Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con citazione ritualmente notificata la Impianti Sportivi Piandinovello s.a.s. conveniva in giudizio la Impianti Pian di Novello srl, C.P. e G.N. chiedendone la condanna al pagamento del saldo (scaduto il 31.12.1995) del prezzo di vendita dell’azienda acquistata dalla prima con contratto del 20.4.95 per il quale gli altri due avevano prestato fideiussione. Nel corso del giudizio si costituiva la convenuta chiedendo in via riconvenzionale dichiararsi l’inefficacia del contratto per il mancato avveramento di una condizione sospensiva ovvero, alternativamente, la risoluzione dello stesso per inadempimento della alienante. In esito al giudizio, il Tribunale di Pistoia rigettava la domanda attrice ed, accogliendo quella riconvenzionale, dichiarava l’inefficacia del contratto per il mancato avveramento della condizione sospensiva, alla quale era sottoposto, nel termine essenziale pattuito condannando l’attrice a restituire alla convenuta, frattanto fallita, le somme ricevute, rivalutate e con interessi. Avverso tale decisione proponeva appello la soccombente ed in esito al giudizio,la Corte di Appello di Firenze con sentenza depositata in data 22 febbraio 2010, in parziale riforma della decisione impugnata ed in accoglimento della domanda riconvenzionale di risoluzione riproposta in appello, dichiarava risolto il contratto stipulato e condannava la Impianti Sportivi Piandinovello s.a.s. al pagamento delle spese del secondo grado. Avverso la detta sentenza la soccombente società Impianti Sportivi ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi, illustrato da memoria. Resistono O.M., C.E.M., C.S. e G.N. con controricorso, illustrato da memoria. La Curatela ha altresì proposto ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione
In via preliminare, deve rilevarsi che il ricorso principale e quello incidentale sono stati riuniti, in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
Procedendo all’esame del ricorso principale, va rilevato che la prima doglianza svolta si articola essenzialmente attraverso due profili:
il primo, per violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., artt. 1453 e 1455 c.c.; il secondo, per omissione, insufficiente e contraddittorietà della motivazione. Ed invero, la sentenza impugnata- così scrive la ricorrente – sarebbe errata nella parte in cui la Corte territoriale nha affermato l’inadempimento della parte venditrice all’obbligo di fare quanto necessario per ottenere la concessione in sanatoria", trascurando che, in base alla lettera della clausola contrattuale convenuta tra le parti, era stato pattuito solo un obbligo risarcitorio nel caso di ritardo nell’ottenimento delle concessioni in sanatoria, al cui rilascio si era obbligata la venditrice con la conseguenza che dal detto ritardo non poteva derivare la risoluzione del contratto. Inoltre la Corte non avrebbe esaminato i documenti versati in atto, relativi a ben 17 concessioni in sanatoria rilasciate in ordine all’impianto sportivo, non avrebbe letto le risultanze della ctu, non avrebbe speso una sola parola in ordine alla gravita dell’asserito inadempimento addebitato alla venditrice.
La doglianza è infondata in tutti i suoi numerosi profili. Ed invero,con riferimento al primo dei sub motivi, mette conto di osservare innanzitutto che la Corte territoriale ha affermato l’inadempimento della società ricorrente sulla premessa che, dopo aver assunto in contratto l’obbligo di fare quanto necessario per ottenere la concessione in sanatoria e l’obbligo di liberare i locali già adibiti a scuola di sci, non otteneva affatto la concessione in sanatoria per la parte degli impianti che insistevano nel Comune di (OMISSIS), lasciava scadere i termini per il ritiro della concessione in sanatoria riguardante la stazione intermedia, non liberava affatto i locali adibiti a scuola di sci nel termine fissato nel contratto.
Tali circostanze, le prime due, risultavano dalla relazione di c.t.u. assunta in primo grado mentre la terza circostanza risultava dalle dichiarazioni di un teste ed era pacifica tra le parti.
Ora, con il primo dei sub motivi, la ricorrente deduce che, come risultava dalla lettera della clausola contrattuale convenuta, le parti avevano pattuito solo un obbligo risarcitorio nel caso di ritardo nell’ottenimento delle concessioni in sanatoria, con la conseguenza che dal detto ritardo non poteva derivare la risoluzione del contratto.
La considerazione è manifestamente infondata. Ed invero, a parte il rilievo che la clausola contrattuale non contiene alcun patto di esclusione del diritto alla risoluzione per inadempimento, corre l’obbligo di sottolineare che, a norma dell’art. 1453 c.c., comma 1, nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno. Ne deriva il principio secondo cui, nel caso di inadempimento di un’obbligazione rientrante nel sinallagma, la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto è riconosciuta ed è attribuita alla parte adempiente dalla stessa legge, senza che occorra a tal fine un’esplicita previsione contrattuale. Nè al contrario può essere legittimamente convenuta tra le parti l’esclusione del diritto alla risoluzione per inadempimento, ostandovi il limite fissato dall’art. 1229 c.c., norma la quale, stabilendo espressamente che è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave, comporta altresì la nullità di ogni patto di irresponsabilità che abbia per oggetto gli effetti dell’inadempimento imputabile.
E’ ugualmente infondato, al limite dell’inammissibilità, anche il secondo dei sub motivi. E ciò, in quanto la Corte territoriale ha ritenuto l’inadempimento della società ricorrente in relazione alla parte degli impianti insistenti nel Comune di (OMISSIS), con conseguente irrilevanza della documentazione cui si è riferita la ricorrente stessa nella formulazione del motivo.
E’ infondato infine anche il terzo profilo di doglianza, secondo cui la Corte non avrebbe speso una sola parola in ordine alla gravita dell’asserito inadempimento addebitato alla venditrice. Ed invero, i giudici di secondo grado hanno esplicitato in maniera chiara le ragioni per le quali hanno ritenuto la gravita dell’inadempimento spiegando che "l’inadempimento della s.a.s. si ritiene grave nell’economia del contratto poichè riguarda buona parte degli impianti che costituivano l’oggetto dell’azienda ceduta, oltre che il suddetto locale".
La motivazione appare peraltro sufficientemente esaustiva in considerazione del rilievo che l’attività della società Pian di Novello si svolge nell’ambito dello sci e che l'(OMISSIS) costituisce un’importante stazione sciistica.
Passando alla seconda doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione delle norme in tema di interpretazione e risoluzione del contratto nonchè sotto il profilo della motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria, va rilevato che la censura si fonda sulla considerazione che la Corte di Appello, erroneamente interpretando una previsione contrattuale, avrebbe tratto il convincimento che parte venditrice sarebbe stata inadempiente all’obbligo di liberare alcuni locali dell’azienda ceduta laddove restava a suo carico solo l’onere economico di tale attività.
La Corte territoriale avrebbe pertanto errato mancando di rilevare che la norma dell’art. 1362 c.c., impone di non limitarsi al significato letterale delle parole usate dai contraenti; che l’art. 1369 c.c., prescrive di pervenire ad un esito interpretativo che sia rispettoso del significato più conveniente alla natura ed all’oggetto del contratto; che l’art. 1371 c.c., impone di privilegiare un significato che consenta di realizzare l’equo contemperamento degli interessi delle parti.
La censura è infondata. Ed invero, a parte il rilievo che la ricorrente nella rubricazione del motivo non ha neppure indicato le regole legali di ermeneutica che sarebbero state violate nella fattispecie, occorre evidenziare che il ricorrente, il quale deduca la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, non può limitarsi a contrapporre interpretazioni o argomentazioni alternative o, comunque, diverse – rispetto a quelle proposte dal Giudice di merito, avendo innanzitutto l’onere di chiarire come e perchè, a suo avviso, la comune intenzione dei contraenti non sarebbe stata determinata secondo le regole fissate dal legislatore e l’interpretazione datane dal giudice di merito si sarebbe discostata dai canoni di ermeneutica ed, in particolare, dal canone prioritario fondato sul significato letterale delle parole (di cui all’art. 1362 c.c., comma 1).
Ed invero, torna opportuno rilevare a riguardo che i canoni legali di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 – 1371 c.c.), sono governati da un principio di gerarchia – desumibile dal sistema delle stesse regole – in forza del quale – secondo la giurisprudenza costante di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze n. 21650/2006, 20660/2005, 15371, 8411, 7548/2003, 4680/2002, 9636/2001, 4815/98, con riferimento a contratti collettivi; n. 20660/2005, 20272, 13392, 11921/2004, 15371, 8411, 7548/2003, 4680/2002, 9636/2001, 4815/98, con riferimento a contratti individuali) – i canoni strettamente interpretativi (artt. 1362 – 1365 c.c.) prevalgono su quelli interpretativi – integrativi (artt. 1366 – 1371 c.c.) e, nell’ambito dei canoni strettamente interpretativi (artt. 1362 – 1365 c.c., cit.), risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole (di cui all’art. 1362, c.c., comma 1), con la conseguenza che, quando quest’ultimo canone risulti sufficiente, l’operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente, quanto definitivamente, conclusa. Invero, l’art. 1362, comma 2, che invita ad identificare il significato dell’atto in base al comportamento complessivo delle parti, va applicato in via sussidiaria, ove l’interpretazione letterale e logica sia insufficiente, (cfr. Cass. n. 8808/08).
Ora, nel caso di specie, tale onere non è stato affatto assolto dalla ricorrente, la quale a fronte di un dato letterale assolutamente chiaro ed univoco, si è limitata ad offrire una lettura diversa da quella datane dal giudice del merito.
Giova aggiungere a tal fine che l’interpretazione dei documenti prodotti in giudizio – e della volontà delle parti in essi trasfusa – costituisce attività discrezionale del giudice di merito la quale, risolvendosi in un tipico accertamento di fatto, è censurabile in sede di legittimità soltanto in caso di violazione dei criteri dell’ermeneutica contrattuale o in presenza di vizi della motivazione. A questa Corte infatti non è consentito di procedere alla diretta interpretazione degli atti in quanto la valutazione degli elementi di prova attiene al libero convincimento del giudice di merito. Ed è appena il caso di sottolineare come la ricorrente- il rilievo investe specificamente il profilo di doglianza relativo al vizio motivazionale dedotto – non sia riuscita nella specie ad individuare effettivi vizi logici o giuridici nel percorso argomentativo dell’impugnata decisione. Resta da esaminare l’ultima doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè della motivazione omessa, con cui la ricorrente principale ha lamentato la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità ed improponibilità della domanda riconvenzionale proposta dagli acquirenti. Tale eccezione era stata formulata nell’atto di appello deducendo specificamente che la restituzione della cosa ricevuta costituisse il presupposto per la proposizione della domanda di inefficacia mentre nella esplicitazione della riconvenzionale non c’era stato alcun cenno a tale restituzione. Nella motivazione della sentenza – questa, la conclusione della doglianza – non sarebbe stata spesa una sola parola sul punto.
Anche quest’ultima censura è manifestamente infondata alla luce del rilievo che, contrariamente all’assunto della ricorrente, la Corte di merito ha puntualmente pronunziato sulla questione, disattendendo espressamente la doglianza proposta laddove, con motivazione sobria ma assolutamente chiara ed esaustiva, ha scritto "peraltro, non è neppure condivisibile l’assunto dell’appellante che l’eccezione di inefficacia del contratto sia improponibile in quanto la controparte non le aveva offerto la restituzione dell’azienda, non essendo ciò previsto quale presupposto per la proponibilità di tale eccezione (cfr pagg. 3 e 4 della sentenza).
Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale proposto solo in via condizionata. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente principale alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte decidendo sui ricorsi riuniti rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida, in favore della Curatela Fallimento Impianti Pian di Novello Srl da una parte nonchè in favore di O.M., C.E.M., C.S. e G.N. dall’altra, rispettivamente in Euro 5.200,00 ed Euro 5.900,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
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