essere inteso in senso proprio, coincidente quindi con i soggetti legittimati attivamente all’azione esecutiva (od all’intervento in sede esecutiva) oppure assoggettati all’espropriazione, bensì – intendendosi prevalente il riferimento normativo all’interesse – come "soggetto interessato", identificabile quindi con qualunque soggetto che avrebbe potuto conseguire un vantaggio, giuridicamente rilevante, dalla chiusura del processo esecutivo (cfr. Cass. n. 1826/93, n. 18536/07, oltre che la già citata Cass. n. 12762/00).

Peraltro, nemmeno si può porre la questione dell’individuazione di un soggetto legittimato a proporre l’eccezione, quando l’estinzione è rilevabile d’ufficio dal giudice, operando in tal caso la relativa istanza come una mera sollecitazione all’esercizio del potere officioso:

questa situazione processuale era eccezionalmente prevista dall’art. 567 cod. proc. civ., comma 4, come modificato dalla L. n. 302 del 1998 (applicabile al caso di specie ratione temporis), che consentiva la pronuncia dell’ordinanza di estinzione "ad istanza del debitore o di ogni altra parte interessata o anche d’ufficio"; è tuttora prevista dal citato art. 567 cod. proc. civ., comma 3, come sostituito dal del D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 3, lett. e), n. 25, convertito nella L. n. 80 del 2005, e succ. mod. (che, peraltro, più coerentemente non contiene alcun riferimento all’"istanza" del debitore o di altro interessato, limitandosi a prevedere la dichiarazione "d’ufficio"). La situazione in parola è, inoltre, divenuta la regola nell’ipotesi tipica di estinzione per inattività delle parti dall’attuale testo dell’art. 630 cod. proc. civ., comma 2, che, come modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 49, comma 4, sancisce che "l’estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d’ufficio con ordinanza del giudice dell’esecuzione, non oltre la prima udienza successiva al verificarsi della stessa"; pertanto, non è dato più discorrere di "eccezione" di estinzione sottratta al rilievo officioso del giudice dell’esecuzione, essendo potere-dovere del giudicante di addivenire, in coerenza con la previsione che "l’estinzione opera di diritto", alla verifica d’ufficio dell’inattività delle parti e delle sue conseguenze.

In tutte dette ipotesi di rilievo officioso (compresa quella oggetto del presente ricorso) le conseguenze dell’inerzia o dell’inattività delle parti restano sottratte alla disponibilità di queste ultime e ciò consente di portare ad ulteriori conseguenze l’interpretazione di cui sopra, che già riconosceva la "legittimazione" a proporre l’eccezione di estinzione ad ogni soggetto cui questa avrebbe recato un vantaggio giuridicamente rilevante.

In accoglimento del primo motivo di ricorso, va quindi affermato che il terzo acquirente di bene pignorato è legittimato a sollecitare il giudice dell’esecuzione alla declaratoria di estinzione del processo esecutivo, ai sensi dell’art. 567 cod. proc. civ., comma 4, come modificato dalla L. n. 302 del 1998, per omesso deposito della documentazione di cui al secondo comma della stessa norma ovvero del certificato notarile sostitutivo.

1.2.- Quanto al rilievo svolto dal Fallimento controricorrente, secondo cui l’istanza in parola non avrebbe potuto essere presa in considerazione dal giudice perchè non articolata "nella prima difesa successiva al verificarsi del fatto estintivo", essa, così come proposta, non appare pertinente, perchè il richiamo all’art. 630, comma 2, ad opera dell’art. 567 cod. proc. civ., u.c., è da intendersi come riferito alla forma ed ai presupposti del provvedimento di estinzione, ivi disciplinati; a sua volta, l’art. 630, comma 2, si pone come regola generale di tutte le ipotesi di estinzione previste dal comma 1, tra le quali va annoverata, perchè "espressamente prevista dalla legge", anche quella in esame: la regola generale però è applicabile nei limiti in cui la disposizione che prevede il caso speciale di estinzione non disponga diversamente (cfr. Cass. n. 5789/05); la rilevabilità d’ufficio dell’estinzione in parola, sancita appunto dall’art. 567 cod. proc. civ., u.c. (nel testo applicabile al caso di specie) fa sì che ad essa non possano applicarsi le preclusioni relative all’eccezione di estinzione riservata alla parte (prima della modifica apportata all’art. 630 dal già citata L. n. 69 del 2009, art. 49). Diversa, e pur controversa, questione è quella relativa all’individuazione di un termine ultimo per rilevare d’ufficio l’estinzione della procedura esecutiva a seguito dell’omesso deposito della documentazione, ma essa è rimasta estranea al dibattito processuale.

Viceversa, proprio il richiamo che l’art. 567 fa all’art. 630, comma 2, fa sì che, in mancanza di apposita disciplina contenuta nella prima norma, avverso l’ordinanza di estinzione (o di rigetto dell’istanza di estinzione) pronunciata ai sensi dell’art. 567 cod. proc. civ., comma 4 (nel testo applicabile al caso di specie), il rimedio esperibile sia quello previsto, in generale, per i provvedimenti sull’estinzione dal richiamato art. 630, specificamente il rimedio del reclamo previsto dal terzo comma, a nulla rilevando che tale art. 630, u.c., non sia invece richiamato dall’art. 567 (cfr. Cass. n. 5789/05 cit.). Risulta così superato anche l’ulteriore rilievo del controricorrente Fallimento, secondo cui il rimedio del reclamo si sarebbe dovuto reputare inammissibile, dovendo invece essere proposta opposizione agli atti esecutivi.

2.- L’accoglimento del primo motivo del ricorso comporta l’assorbimento del secondo motivo (con cui è denunciata violazione dell’art. 111 cod. proc. civ., per il mancato riconoscimento in capo al terzo sub-acquirente della legittimazione a chiedere l’estinzione del processo esecutivo quale successore del debitore esecutato), nonchè del quarto motivo (con cui è denunciata violazione dell’art. 567 cod. proc. civ., comma 4, per il mancato riconoscimento in capo al terzo sub-acquirente della qualità di "parte interessata" a chiedere l’estinzione ai sensi di tale norma).

3.- Col terzo motivo di ricorso è dedotta violazione degli artt. 112 e 567 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4: sostiene la ricorrente che, anche a voler ritenere irrituale o addirittura giuridicamente inesistente l’istanza di estinzione proposta dalla Olivieri Investments s.r.l., i giudici del reclamo e dell’appello avrebbero dovuto ovviare all’"arbitraria inerzia" del giudice dell’esecuzione dichiarando ex officio l’estinzione con sentenza, mentre la Corte d’Appello si sarebbe sottratta a quest’obbligo incorrendo nella violazione di omessa pronuncia su un’eccezione rilevabile d’ufficio, oltre che nella violazione dell’art. 567 cod. proc. civ., comma 4. 3.1.- Il motivo è inammissibile per carenza di interesse, atteso che la Corte d’Appello, come si dirà trattando dei motivi comuni ai due ricorsi, ha comunque affrontato nel merito la questione dell’estinzione, ritenendo l’insussistenza dei relativi presupposti e confermando pertanto la statuizione del Tribunale di rigetto del reclamo avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione di rigetto dell’eccezione.

3.2.- Peraltro, così come proposto, il motivo non sarebbe comunque meritevole di accoglimento perchè prescinde dalla questione concernente la legittimazione a proporre reclamo ai sensi dell’art. 630 cod. proc. civ., comma 3, avverso il provvedimento di estinzione o di rigetto dell’istanza di estinzione del giudice dell’esecuzione.

Ed, invero, essendo il reclamo un rimedio impugnatorio, il Tribunale in tanto può decidere della questione che ne forma oggetto in quanto sia legittimamente investito del rimedio, così come, a sua volta, la Corte d’Appello in tanto può occuparsi dell’impugnazione in quanto proposta da soggetto legittimato: la ricorrente finisce per sovrapporre la rilevabilità d’ufficio dell’estinzione da parte del giudice dell’esecuzione alla pronuncia ex officio da parte del Tribunale (e della Corte d’Appello) cui spetta il controllo sui provvedimenti del primo; sarebbe come dire che il giudice dell’impugnazione potrebbe pronunciarsi d’ufficio (sia pure su una questione rilevabile d’ufficio) anche quando l’impugnazione sia stata proposta da soggetto non legittimato, e sia perciò inammissibile.

Nel caso di specie, la norma che viene in rilievo è il terzo comma dell’art. 630 cod. proc. civ., così come modificato dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 3, lett. e), n. 43, convertito nella L. n. 80 del 2005, applicabile al processo esecutivo de quo, perchè pendente alla data di entrata in vigore della nuova norma (ex art. 2, comma 3 sexies, del citato provvedimento, come sostituito dalla L. n. 263 del 2005, art. 1, comma 6, e succ. mod.). Questa norma limita il novero dei soggetti legittimati a proporre il reclamo al solo debitore ed ai creditori procedente o intervenuti, sicchè, mentre, come detto sopra, il rilievo officioso da parte del g.e. può essere sollecitato da qualunque interessato, non potrebbe riconoscersi la legittimazione al reclamo se non a coloro che risultano specificamente indicati dalla norma medesima; e ciò a differenza di quanto si è ritenuto nell’interpretare la norma previgente (che rinviava esclusivamente alle forme dell’art. 178 cod. proc. civ.), nel senso di riconoscere la legittimazione al reclamo a quegli stessi soggetti che, in quanto interessati, si reputavano legittimati all’eccezione di estinzione (cfr. Cass. n. 12762/00 cit., proprio con riferimento al terzo acquirente di bene pignorato).

La ritenuta inammissibilità del motivo -considerata unitamente a quanto si dirà a proposito della legittimazione a proporre reclamo da riconoscersi comunque al debitore esecutato fallito- rende superfluo un approfondimento in punto di conseguenze della rilevata incoerenza sistematica della previsione di recente introduzione.

RICORSO COFIP S.R.L..

4.- Vanno esaminati, in via preliminare, ed unitariamente, i motivi quarto e quinto del ricorso, poichè attinenti ai poteri da riconoscersi all’esecutato del quale, nel corso della procedura esecutiva, sia stato dichiarato il fallimento, qualora la stessa procedura sia proseguita con la presenza del curatore ai sensi della L. Fall., art. 107 (nel testo, applicabile ratione temporis, vigente prima della sostituzione operata con il D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 94).

Col quarto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione di norme di legge in relazione alla L. Fall., art. 107, per avere la Corte affermato che la sostituzione del curatore ai sensi di tale ultima norma priverebbe il soggetto fallito del potere di interloquire nel processo esecutivo, impedendogli di assumere iniziative processuali in contrasto con la posizione assunta dalla curatela fallimentare.

Deduce, al riguardo, la ricorrente che, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, la questione non sarebbe quella di stabilire quali siano gli effetti del fallimento sulla capacità di agire del fallito e quali i poteri della curatela nei processi in corso; nel caso di specie, infatti, la declaratoria di intervenuta estinzione ex art. 567 c.p.c. non è subordinata ad un’iniziativa di parte ed, operando di diritto, avrebbe dovuto essere rilevata d’ufficio dal giudice, a prescindere dalla capacità del debitore fallito e, quindi, dalla sua sollecitazione all’adozione del provvedimento.

4.1.- Col quinto motivo è dedotta violazione della citata L. Fall., art. 107, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4, sotto il diverso profilo che, anche a voler ritenere rilevante l’iniziativa del debitore fallito, non potrebbe ritenersi che questi abbia perduto, in ragione dell’intervento del curatore in sede fallimentare, la propria veste di debitore pignorato. Deduce la ricorrente che questa veste permarrebbe perchè il Fallimento è portatore di interessi pertinenti alla massa dei creditori, come tali confliggenti con quelli del debitore fallito, e pertanto non potrebbe "assorbire in sè la posizione del soggetto esecutato". 4.2.- I motivi vanno accolti, nei limiti ed in ragione di quanto appresso.

La questione posta col quinto motivo concerne la posizione che va riconosciuta al curatore che sia presente nella procedura esecutiva individuale iniziata nei confronti del fallito prima della dichiarazione di fallimento. Il testo della L. Fall., art. 107, applicabile al caso di specie, prevede che in tale ipotesi "il curatore sì sostituisce nella procedura al creditore istante" ed in giurisprudenza è stato inteso -pur non senza critiche da parte della dottrina- nel senso (recepito dall’attuale art. 107, comma 6 sostituito dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 94, a decorrere dal 16 luglio 2006) che in caso di procedure esecutive che proseguano in pendenza di fallimento, è data facoltà al curatore di avvalersi di esse (consentendo che l’attività liquidatoria si svolga per loro tramite e partecipando per conto della massa alla ripartizione del ricavato), oppure di procedere direttamente all’esecuzione concorsuale, trasferendo la vendita in sede fallimentare (cfr. Cass. n. 17334/02 ed altre, tra cui Cass. n. 4743/97, n. 1072/01, n. 5455/02); comunque, si è ritenuto che la sostituzione in sede di espropriazione individuale operi di diritto e comporti la sostituzione, appunto del curatore, al creditore istante (cfr., da ultimo, Cass. n. 15103/05 e n. 10599/09). Egli quindi si trova in posizione contrapposta a quella del debitore esecutato; quest’ultimo, pur essendo dichiarato fallito, continua ad essere parte del processo esecutivo, in quanto il curatore non si sostituisce a lui ma al creditore procedente (tanto è vero che quando per qualsiasi ragione venga meno il titolo che ha legittimato la sostituzione del curatore, i singoli creditori riprendono la legittimazione all’azione esecutiva individuale e se questa era stata proseguita dal curatore possono a loro volta proseguirla dal punto al quale era giunto il curatore:

cfr. Cass. n. 7661/99) ed il processo prosegue nei confronti della medesima parte già assoggettata all’espropriazione; questa, nell’esecuzione singolare, mantiene tale posizione pur dopo la dichiarazione di fallimento.

Se la posizione di soggetto passivo dell’esecuzione è stata già riconosciuta, in capo al debitore fallito, da questa Corte in ipotesi in cui la procedura esecutiva individuale sia stata avviata o proseguita contro il fallito dal creditore fondiario (cfr. Cass. n. 2532/87 e n. 5081/96), non vi sono ragioni per addivenire a diversa conclusione quando l’azione esecutiva venga proseguita dal curatore fallimentare, non ricorrendo l’eccezione di cui al primo inciso della L. Fall., art. 51. Il debitore continua ad essere assoggettato ad un’espropriazione che prosegue con le regole del processo esecutivo individuale (cfr. già Cass. n. 3177/85 e Cass. n. 13562/91), ma su impulso ed iniziativa del curatore.

Ne segue che, in quanto sostituitosi al creditore istante ed in quanto rappresentante, anche in sede esecutiva singolare, degli interessi della massa dei creditori, il curatore non assume in tale sede, nei riguardi del debitore fallito, una posizione analoga a quella che gli è riconosciuta dalla L. Fall., art. 43, nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento, nelle quali sta in giudizio in luogo del fallito.

Ulteriore corollario è che non possono essere estesi alla fattispecie disciplinata dalla L. Fall., art. 107, i princìpi che riguardano la diversa fattispecie dell’art. 43, ed in particolare quello, per il quale la legittimazione processuale di un soggetto dichiarato fallito, per i rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, può eccezionalmente riconoscersi soltanto nel caso di disinteresse o inerzia degli organi preposti al fallimento e non anche quando detti organi si siano concretamente attivati e abbiano ritenuto non conveniente intraprendere o proseguire la controversia (così, tra le altre, Cass. n. 9710/04, n. 15369/05, n. 8990/07, n. 11572/07, n. 16926/09, nonchè S.U. n. 27346/09, riferita alla liquidazione coatta amministrativa).

4.3.- Discussa è la natura della sostituzione sancita dalla L. Fall., art. 107, e dei relativi poteri del curatore; sebbene non siano mancate opinioni dottrinali nel senso di una vera e propria sostituzione processuale ed altre nel senso di un’attività surrogatoria dei creditori, questa Corte ha, per un verso, evidenziato la peculiarità del ruolo del curatore, quale soggetto investito di pubbliche funzioni (cfr. Cass. n. 4743/97), per altro verso, escluso che si tratti di sostituzione processuale ex art. 81 cod. proc. civ. (ma sarebbe tale da non consentirgli di sostituirsi nelle posizioni giuridiche processuali strettamente personali del creditore istante: cfr. Cass. n. 25963/09).

Ritiene il Collegio che, in effetti, il curatore, pur agendo anche in sede esecutiva individuale in forza del più generale potere di disposizione dei beni del fallito a lui spettante a seguito della dichiarazione di fallimento, nel processo esecutivo si sostituisca al creditore procedente, quindi gli succeda in tutte quelle posizioni processuali, delle quali il creditore non si può più avvalere per il divieto della L. Fall., art. 51.

Quanto appena detto consente di concludere nel senso che il curatore svolge nel processo esecutivo individuale lo stesso ruolo che gli è proprio nel processo fallimentare; nell’uno e nell’altro il debitore si trova in una posizione di soggezione, di certo non coincidente con quella del curatore, ed a tutela della quale gli devono essere riconosciuti i rimedi propri dell’uno e dell’altro processo.

Pertanto, il debitore, anche quando dichiarato fallito, è da reputarsi -in quanto soggetto passivo del processo esecutivo- contemplato con la qualifica di "debitore" nell’art. 567 cod. proc. civ., comma 4, nel testo applicabile ratione temporis, quindi, espressamente abilitato, in forza di tale norma, a presentare l’istanza ivi considerata.

Peraltro, nel caso di specie, come già detto trattando del ricorso della società Olivieri Investments s.r.l. e come sostenuto anche col quarto motivo del ricorso della società Cofip s.r.l., l’art. 567 cod. proc. civ., comma 4, prevede che l’estinzione del processo sia dichiarata anche "d’ufficio", con la conseguenza che, anche in caso di inerzia o di opposizione del curatore del fallimento, la sollecitazione all’esercizio del potere officioso ben può provenire dall’esecutato fallito, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito.

4.4.- E’ sufficiente richiamare le argomentazioni di cui al superiore punto 1.2. per superare i rilievi svolti dal Fallimento controricorrente nei confronti di Cofip s.r.l., così come già fatto nei confronti di Olivieri Investments s.r.l., secondo cui l’istanza non avrebbe potuto essere considerata perchè proposta oltre il termine della prima difesa previsto dall’art. 630 cod. proc. civ. e secondo cui, comunque, il rimedio esperibile avverso il rigetto del giudice dell’esecuzione non sarebbe stato il reclamo, ai sensi di quest’ultima norma, bensì l’opposizione agli atti esecutivi.

5.- L’accoglimento dei motivi quarto e quinto comporta l’assorbimento del secondo e del sesto (entrambi relativi – essendo peraltro il sesto una ripetizione testuale del secondo – alla violazione dell’art. 567 cod. proc. civ., comma 4, per il mancato riconoscimento in capo al debitore esecutato fallito della qualità di "parte interessata" a chiedere l’estinzione ai sensi di tale norma).

Col terzo motivo è stata dedotta omessa pronuncia su uno dei motivi d’appello; in subordine, nullità di un capo della sentenza per mancanza materiale della motivazione; in ulteriore subordine omessa motivazione, per avere la Corte d’Appello soltanto dato atto del secondo motivo di gravame (concernente la declaratoria da parte del primo giudice del difetto di legittimazione a proporre l’eccezione da parte della società esecutata dopo la dichiarazione di fallimento) ed affermato apoditticamente di condividere le argomentazioni esposte nella sentenza gravata; ciò in quanto, secondo la ricorrente, nulla avrebbe detto circa il diritto del fallimento di subentrare nelle procedure esecutive in corso nel caso in cui i beni pignorati siano già stati oggetto di compravendita e circa l’assunto della ricorrente secondo cui il fallimento non si potrebbe, in tale caso, avvalere degli effetti sostanziali del pignoramento (questione, peraltro, sulla quale la giurisprudenza di questa Corte si è ripetutamente pronunciata in senso contrario a quanto preteso dalla ricorrente, nell’ipotesi, veramente controversa, del trasferimento della vendita in sede concorsuale: cfr., tra le altre, Cass. n. 1072/01 e n. 5455/02; mentre la sostituzione automatica del curatore al creditore procedente L. Fall., ex art. 107, di cui si è detto sopra rende altrettanto insostenibile l’assunto della ricorrente).

Trattasi, comunque, di motivo assorbito in ragione dell’accoglimento del quarto e del quinto, cui consegue la cassazione della sentenza impugnata anche nella parte oggetto del terzo motivo.

6.- Col primo motivo dello stesso ricorso di Cofip s.r.l. è dedotta violazione degli artt. 112 e 567 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4: sostiene la ricorrente che, anche a voler ritenere irrituale o addirittura giuridicamente inesistente l’istanza di estinzione proposta dalla Cofip s.r.l., i giudici del reclamo e dell’appello avrebbero dovuto ovviare all’"arbitraria inerzia" del G.E. dichiarando ex officio l’estinzione con sentenza, mentre la Corte d’Appello si sarebbe sottratta a quest’obbligo incorrendo nella violazione di omessa pronuncia su un’eccezione rilevabile d’ufficio, oltre che nella violazione dell’art. 567 cod. proc. civ., comma 4.

Trattasi di motivo corrispondente al terzo motivo del ricorso proposto da Olivieri Investments s.r.l., e pertanto devono intendersi qui richiamate le considerazioni già svolte ai precedenti punti 3.1 e 3.2., con la conseguente declaratoria di inammissibilità anche del motivo in parola.

6.1.- Giova peraltro aggiungere che quanto detto in merito ai poteri dell’esecutato fallito nella procedura esecutiva proseguita dal curatore fallimentare consente altresì di affermare la legittimazione dello stesso debitore a proporre reclamo ex art. 630 cod. proc. civ., u.c.. Si tratta infatti di rimedio che il debitore esecutato è legittimato ad esperire anche dopo la dichiarazione di fallimento e dopo il subentro del curatore nella procedura esecutiva individuale, anche nel vigore del testo attuale della norma citata, così come modificato dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 3, lett. e), n. 43, convertito nella L. n. 80 del 2005.

MOTIVI COMUNI AI DUE RICORSI. 7.- Il quinto motivo del ricorso Olivieri Investments S.r.l. coincide col settimo motivo del ricorso Cofip s.r.l.: si denuncia l’omessa pronuncia su domande ed eccezioni delle parti (art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4); violazione e falsa applicazione di norme di legge e vizio motivazione.

Deducono le ricorrenti che il Tribunale avrebbe disatteso tutti i motivi di reclamo concernenti la violazione, da parte del giudice dell’esecuzione, del disposto dell’art. 567 c.p.c., quanto ai tempi e ai modi del deposito della certificazione catastale da parte del creditore procedente e dei creditori intervenuti; che entrambe le società, nel proporre appello, avrebbero analiticamente censurato il capo della sentenza di primo grado in questione, con i motivi riportati testualmente in ricorso; che la Corte d’Appello avrebbe omesso di prendere in esame gran parte, se non proprio tutte, le eccezioni proposte dalle appellanti, incorrendo nel vizio di omessa pronunzia.

7.1.- Vanno trattati congiuntamente ai precedenti, in quanto pongono la questione connessa della norma di legge applicabile, i coincidenti motivi sesto del ricorso Olivieri Investments s.r.l. ed ottavo del ricorso Cofip s.r.l.; con entrambi si denuncia, infatti, la violazione dell’art. 567 cod. proc. civ., comma 4 e della L. n. 302 del 1998, art. 13 bis, aggiunto dal D.L. n. 328 del 1998, art. 4, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 25 del 2000, come sostituito dal D.L. n. 291 del 2000, art. 1, convertito con modificazioni nella L. n. 372 del 2000.

Sostengono le ricorrenti che il giudice a quo non avrebbe considerato che per tutte le procedure esecutive in corso al momento dell’entrata in vigore della L. n. 302 del 1998, quale era la procedura per cui è causa, la documentazione ipocatastale avrebbe dovuto essere prodotta nel termine ultimo del 30 giugno 2001, pena l’estinzione della procedura.

7.2.- I motivi sono esposti nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, contrariamente a quanto eccepito dal Fallimento controricorrente: l’eccezione di quest’ultimo ha riguardo alla questione di merito, così come affrontata dalla sentenza di primo grado, che si è basata sull’esame della documentazione prodotta e sulla valutazione della sua completezza, laddove invece la ratio decidendi della sentenza impugnata prescinde del tutto da tale esame, essendo fondata, come si dirà, su un errato inquadramento giuridico della fattispecie (che ha determinato l’omesso esame di gran parte dei motivi d’appello), oltre che sui pretesi difetti di legittimazione, di cui si è detto sopra; non sono quindi pertinenti i rilievi del Fallimento concernenti la mancata puntuale indicazione (e/o trascrizione) in ricorso di tutti i documenti ipocatastali di che trattasi (gran parte dei quali peraltro anche elencati ed illustrati nel ricorso medesimo), poichè non costituenti oggetto diretto della valutazione di questa Corte.

Nel merito, i motivi anzidetti sono fondati.

La sentenza impugnata richiama principi di diritto non riferibili alla fattispecie concreta e del tutto svincolati dai motivi di appello.

E’, in primo luogo, errato, in diritto, il riferimento fatto al regime vigente prima della modifica apportata all’art. 567 cod. proc. civ. dalla L. n. 302 del 1998 e quindi alle conseguenze della mancanza di documentazione nella vigenza di tale regime (sia quanto alla quiescenza della procedura che quanto ai vizi dell’ordinanza di vendita), poichè il processo esecutivo di che trattasi è regolato dalla norma come riformata nel 1998, nonchè dalla citata L. n. 302 del 1998, art. 13 bis, aggiunto dal D.L. n. 328 del 1998, art. 4, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 25 del 2000, come sostituito dal D.L. n. 291 del 2000, art. 1, convertito con modificazioni nella L. n. 372 del 2000: essendo stata depositata l’istanza di vendita prima del 30 aprile 2001, il creditore pignorante era onerato della produzione di cui all’art. 567 cod. proc. civ., comma 2, entro il termine del 30 giugno 2001. 7.3.- D’altronde, il medesimo giudice d’appello ha richiamato sia la modifica normativa dell’art. 567 cod. proc. civ., che le misure di differimento della sua efficacia ma non ne ha tratto le debite conseguenze con riguardo al caso di specie.

In particolare, risulta totalmente omesso l’esame dei motivi di appello, poichè il detto richiamo è stato compiuto, non solo senza nemmeno menzionare il termine del 30 giugno 2001, ma anche senza verificare quali fossero i documenti prodotti dal creditore procedente (e/o dagli altri creditori aventi titolo) entro il termine del 30 giugno 2001 con riguardo agli immobili rispetto ai quali era stata avanzata istanza di estinzione; senza valutare la completezza di detta documentazione con riferimento a ciascuno di questi immobili e tenuto conto dell’intero disposto dell’art. 567 cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis); senza considerare, ancora, quali fossero le conseguenze processuali da trarre, in concreto, dalla situazione esistente alla data predetta del 30 giugno 2001;

senza nulla argomentare in merito ai termini concessi dal giudice dell’esecuzione per integrare la documentazione nè in merito al contenuto della documentazione prodotta alla scadenza del primo e del secondo di tali termini.

Dal momento che si tratta di questioni poste tutte con i motivi d’appello, così come riprodotti nei ricorsi di entrambe le società (rispettivamente col motivo cinque e col motivo sette), la Corte territoriale è incorsa nei vizi denunciati di omessa pronuncia e di violazione del disposto dell’art. 567 cod. proc. civ..

I motivi in parola vanno quindi accolti e la sentenza va cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, perchè provveda alle verifiche ed agli accertamenti di fatto sopra detti, facendo applicazione di quanto statuito dall’art. 567 cod. proc. civ. (nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 302 del 1998), nonchè dalla citata L. n. 302 del 1998, art. 13 bis, aggiunto dal D.L. n. 328 del 1998, art. 4, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 25 del 2000, come sostituito dal D.L. n. 291 del 2000, art. 1, convertito con modificazioni nella L. n. 372 del 2000. 8.- Restano assorbiti i motivi settimo del ricorso Olivieri Investments s.r.l. e nono del ricorso Cofip s.r.l. relativi alla violazione e falsa applicazione delle norme di legge richiamate con i motivi appena accolti, in relazione alle conseguenze che il giudice d’appello avrebbe erroneamente tratto in punto di nullità dell’ordinanza di vendita.

Il giudice di rinvio si dovrà occupare anche delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibili il primo motivo del ricorso Cofip s.r.l. ed il terzo motivo del ricorso Olivieri Investments s.r.l., accoglie i motivi quarto, quinto, settimo ed ottavo del ricorso Cofip s.r.l., nonchè i motivi primo, quinto e sesto del ricorso Olivieri Investments s.r.l., assorbiti gli altri;

cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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